lunedì 19 marzo 2012

Agostino Beltrano

8/6/2007
Alcuni inediti e qualche aggiunta ad uno "stanzionesco falconiano"



Agostino Beltrano nasce a Napoli il 25 febbraio 1607, da Francesco, di professione indoratore e da Vittoria De Grauso, zia di Andrea Vaccaro.
Sposò nel 1626 Diana, alias Annella De Rosa, sorella di Pacecco e figlia di Tommaso, anche egli pittore, e di Caterina De Mauro che, rimasta vedova, sposò Filippo Vitale. Ebbe sei figli, quattro femmine e due maschi e fu inoltre cognato, oltre che di Pacecco, anche di Aniello Falcone e di Juan Do.
Sua moglie Diana morì di malattia nel suo letto il 7 dicembre 1643, e questo particolare, scoperto dal Prota Giurleo(1), al quale si debbono anche tutte le altre notizie anagrafiche, fa cadere come inverosimile e partorita dalla fertile fantasia del De Dominici la leggenda del truculento uxoricidio perpetrato dal Beltrano, accecato dalla gelosia per le attenzioni rivolte alla moglie dal suo maestro Massimo Stanzione.
Il Beltrano si trovò invischiato così in una ragnatela di parentele (fig. 1) con artisti napoletani di primo piano attivi a Napoli nel terzo e nel quarto decennio che finirono per influenzarsi a vicenda.
Per Beltrano, oltre a questi intrecci parentali, che si trasformarono in influssi reciproci, fu però molto importante per la sua maturazione stilistica la vicinanza, in occasione dei lavori nella cattedrale di Pozzuoli, che, cominciati nel 1635 si protrassero per molti anni, con il Lanfranco, con Artemisia Gentileschi e con Massimo Stanzione.
Il De Dominici lo include tra gli allievi di Stanzione e ne parla nella vita di Pacecco De Rosa, definendolo tra i migliori scolari del maestro(2). Gli storici hanno ritenuto che la sua prima formazione fosse avvenuta presso il Vitale, ma di recente un documento ha evidenziato che il Beltrano, quattordicenne, fu messo a bottega nel 1621 assieme a Diana De Rosa, diciottenne, da Gaspare De Populo(3), pittore del quale conosciamo ben poco, se non che fu legato allo Stanzione, di cui tenne a battesimo il primogenito.
La critica si è da tempo impegnata a ricostruire la personalità artistica del Beltrano(4) ed ha distinto una fase naturalista, contigua ai modi falconiani ed un secondo periodo più propriamente stanzionesco, contrassegnato da un impreziosimento cromatico e da un ingentilimento delle fisionomie e dei sentimenti, culminante nella spettacolare tela di «Lot e le figlie» di collezione Molinari Pradelli (fig. 10).
Il presente studio, oltre alla presentazione di alcuni inediti ed alla identificazione di numerosi caratteri patognomonici utili al riconoscimento dell’artista, si propone di allargare l’orizzonte della fase falconiana, che riteniamo comprenda gran parte della carriera dell’artista, almeno fino al 1650.
A conferma di tale asserzione sono comparsi negli ultimi anni sul mercato numerosi dipinti siglati o assegnabili con certezza al Beltrano, dei quali tratteremo brevemente, quasi tutti contraddistinti da spiccati caratteri naturalisti.
La prima tela esaminata (fig. 2) è un «Martirio di San Sebastiano» passato sul mercato(5) nel 1992 con un’attribuzione al Gargiulo del Brigante, il quale affermava: «Questo importante dipinto del celebre maestro napoletano, che in alcuni particolari mostra affinità col “Martirio di San Lorenzo” della Banca sannitica di Benevento siglato “DG”, risale probabilmente ai primi anni del sesto decennio del secolo».
Nel 1997, in occasione della stesura del catalogo della collezione ove il quadro era pervenuto(6), i principali «napoletanisti» espressero la loro opinione sulla paternità del dipinto(7). Pacelli e Pavone confermarono la autografia spadariana, la Daprà, specialista dell’artista, avanzò l’ipotesi di Agostino Beltrano in parte confermata da Spinosa, che in un primo tempo aveva pensato genericamente al Maestro dei martirî. Leone De Castris collocò il dipinto al 1635 ed evidenziò la presenza nell’opera di caratteri falconiani, battistelliani e cavalliniani. Ed infine, originale l’ipotesi di Gennaro Borrelli, che parlò di una esercitazione della bottega di Aniello Falcone, sottolineando l’errata incidenza della luce e la pessima esecuzione dell’albero sullo sfondo, definito bituminoso.

