sabato 12 novembre 2011

NAPOLI, UNA DERIVA INARRESTABILE


La totalità degli italiani e, purtroppo, gran parte dei napoletani, credono
oramai che la città sia perduta ed irrecuperabile, per cui l’hanno
abbandonata, come si lascia una vecchia moglie che col tempo diventa sempre
più brutta e petulante. Oggi i giovani cercano altrove un’amante, che sia in
grado di far dimenticare il passato e le radici e la cercano in tanti luoghi
diversi, a Londra come a Barcellona, in Germania ma anche in Brasile.

Da anni la ricerca di un lavoro per i giovani è divenuto il problema più
assillante a Napoli dove  pure le emergenze non si contano.

E lentamente sta erodendo il sistema sociale e sta depauperando in maniera
irreversibile l’unica risorsa primaria costituita dalle giovani generazioni,
che tristemente hanno preso la via del Nord e dell’estero per non più
ritornare. Siamo davanti oramai ad una diaspora rovinosa, che toglie ogni
speranza di un futuro per la città e nello stesso tempo sta cambiando anche
la composizione sociale dei quartieri. Zone come Posillipo ed il Vomero, una
volta abitate dalla borghesia, lentamente stanno divenendo la residenza di
spavaldi commercianti con attività ai margini della legge, gli unici che
oggi possono disporre di cifre cospicue di denaro per acquisti di immobili
che hanno raggiunto quotazioni record.

Nello stesso tempo nei quartieri del centro storico gli abitanti, stanchi di
bassi e di case malsane, si trasferiscono verso l’immensità di un hinterland
senza strutture e senza servizi, senza collegamenti, ma soprattutto senza
anima. Al loro posto legioni di extra comunitari, felici di passare dalle
capanne ad un tetto qualsiasi e disposti ai lavori più umili pur di
riscattare un domani migliore.

I motivi di questa deriva si perdono nella notte dei tempi e storici ed
intellettuali si sono scervellati a cercarne una spiegazione.

Per Francesco Durante tutto è cominciato da quando la città da tranquilla
polis medioevale è divenuta una capitale di regni, che si sono succeduti l’uno
dopo l’altro; Benedetto Croce faceva risalire l’inizio di questa sventurata
eclisse al Trecento, per aggravarsi in epoca vicereale col dominio degli
Spagnoli, quando il paradiso abitato da diavoli, divenne un eden affollato
di lazzari; Raffaele La Capria spostava l’inizio della fine al 1799 con il
fallimento della rivoluzione ed il cementarsi dell’alleanza tra plebe e
monarchia.

Altri, come Ermanno Rea, hanno indicato il dopoguerra come momento fatale
per la città con l’inizio della guerra fredda che ha tarpato le ali alla
vocazione mercantile e commerciale dei napoletani o con la scomparsa della
cultura operaia successiva alla chiusura dell’Italsider.

Sono spiegazioni parziali, che in ogni caso non risolvono la situazione
divenuta drammatica e tale da far apparire la città ed i suoi abitanti come
un’entità  clinicamente morta e qualunque tentativo di rianimarla
semplicemente un inutile accanimento terapeutico.

Ed ogni giorno la situazione è più drammatica del giorno precedente,
sempre più giù verso un fondo che diviene sempre più profondo e sempre più somigliante
ad uno spaventoso gorgo, che inghiottirà tutto e tutti e dopo il quale il mondo non sarà certo migliore e
Napoli non sarà più quella che per secoli abbiamo conosciuto

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