lunedì 19 marzo 2012

Eureka l’onore è salvo

9/8/2007

Otto agosto ore dieci, 40 gradi all’ombra, mi appresto ad entrare nel Tribunale di Napoli al centro direzionale per ritirare un documento, ma vengo bloccato dal drappello di polizia che giudica indecente il mio abbigliamento.
Premetto che l’indumento incriminato è un elegante calzoncino, griffatissimo ed ultrafirmato, abbondantemente oltre il ginocchio, con il quale abitualmente entro in chiesa, stipulo presso notai contratti da milioni di euro e, lo confesso, ricevo sguardi interessati da focose fanciulle e da attempate signore.
Chiedo di parlare col comandante, ma mi viene riferito che trattasi di un’ordinanza firmata dal presidente del Tribunale in persona.
Non mi scoraggio, nonostante sia venuto da fuori Napoli e riesco, in cambio di un bigliettone, a convincere un corpulento garzone a chiudersi nella toilette ed a prestarmi il suo pantalone, per quanto imbrattato e rattoppato.
Mi ripresento all’ingresso ed osservo una straripante popolana entrare senza problemi in calzoncini, segno evidente che le sue gambe sono giudicabili in maniera diversa dalle mie. Grazie al maleodorante pantalone imprestatomi riesco finalmente ad entrare ed a ritirare l’agognato documento.
L’episodio sembra irrilevante, ma a mio parere è di una gravità inaudita. Vietare l’accesso ad un ufficio pubblico e sindacare l’abbigliamento dei cittadini è prerogativa dei paesi islamici più arretrati, dove i talebani si arrogano il potere di obbligare gli uomini a farsi crescere la barba e le donne ad indossare il burka. Ma forse i magistrati, stanchi di giudicare solo i comportamenti dei cittadini, vogliono anche pontificare sui loro abbigliamenti, confondendo il decoro di un’istituzione, che si misura in efficienza nel contrastare una delinquenza oramai padrona del territorio, con i centimetri dei calzoncini maschili.

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