Nel 1998 è comparsa, presso un antiquario a Roma, una replica autografa del dipinto (fig. 3) di eguali dimensioni, identica nell’incidenza della luce ed in ogni più minimo particolare, con la composizione leggermente spostata verso sinistra, così che nel primo dipinto compaiono taluni particolari, come l’uomo col turbante, mentre nel secondo vi è un più esteso stralcio di panorama e l’ampia boscaglia sullo sfondo, non più bituminosa, presenta viceversa un trattamento del fogliame più accurato.
Ed infine, nel 1999, il passaggio in asta(8) di una scena di supplizio (fig. 4) identificabile come «Martirio di Santa Apollonia»(9), con in alto l’identico gruppo di angioletti (fig. 5) e sulla destra lo stesso cavaliere nascosto dietro la bandiera rossa, che sono presenti nel «Martirio di San Sebastiano», ha permesso di riconoscere lo stesso pittore come autore dei tre dipinti. 


Molto importante la presenza del cavaliere sulla destra con elmo e bandiera, simbolo del potere romano, (derivata da alcune celebri tele del Gargiulo), il quale sembra volersi nascondere dietro al drappo rosso, con un atteggiamento che compare identico anche nella grande e famosa pala di Pozzuoli rappresentante «Il miracolo di Sant’Alessandro», firmata e documentata al 1649.
Numerose altre figure presenti nel «Martirio di Santa Apollonia» permettono l’assegnazione della tela con certezza al Beltrano. Esse sono il fanciullo a dorso nudo in primo piano sulla destra, di vaga ascendenza battistelliana e, poco più che abortito, sulla sinistra il fantolino che si avvicina alla scena a braccia protese e che ricompare identico nel già citato «Miracolo di Santo Alessandro» e nell’affresco rappresentante «Il pagamento del tributo a Sennacherib» (fig. 6) di Santa Maria degli Angeli a Pizzofalcone, documentato agli anni 1644-’45. Il volto della Santa pronta al martirio è sovrapponibile alla fisionomia della figura femminile presente nel «Sacrificio di Mosé», siglato, (fig. 7) del museo di Budapest, identificato dal De Vito nel 1984 ed alla Rachele del «Giacobbe e Rachele al pozzo» del museo di Besançon (fig. 8), assegnato già dal 1963 al Beltrano dal Volpe. Infine l’uomo barbuto che attizza le fiamme e l’altro scherano sulla destra che incombe sulla Santa sono modelli adoperati spesso dal Beltrano, che li riproduce più volte nelle sue opere dal «Martirio dei Santi Gennaro, Procolo e Filippo » (fig. 9) documentato al 1635, al «Miracolo di Sant’Alessandro», al «Giacobbe e Rachele al pozzo».




Riteniamo di aver identificato con sufficiente sicurezza una serie di prototipi patognomonici: dal gruppo di angioletti, al cavaliere che timidamente si nasconde dietro la bandiera, dal fanciullo a dorso nudo sempre in primo piano, al volto dolcissimo di fanciulla, ai personaggi barbuti, che permettono, quando presenti in tele in cerca di attribuzione, di proporre il nome del Beltrano con una ragionevole probabilità di essere nel giusto.
Altri due caratteri meno specifici, ma sempre indicativi, nelle opere del nostro artista, sono i turbanti orientaleggianti, presenti non solo nei quadri in esame e nelle tele «falconiane», ma anche in dipinti tardi della fase stanzionesca come il «Lot e le figlie» ed il particolare modo di rappresentare le dita dei piedi, che ad un attento esame può far trapelare l’autografia di una composizione.

