mercoledì 21 marzo 2012

Museo diocesano di Napoli

5/12/2007

Finalmente, dopo decenni di attesa e di promesse non mantenute, grazie alla visita del Papa alla nostra città, ha aperto i battenti il museo diocesano, usufruendo di una struttura di lusso: la chiesa di Donna Regina Nuova, una delle più famose di Napoli, chiusa alla fruizione da oltre 35 anni.
L’inaugurazione non ha avuto da parte dei mass media l’attenzione che avrebbe meritato, perché nello stesso giorno Capodimonte festeggiava il suo 50° compleanno con l’arrivo di 70 capolavori provenienti dai più importanti musei del mondo.
Nell’arco di un anno dovrebbe aprire anche il secondo piano, il quale esporrà centinaia di quadri provenienti da chiese distrutte o chiuse da tempo immemorabile, che giacciono tristemente nei depositi.
Il nuovo museo arricchisce ulteriormente uno straordinario circuito espositivo, degno di una grande capitale dell’arte, che meriterebbe ben altro numero di visitatori.
In particolare il museo diocesano dovrebbe assorbire anche gli spazi della contigua chiesa di Donna Regina Vecchia, storicamente un unicum spaziale che andrebbe ricostituito, principalmente per ovviare ad una situazione logistica attuale che grida vendetta. Infatti chi volesse oggi visitare l’antico edificio sacro con i suoi straordinari affreschi trecenteschi, si vedrebbe le porte sbarrate da un utilizzo della struttura da parte di un istituto universitario, chiuso sempre il sabato e la domenica e che concede con parsimonia la visita soltanto a gruppi organizzati. La parte inferiore della chiesa è poi addirittura utilizzata dal contiguo museo Madre, tanto caro ai nostri amministratori amanti del contemporaneo, il quale ostruisce con mastodontici pannelli il sacro luogo e ne fa continue mostre di artisti… moderni, che con le loro opere costituiscono uno stridente contrappasso con i capolavori del passato.
La visita del museo permette in primo luogo di poter ammirare il patrimonio della chiesa, depauperato vistosamente durante gli interminabili anni di chiusura, durante i quali, complice un criminale abbandono, i ladri hanno asportato di tutto incluso le balaustre marmoree di alcune cappelle. 
Ad accogliere il visitatore, dopo aver ammirato la facciata della celebre chiesa (fig. 1) vi è la navata affrescata (fig. 2) dal De Benedictis, uno stanzionesco poco noto e sullo sfondo il gigantesco affresco di Francesco Solimena raffigurante il Miracolo delle rose (fig. 3), eseguito tra il 1681 ed il 1684, un capolavoro impregnato ancora di naturalismo, ma ricco di spunti dal Lanfranco, dal Cortona e dal Giordano, nel quale, una pennellata calda vibra nel delineare le figure che sembrano percorse da un brivido di luce.



Nelle cappelle laterali sono tornati i numerosi dipinti (fig. 4)  di Tommaso Fasano, un giordanesco attivo nella chiesa nel 1694, ispirato alla produzione del maestro degli anni Ottanta,  quando la sua tavolozza prediligeva i colori chiari. Il pittore realizza anche alcuni affreschi (fig. 5 – 6), suggestionato da esempi di cultura genovese.
Sono finalmente visibili i due dipinti: Annunciazione e Immacolata Concezione (fig. 7 – 8) eseguiti da Charles Mellin, un artista lorenese attivo a Napoli dal 1643 al 1647, che influenzò la corrente purista e virò la sua tavolozza da un raffinato cromatismo di matrice neo veneta verso colori scuri, influenzato dal tenebrismo che si respirava tra le strade del viceregno.





Nella zona absidale trionfano due grandi tele di Luca Giordano raffiguranti le Nozze di Cana ed il Discorso della montagna, eseguite nel 1705 e lasciate parzialmente incompiute per la morte del pittore, il quale, con pennellate rapide e vigorose, ritorna alla sua potente maniera scura, ricca di rimembranze veronesiane e di suggestioni crepuscolari, dopo essersi espresso negli anni Ottanta con la sua liquida maniera chiara nell’affresco raffigurante Salomone (fig. 9) posto nella volta del coretto all’altezza dell’ingresso.
La cupola (fig. 10) è affrescata da Agostino Beltrano nel 1655 e molti ritengono sia la sua ultima opera documentata prima della morte avvenuta l’anno successivo, viceversa egli continuerà a lavorare ancora a lungo sicuramente fino al 1662. 

Prima di entrare nella sacrestia incontriamo una volta incannucciata, purtroppo molto rovinata, eseguita da Santolo Cirillo verso la metà del Settecento e raffigurante il Serpente di bronzo. Negli ambienti successivi sono conservati alcuni armadi lignei seicenteschi ed alcune tele, da una Madonna col Bambino, di Massimo Stanzione collocabile alla fine degli anni Quaranta e trascurata dalle antiche guide perché pesantemente ridipinta, fino a quando Raffaello Causa la fece restaurare restituendola all’antico splendore, a due modeste nature morte settecentesche di ignoto. Sono ospitate anche alcuni dipinti non facenti parte dell’arredo primitivo della chiesa: dalla magnifica pala d’altare che permise ad Andrea Vaccaro di strappare al giovane Luca Giordano la committenza per l’altare maggiore della chiesa di S. Maria del Pianto ad una struggente tela di Solimena, mentre nella sala adiacente trova collocazione il Riposo nella fuga in Egitto (fig. 11) di Aniello Falcone, proveniente dall’antisacrestia del Duomo, dove era poco visibile e non poteva essere apprezzato come uno dei capolavori dell’artista, uno dei pochi firmato e datato. Gli fa compagnia un Compianto su Cristo morto (fig. 12) del Vaccaro, fino ad ora noto solo agli specialisti, dal robusto impianto compositivo.


Sull’altare vi è una Dormitio virginis proveniente da Donna Regina Vecchia, mentre nel corridoio vi sono molti altri dipinti tardo cinquecenteschi e seicenteschi che rappresentano una piacevole sorpresa non solo per gli appassionati, ma per gli stessi studiosi. Numerose tele di Teodoro d’Errico ed una delicatissima Madonna delle Grazie (fig. 13) di Pietro Torres, un altro componente della folta colonia fiamminga attiva a Napoli per decenni, dopo l’esodo provocato dalla sanguinosa notte di San Bartolomeo.

Completiamo la nostra carrellata con un tela di un autore ancora in via di definizione, una Sacra famiglia da decenni in deposito, proveniente dalla chiesa di S. Maria delle Grazie a Caponapoli, assegnata al Maestro di Fontanarosa, una personalità che  in passato il Bologna ha creduto fosse Geronimo De Magistero e che a nostro parere oggi  può, con grande probabilità, essere identificata con Giuseppe Guido.
Chi vorrà eseguire la visita del museo con la compagnia del sottoscritto appuntamento il 5 gennaio alle ore 10,45, in occasione della 18° tappa del percorso degli Amici delle chiese napoletane.

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