lunedì 19 marzo 2012

Jean Noel Schifano e le sue proposte

28/6/2007



Ieri, presso la Fondazione Mondragone, Jean Noel Schifano, accompagnato dall’editore Antoine Gallimard, ha presentato la sua ultima fatica letteraria: il Dictionaire amoreaux de Naples, un corposo volume di oltre cinquecento pagine, scritto in francese, che attende ancora la stampa presso un editore italiano.
Numerosi sono i libri che lo scrittore francese, a lungo dinamico direttore del Grenoble e cittadino onorario di Napoli, ha dedicato alla nostra città.
Più che parlare del suo Dictionaire, un compendio di tremila anni di storia partenopea, l’oratore, stuzzicato anche dagli interventi del pubblico, si è infervorato nel proporre rimedi alla disastrosa situazione dei nostri giorni ed ha consigliato calorosamente di rimpossessarsi della nostra identità perduta, enumerando gli interminabili record del Regno delle due Sicilie al cospetto dei record negativi di oggi, da capitale della monnezza a territorio incontrastato della criminalità organizzata.
La proposta più originale suggerita dal nostro amico è stata quella di cambiare il nome di alcune strade, per cancellare le tracce della colonizzazione piemontese avvenuta con la truffa dell’Unità d’Italia: piazza del Plebiscito dovrebbe tornare al toponimo di Largo di Palazzo, via dei Mille andrebbe mutata in corso Gianbattista Basile ed infine piazza Garibaldi, tolta al famigerato eroe dei due mondi, origine di tutti i nostri guai, andrebbe intitolata al 3 ottobre 1839, una data storica anche se poco conosciuta: l’inaugurazione della prima linea ferroviaria italiana, la Napoli Portici.
Schifano proponeva di seguire la via di una petizione o meglio ancora quella di un referendum popolare (ignorando forse che nel nostro ordinamento non esiste tale forma giuridica).
Il sottoscritto, nel corso del dibattito, ha rammentato che anche il corso Vittorio Emanuele, la prima tangenziale del mondo, aspetta ancora giustizia e l’intitolazione al nome del suo ideatore, Ferdinando II, che la realizzò in poco più di un anno. Poi, infervorato dal suo entusiasmo e dalle sue parole, ho preso solennemente l’impegno il giorno 4 luglio, bicentenario della nascita di Garibaldi, di recarmi, da solo o con qualche altro volenteroso poco importa, nella piazza della stazione e di cambiare materialmente le targhe che indicano il luogo come piazza Garibaldi con la nuova dizione di piazza 3 ottobre 1839, una data fatidica della nostra storia che i nostri colonizzatori hanno cercato di farci dimenticare. 
Tutto il mondo deve sapere che i Napoletani sono gente antica, che non vuole recidere le radici col passato e che ha rifiutato vigorosamente le suadenti sirene della modernità. Rappresentiamo una delle ultime tribù della terra in lotta contro la globalizzazione.
Abbiamo alle spalle una storia gloriosa di cui siamo fieri, passeggiamo sulle strade selciate dove posò il piede Pitagora, ci affacciamo ai dirupi di Capri appoggiandoci allo stesso masso che protesse Tiberio dall’abisso, cantiamo ancora antiche melodie contaminate dalla melopea fenicia ed araba, ma soprattutto sappiamo ancora distinguere tra il clamore clacsonante delle auto sfreccianti per via Caracciolo ed il frangersi del mare sulla scogliera sottostante.
Avere salde tradizioni e ripetere antichi riti con ingenua fedeltà è il segreto e la forza dei Napoletani, gelosi del loro passato ed arbitri del loro futuro, costretti a vivere, purtroppo, in un interminabile e soffocante presente. 

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