Di recente è comparsa, sul mercato antiquariale napoletano, una tela di grandi dimensioni (cm 148-195) rappresentante una Battaglia tra cavalieri (fig. 17), firmata “Belt, la quale costituisce la più importante acquisizione al catalogo del nostro artista degli ultimi anni. Essa, oltre a mostrarci un Beltrano in piena forma, con colori squillanti e ben acconci contrasti chiaroscurali, emulo della lezione impartita dal Falcone e dal De Lione, sommi specialisti del settore, ci permette di attribuirgli con certezza alcuni altri dipinti: dal Martirio di San Gennaro ed i suoi compagni (fig. 22), già assegnato a lui da Spinosa, in cui compare sullo scudo dei combattenti lo stesso mascherone di vecchio contrassegnato dalla firma” Belt”, all’Episodio della vita di Sinoringe (fig. 21), precedentemente creduto del Gargiulo dal Sestieri, autore della monografia su Micco, il quale ha successivamente riconosciuto il quadro, eseguito dal Beltrano, “legato alla medesima temperie culturale e al medesimo gusto rappresentativo”


Nella tela in esame possiamo constatare per la prima volta, nell’ardito gioco di macchie cromatiche, una influenza dello stile del Grechetto, presente a Napoli nel 1635, circostanza che ci permette di collocare cronologicamente la Battaglia del Beltrano negli inoltrati anni Trenta.
Nel dipinto è possibile ancora leggere una serie di richiami ispirativi molto lontani dalla lezione di Massimo Stanzione, che contrassegnerà una parte del percorso successivo del Beltrano. Essi sono, da un lato, l’adesione ad antiche suggestioni tardo manieristiche, presenti nei lavori del Corenzio e del Cavalier d’Arpino e ben rappresentate dagli aggrovigliati contorcimenti dei combattenti, fino ai prelievi letterali dall’Oracolo delle battaglie (vedi il cavallo bianco impennato sulla destra) e dalla lezione naturalistica del suocero, Filippo Vitale. E per finire una consonanza di stile con la fase primitiva del Gargiulo, celebre battaglista secondo le fonti, ma con poche opere fino ad oggi reperite di quel genere e con il Cavallino, dal quale prende il gusto per la pennellata elegante e per il cromatismo delicato.
Un’opera importante che allarga considerevolmente lo sguardo degli studiosi su un artista, il cui percorso, ancora poco noto, richiede ulteriori focalizzazioni ed approfondimenti e sicuramente ci riserva altre gradevoli sorprese.
Il Beltrano è attivo in quegli anni, dal 1635 al 1655, durante i quali a Napoli una folla di stanzioneschi più o meno abili lavora ancora sotto la tutela dell’autorità del Ribera, anche lui convertito al pittoricismo, e dell’influsso del genio dell’astro nascente: Bernardo Cavallino.
Ogni pittore guarda gli altri e copia dettagli e brani di successo dalle tele dei colleghi; ci sono differenze impercettibili di sfumature, di parlata, di vernacolo stretto; soltanto «l’orecchio» esperto può dirimere la matassa e distinguere le variazioni di accento e di desinenza. Col Beltrano il problema a volte si complica, in mancanza di uno stile personale; infatti il nostro artista può essere definito un «pittore da traino», perché segue pedissequamente le mode imitando, a volte fino al plagio, l’artista di successo, ai cui modi pittorici sa adattarsi con un’abilità tecnica che con il tempo diventa sempre più sofisticata.
Questo percorso, che è segno di una mancanza di spessore culturale, possiamo seguirlo nell'analisi dei suoi dipinti, nei quali imita Falcone (figg. 2-3-14-17), Gargiulo (figg.2-3-4), Grechetto (figg.17), De Lione (figg. 11-12), Stanzione (fig. 13) e Cavallino (fig. 10)(10).
Un carattere distintivo precipuo nei confronti del Gargiulo è il trattamento del paesaggio e delle figure. Se esaminiamo infatti la stesura del paesaggio nei due martirî di San Sebastiano (figg. 2-3) ci accorgiamo che esso presenta delle indubbie analogie con quello esibito nel «Lot e le figlie» (fig. 10) in collezione Molinari Pradelli, come pure con quello dei due pendant «Adorazione del vitello d’oro» (fig. 19) ed il «Ritorno dalla terra di Canaan» (fig. 20) di collezione Baratta a Napoli(11), nei quali si evidenziano affinità formali con i piccoli paesaggi spadariani tipicizzati da una folta e rigogliosa vegetazione dai rami contorti. A riguardo del Beltrano paesaggista, segnaliamo che negli ultimi anni sono passati sul mercato diversi dipinti di notevole livello, che illustreremo in un nostro prossimo articolo, siglati o attribuibili con ragionevole possibilità al Nostro Agostino, il quale, lentamente, comincia a delinearsi come specialista.
Nel trattamento dei personaggi il Beltrano, a differenza delle esili ed affusolate figurine spadariane di evidente  derivazione callottiana dimostra le sue solide basi falconiane(12), predilige un formato grande ed è molto accurato nel dipingere gli abiti e le fisionomie, ciò nonostante mostra lacune ed incertezze nella definizione degli arti, specie se presi di scorcio. 
A riguardo dell’attività di Beltrano come frescante il De Dominici ci riferisce che egli fu attivo in quattro complessi, non tutti oggi visibili, ma il riconoscimento di alcuni suoi caratteri stilistici originali, quali i disegni delle figure affusolate ed una cromia chiara con pochi toni di base, molto vicina allo stile tardo dello Stanzione, ci permette di cercare di identificarlo in altre decorazioni, come ha supposto il Willette che, sulla scorta di documenti di archivio(13) che attestano girate di pagamento dallo Stanzione al Beltrano, ritiene di poter riconoscere la mano del nostro artista in altri cicli di affreschi ed anche in alcune delle quindici tavole di rame di piccolo formato con «Scene della passione di Cristo e della vita della Vergine», che attorniano la celebre pala della «Madonna del Rosario e Santi» dello Stanzione, conservata nella cappella Cacace nella Chiesa di San Lorenzo Maggiore a Napoli. (In contrasto con l’opinione di Nicola Spinosa che, viceversa, vede la mano del Marullo).


