giovedì 22 marzo 2012

“Le tribolazioni di un innocente”

3/7/2008




Caro Direttore,
Mi perdoni se questa volta Le parlo di un argomento poco gradito dalla maggioranza dei lettori, preoccupati dal dilagare della criminalità, ma purtroppo scrivo dall’interno del carcere di Poggioreale, che sto attraversando, mio malgrado, nei suoi gironi che neanche la fertile fantasia di Dante avrebbe potuto immaginare.
Anni fa organizzai un convegno sulla penosa situazione penitenziaria, raccogliendo le voci che emergevano da quei luoghi di sofferenza, ma non potevo nemmeno ipotizzare l’abisso nel quale si può precipitare.
Appena ricevuto, in base ad un regolamento severo oltre misura, mi sono stati sequestrati, a parte il pettine e numerosi oggetti personali, alcuni libri e giornali con i quali speravo di trascorrere qualche ora di distrazione, le foto di mia moglie, dei miei figli e dei miei nipoti, che mi avrebbero dato una ragione per sopravvivere, addirittura anche un quaderno bianco e la penna, perché non bisogna pensare, non bisogna scrivere, bisogna diventare un’automa e non più una persona. 
Più permissivo, il pur durissimo carcere dello Spielberg dove a Silvio Pellico fu concesso di scrivere “Le mie prigioni”. Sembra una strategia studiata per annientare l’individuo, una pratica molto efficace: nel mio caso ha quasi completato la sua opera in pochi giorni! Sono ospite del padiglione Avellino, quello più accogliente che riceve i neofiti del carcere. Pare che rispetto agli altri sia rose e fiori: un’ora di aria 2 volte al giorno in un cortile di 200-300 mq circoscritto da mura infinite, per un enorme numero di utenti. Le celle di 15-20 mq ospitano, con letti a castello, fino a 10 detenuti che in questi giorni hanno temperature intollerabili e sono meta di  nugoli di zanzare. La latrina è contigua alla cucina dove la quasi totalità dei carcerati, si prepara i pasti acquistati con sacrificio allo spaccio. Anche rimanere un buon cristiano è impossibile, perché si può seguire la messa solo ogni 15 giorni.
E’ impossibile resistere a questo meccanismo perverso e assolutamente ingiustificato. Infatti se può essere lecito anche se doloroso togliere ad un detenuto la sua libertà è assolutamente esecrabile privarlo della sua dignità di uomo. E’ un peccato che grida vendetta davanti a Dio e che la legge deve mitigare e regolare.
I colloqui settimanali sono un conforto molto importante, perché anche se per una manciata di minuti, si possono toccare le mani delle persone care. Nonostante si debba affrontare una via crucis: dentro, con un’attesa interminabile tutti stipati in camere di sicurezza stracolme, mentre all’esterno i parenti fanno file massacranti di ore sotto l’acqua e sotto il sole senza un briciolo di pietà per bambini malati ed anziani.
Il sovraffollamento nelle celle è un fattore gravissimo che porta all’esasperazione, anche se spesso si crea un modus vivendi per istinto di sopravvivenza. Pochi sono stati fortunati come me, di trovare in cella tre giovanissimi: Emanuele A. rapinatore, Antonio P. estorsore e Sasà R. aspirante killer. Dei ragazzi che sono stati spinti al crimine dalla mancanza del lavoro ma che sono pronti a redimersi. Essi si sono messi a mia disposizione come figli rispettosi, cucinandomi, confortandomi e soccorren­domi di notte quando mi sentivo male. Dimenticavo sono plurinfartuato ed in attesa di by-pass.

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