domenica 18 marzo 2012

La nascita del "Fico"

6/4/2007

Gian Filippo è da oltre quarant’anni uno dei miei amici più cari, a tal punto che il mio unico figlio maschio ha preso il suo nome.
Discendente da una delle più ricche famiglie tedesche è riuscito a dilapidare in pochi decenni un immenso patrimonio. I suoi antenati erano illustri scienziati e celebri docenti universitari, il padre ammiraglio, ma nel suo Dna non vi è mai stata alcuna traccia del passato splendore celebrale.
Lo conobbi al primo anno di università e volevamo preparare assieme l’esame di anatomia, con noi anche Emanuele, un clone di Gian Filippo in quanto ad  intelligenza, entrambi erano al loro quarto tentativo dopo altrettante solenni bocciature.
Studiavamo nello splendido salone della sua villa di via Tasso, una dimora tra le più prestigiose della città, acquistata dalla madre quando la sua famiglia si trasferì all’ombra del Vesuvio da Berlino, dove possedeva un imponente castello distrutto dalle bombe della seconda guerra mondiale.
Il giorno della verità io rimediai un 29, mentre i miei amici furono nuovamente trombati. Emanuele decise di abbandonare gli studi e di vivere, beato lui di rendita, cosa che fa ancora oggi, mentre Gian Filippo ascoltò il mio consiglio e si iscrisse a Veterinaria, ritenendo che un cane un domani, forse, si sarebbe fatto curare da lui, un cristiano giammai. E fu la sua fortuna perché in breve si laureò e, a dimostrazione del declino inesorabile della nostra università, ha ricoperto per decenni la carica di docente nell’istituzione federiciana.
La villa aveva tre piani di 200 metri quadrati ciascuno ed era circondata da 2000 metri di giardino con alberi secolari. Al primo livello vi erano i saloni di ricevimento, che oggi sono trasformati nel ristorante il Gallo nero, al secondo vi erano le camere da letto, mentre un piano leggermente affossato versava in stato di abbandono da anni. Convinsi il mio amico a concedermelo per un anno gratuitamente ed io lo avrei trasformato in una discoteca, che gli avrei poi ceduto dopo un utilizzo di 12 mesi.  
Il mio amico credeva che avrei chiamato un’impresa di costruzioni per la ristrutturazione, viceversa schiavizzai tutti gli amici, con la promessa di ingressi gratuiti e secondo le competenze affidai loro un incarico materiale…
Diego e Massimo, i più robusti, furono impegnati per i trasporti più pesanti e fisicamente collocarono a regola d’arte il pavimento della discoteca; Luciano, esperto di elettricità si interessò degli impianti, per la parte idraulica Leandro superò se stesso, mentre i mobili e le altre suppellettili furono costruiti (unico apporto esterno) da don Salvatore, un pregiudicato riciclatosi come falegname. 
Dopo trenta giorni il locale era pronto per l’inaugurazione, non restava che dargli il nome e poiché a quell’età, ma anche in seguito, il pensiero corre sempre dietro la stessa idea, lo chiamai Il fico, in onore della sorella, nome che conserva ancora oggi a distanza di otto lustri.
La serata di gala, ed anche le successive, fu allietata dalla musica dei Labbers, un complesso di quattro amici, che, con la scusa di lanciarli, feci esibire gratuitamente per un mese.
Alla porta Nando, il più robusto degli amici, al quale nessuno sfuggiva, al bar Sergio, che abilmente, utilizzando micidiali bustine, preparava intrugli che avrebbero avvelenato uno struzzo e spacciava per champagne francese il nostrano famigerato Perlino.
Il divertimento era assicurato grazie alle nostre simpatiche amiche che organizzavano irresistibili cotillons, privi di ricchi premi.
Tra i più eleganti Gennaro e Lucio, spesso accompagnati da belle ragazze senza mai concludere niente di penetrativo.
L’atmosfera era festosa ed il divertimento assicurato, ma l’impegno di dover stare nel locale ogni sabato e domenica dopo pochi mesi mi pesava troppo, per cui accettai l’offerta di Gian Filippo di subentrare prima nella gestione del locale. In cambio mi diede uno splendido brillante di quasi due carati, che gli era stato restituito da una fidanzata che lo aveva piantato e che io, dopo anni, feci pegno del mio eterno amore con Elvira.
Dopo poche serate vi fu la visita con relativa multa salatissima della Siae e dopo alcuni giorni si presentò la malavita a richiedere la tangente.
Gian Filippo se la fece letteralmente nei pantaloni e mise a presidiare la discoteca don Salvatore, il quale, a suon di mazzate, convinse gli estorsori a girare al largo. Da allora si è impossessato del Fico che gestisce come sua proprietà ed è già molto che se il mio amico vuole trascorrere una serata non gli fa pagare il biglietto.

Nessun commento:

Posta un commento