Individuati oggi questi caratteri distintivi, forse una attenta ricerca in provincia potrà riservarci in futuro qualche altra sorpresa che allarghi il catalogo dell’artista, già cresciuto notevolmente negli ultimi anni nell’ambito dei lavori da cavalletto, per i quali, volendo ipotizzare un plausibile itinerario cronologico, potremmo collocare agli esordi della attività artistica del Beltrano(14) il «Martirio di S. Gennaro e dei suoi compagni»(15) di collezione privata napoletana, nel quale sono presenti molte ingenuità nella costruzione delle immagini e nella resa pittorica; mentre verso la fine della carriera va posto il «Lot e le figlie» di collezione Molinari Pradelli (fig. 10) capolavoro dell’artista e come ultima opera vogliamo proporre, non la grande pala della chiesa di S. Maria della Sanità(16), parzialmente incompiuta e documentata al 1654, raffigurante «I Santi Biagio, Raimondo e Antonio» bensì una «Immacolata Concezione» (fig. 15) allogata in S. Maria la Nova sulla destra della parete del coro(17), la quale per evidenti motivi iconografici è databile a non prima del 1662.
Questa attribuzione, se confermata, sposterebbe di molto in avanti la data della morte del Beltrano, forse fino al 1665 indicato dal De Dominici, in forte contrasto con il 1656 comunemente accettato dagli studiosi.


Ed infine una constatazione, stranamente fino ad ora sfuggita agli studiosi, un ultimo squarcio di luce su questo personaggio che lentamente sta riemergendo dalle tenebre ove per tanti anni è stato dimenticato: nella chiesa della Pietà dei Turchini, nella IV cappella a sinistra entrando, si trova, tra altri affreschi del Beltrano documentati al 1646, un «San Nicola che comunica i fedeli» dove evidentissima sulla destra della composizione si staglia la figura di un nobile personaggio nella classica posa dell’autoritratto (figg. 16-18), il volto del pittore ancora giovane somigliantissimo all’unica sua immagine che conosciamo(18), che ci guarda beffardo da secoli senza che noi ce ne fossimo accorti.


