giovedì 22 marzo 2012

Italiani, ma di serie B

24/5/2008


Il futuro multietnico e multiculturale dell’Italia si gioca su come sapremo assorbire i figli dell’immigrazione: i giovani nati nel nostro paese da genitori stranieri o che si sono trasferiti  da noi da piccoli. Sono oltre 700.000, vanno a scuola o già lavorano, ma sono cittadini di serie B, per il prevalere dello ius sanguinis sullo ius soli.
Essi sono i compagni di banco o di gioco dei nostri figli ed in molti capoluoghi di provincia costituiscono oramai un quarto della popolazione immigrata ed una parte preponderante della frequentazione scolastica.
Sono giovani con aspettative simili a quelle dei loro coetanei italiani, non vedono nel loro futuro lavori umili e faticosi come per i loro genitori, hanno studiato e si aspettano di poter occupare un posto nella società in linea con la loro preparazione.
Parlano più lingue e sanno muoversi tra più culture, delle quali rispettano codici di comportamento diverso con pari dignità. Rappresentano il modello ideale del giovane contemporaneo. Imparare lingua ed abitudini nuove senza dimenticare le vecchie è la formula vincente per creare un futuro migliore. Questi giovani possono traghettarci con perizia verso un mercato del lavoro internazionale dove il merito venga adeguatamente riconosciuto.
In passato la legge concedeva la cittadinanza italiana ai figli, nati in Italia, di genitori stranieri, purché fossero residenti al compimento della maggiore età; oggi, dal 1992, la norma è divenuta più severa e prevede di aver vissuto nel nostro Paese senza interruzioni dalla nascita fino a 18 anni con un permesso di soggiorno regolare.
Se non veniamo incontro alle esigenze inderogabili di questi giovani, non solo sul piano legislativo, ma anche pratico, rischiamo di andare incontro ai gravissimi problemi sociali della Francia, che periodicamente vede scoppiare la rivolta nelle diseredate periferie delle sue città, le famigerate banliue o la tragedia conosciuta dall’Inghilterra, dove micidiali attentati sono stati organizzati non da emissari esteri, ma dai figli negletti della sua antica immigrazione, stanchi di essere considerati figli di un dio minore.
In un momento politico delicato come quello che stiamo attraversando, in cui la caccia al diverso pare sia divenuto lo sport nazionale e deliri xenofobi sono declamati come salutari, ci vuole l’impegno di tutti, non solo dei politici, affinché un patrimonio di umanità così prezioso venga adeguatamente riconosciuto ed aiutato ad integrarsi definitivamente nel nostro tessuto sociale.

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