NOTE

1 Prota Giurleo U., Un complesso familiare di artisti napoletani del secolo XVII, «Napoli - Rivista Municipale», 1951, pp. 25-26.
2 De Dominici B., Vite de’ pittori, scultori e architetti napoletani, Napoli (1742 - 1745) III, pp. 96-100, 111-113.
3 Delfino A., Documenti inediti su artisti del Seicento tratti dall’Archivio di Stato di Napoli e dall’Archivio storico del Banco di Napoli, in Ricerche sul Seicento napoletano, p. 30, Milano 1989.
4 I principali contributi alla conoscenza del Beltrano sono stati forniti da:
a) De Dominici B., Vite de’ pittori, scultori e architetti napoletani, Napoli (1742-1745), III tomo, pp. 96-100, 111-113;
b) D’Addosio G.B., Documenti inediti di artisti napoletani del XVII e XVIII secolo, Archivio per le province napoletane, XXXVII (1912) p. 608;
c) Ortolani S., La pittura napoletana dei secoli XVII-XVIII-XIX, Napoli 1938, p. 72;
d) Prota Giurleo U., Un complesso familare di artisti napoletani del secolo XVII, «Napoli rivista municipale», 1951, pp. 25-26;
e) Prota Giurleo U., Del pittore Passante e del suo maestro Beato, Il Fuidoro, 1954, 5/6, pp. 135-138;
f) Bologna F., Francesco Solimena, Napoli 1958, pp. 33-34, nota 12;
g) Volpe C. - Un dipinto firmato ed una attribuzione per Agostino Beltrano, Paragone, XIV (1963), n. 163, pp. 141-43;
h) Engass R., Dizionario biografico degli italiani, ad vocem, 8, Roma 1966;
i) Causa R., Opere d’arte nel Pio Monte della Misericordia a Napoli, Napoli 1970, pp. 89, n. 7, tav. XVIII;
l) Novelli M., Agostino Beltrano «stanzionesco» da riabilitare, Paragone, XXV (1974) pp. 67-82;
m) Volpe C., Un’altra opera firmata di Agostino Beltrano, Paragone XXV (1974) n. 287, pp. 82-85;
n) Delfino A., La Chiesa di Donnaregina Nuova, in Ricerche sul Seicento napoletano, Milano, 1983, pp. 110-111;
o) Novelli Radice M., Pittura napoletana del Seicento: inediti di Agostino Beltrano e Nunzio Russo, Arte cristiana, LXXII (1984) n. 702, pp. 143-149;
p) Ambrosio L., in Civiltà del Seicento a Napoli, catalogo della mostra, Napoli 1984, I, pp. 117-118, pp. 193-196;
q) De Vito G., Ritrovamenti e precisazioni a seguito della prima edizione della mostra del Seicento napoletano, in Ricerche sul Seicento napoletano, Milano, 1984, p. 15 e foto n. 58-61;
r) Spinosa N., La pittura napoletana del Seicento, Napoli 1984 - tav. 27-45;
s) Grabski Y., On Seicento paintings in Naples: some observations on Bernardo Cavallino, Artemisia Gentileschi and others, «Artibus et Historiae» VI, 1985, 11, pp. 23-63;
t) Spinosa N., Il Seicento, la pittura in Italia, tomo II, Milano 1988, p. 632;
u) Ambrosio L., Un nuovo documento per Agostino Beltrano e un’altra opera firmata, in Scritti di Storia dell’arte in onore di Raffaello Causa, Napoli 1988, pp. 217-222;
w) Nappi E., in Ricerche sul Seicento napoletano, p. 28 (Riepilogo di tutti i documenti pubblicati a quella data);
v) Willette P.C., in Massimo Stanzione, l’opera completa, Napoli 1998, pp. 126-127;
z) della Ragione A., Il secolo d’oro della pittura napoletana, Napoli 1998-1999, I fasc. p. 83, fig. pp. 27-28 e copertina, III fasc. pp. 201-203 e 205;
z bis) Sestieri G., Battaglie - Maestri italiani del XVII e XVIII secolo, Brescia 2002, pp. 24-27.
5 Asta Semenzato, Roma 12 ottobre 1992, lotto 29 (cm 138x184).
6 Cfr. Catalogo della Collezione della Ragione, Napoli 1997, copertina, pp. 28-33 e fig. 17-21.
7 Idem, cfr. pp. 28 e 30.
8 Asta Finarte, Napoli 9 novembre 1999, lotto 498 (cm 114x150).
9 L’identificazione della martire rappresentata con Sant’Apollonia è resa facile dalla contemporanea presenza del cavadenti e del rogo.
10 Per i raffronti intendiamo riferirci: per il Gargiulo ai due martirî di San Sebastiano ed al «Martirio di Sant’Apollonia» (lato destro della composizione); per il Falcone al gruppo di figure a sinistra nei due martirî di San Sebastiano; per De Lione ai due dipinti conservati nel museo Diocesano di Salerno, «Mosè fa scaturire l’acqua dalla roccia» e «Lot si separa da Abramo», ed inoltre il «David festeggiato dalle fanciulle ebree» del Kunsthistorisches Museum di Vienna; per Stanzione «Il sacrificio di Isacco» del museo di Salisburgo; per Cavallino «Il Lot e le figlie» della collezione Molinari Pradelli.
Infine nel «San Biagio fra i Santi Antonino e Raimondo», della chiesa di Santa Maria della Sanità a Napoli, si può apprezzare un naturalismo temperato alle suggestioni pittoricistiche e alle prime soluzioni del classicismo romano-bolognese, che in quel periodo cominciano ad avvertirsi nell’ambiente napoletano.
11 Cfr., Catalogo della mostra Civiltà del Seicento, Napoli 1984, pp. 194-195.
12 Cfr., Il gruppo degli arcieri nella parte sinistra dei due martirî di san Sebastiano.(fig.14)
13 A.S.B.N., Banco dello Spirito Santo, giornale matr. 328, partita di cento ducati estinta il 27 agosto 1643. Documento pubblicato da Delfino 1986, p. 115 n. 40.
14 La critica generalmente considera come opera più antica del Beltrano la grande pala del Duomo di Pozzuoli, raffigurante «Il martirio dei Santi Gennaro, Filippo e Proculo» documentata nel 1635: ma essa è opera nella quale l’artista si mostra già in possesso di grande maturità, per la sua straordinaria ricchezza cromatica e per la notevole resa naturalistica.
15 Il dipinto (cm 128x197) passato in asta presso Finarte a Milano, è stato assegnato al Beltrano da Spinosa, nel cui repertorio del 1984 lo si può studiare al n. 42.
16 Per le notizie sulla tela (cm 310x230) consulta la scheda a p. 83 e la foto a colori a p. 28 nel primo fascicolo del «Secolo d’oro della pittura napoletana», della Ragione A., Napoli 1998.
17 L’«Immacolata concezione con Papa Alessandro VII e Filippo IV», (Cogliamo l’occasione per correggere una nostra precedente imprecisione quando abbiamo indicato Filippo V e non IV nel trattare dell’argomento [cfr. Il secolo d’oro, III fasc. p. 203], seguendo una fallace indicazione di Willette) è stata assegnata dalla Novelli Radice al quasi sconosciuto Giuseppe Beltrano, fratello di Agostino, in base ad un  livello di qualità dell’opera molto modesto.
È facile constatare che la tela in esame trasuda lo stile di Agostino da tanti dettagli: dal volto della Vergine, identico a quello delineato nell’affresco della «Incoronazione della Vergine», al gruppo degli angioletti simile nei contorsionismi a tanti altri che possiamo rintracciare anche in dipinti da cavalletto ed infine la fisionomia del re Filippo IV, immortalata più volte dal Velázquez, col suo caratteristico prognatismo, che richiama a viva voce il ritratto equestre di Carlo Di Tocco, conservato al Pio Monte della Misericordia, il quale fu eseguito dopo il 1642.
In particolare dobbiamo considerare i due personaggi raffigurati ai piedi della Vergine, il Papa Alessandro VII, il quale si espresse definitivamente sull’iconografia rappresentata nel dipinto l’8 dicembre 1661 con la Sollicitudo omnium ecclesiarum ed il re Filippo IV che fece pressioni a lungo sul pontefice affinché si pronunciasse sulla questione.
Risulta pacifico concludere che l’opera in esame non ha potuto vedere la luce prima del 1662, in accordo con il De Dominici che riferisce che l’artista morì nel 1665. Bisognerà perciò accettare l’ipotesi che Beltrano superò indenne l’infuriare della peste e visse molti anni dopo il fatidico 1656, che i libri di storia dell’arte continuano ad indicare  come data del suo decesso.
18 Il Giannone nella tavola VI, fig. 24, della sua opera sui pittori napoletani ci fornisce l’unica immagine che possediamo dell’artista, senza rivelarci da dove l’abbia presa.

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