domenica 25 marzo 2012

Passeggiando per antichi casini

27/4/2009

Rimembrando le memorabili giornate di Monumenti porte aperte, numerose associazioni organizzano visite guidate, non solo alle testimonianze artistiche e storiche della città, ma anche all’immenso patrimonio culturale di tradizioni e leggende; in questa scia va collocata l’iniziativa di Insolitaguida, che si propone di far conoscere gli antichi casini napoletani attraverso un originale percorso che prevede, in 90 minuti, la scoperta di un mondo perverso ed affascinante, ricordato con struggente nostalgia da tutti i napoletani con i capelli bianchi, assidui frequentatori del peccato consentito dalle leggi dello Stato.
L’itinerario contempla una tappa in alcuni ambienti dello storico ritrovo di salita Sant’Anna di palazzo, dove si ascolteranno i racconti su alcuni prestatrici d’opera dell’epoca, da Anastasia a friulana a Nanninella a spagnola, famose per le loro prestazioni particolari che venivano incontro ai desideri inconfessabili dei clienti, né più, né meno delle meretrici di Pompei, che esponevano, con disegni inequivocabili le specialità della ditta.
Attualmente la vecchia casa di tolleranza La Suprema è stata trasformata nel Chiaja hotel de charme, con alcune stanze che portano ancora il nomignolo delle donne dispensatrici di lussurioso piacere.
Si passa poi al Monferrante, altra casa di tolleranza tra le più ambite della città, dove saranno narrati sfiziosi aneddoti e si parlerà delle regole e delle tariffe applicate nei bordelli partenopei.
Una differenza che verrà sottolineata è quella tra le case eleganti del quartiere Chiaja, frequentate da commercianti e professionisti e quelle, a buon mercato, dei vicini quartieri spagnoli dove i prezzi venivano incontro alle improcrastinabili esigenze del popolo. 
Napoli è stata a lungo capitale della prostituzione sia maschile che femminile ed in passato si è dotata di leggi lungimiranti per confinare in alcune aree della città la pratica del più antico mestiere del mondo. In passato, come apprendiamo dalla Storia della prostituzione del Di Giacomo, vi erano luoghi, stabiliti dall'Autorità, dove travestiti e prostitute potevano liberamente esercitare...A lungo questa zona fu l'Imbrecciata, che si trovava nei pressi di Porta Capuana.  
Cominciò a svilupparsi intorno al 1530 ed in quell'area vennero progressivamente localizzati tutti i postriboli partenopei. Infine, in un editto emanato nel 1781, l'Imbrecciata fu riconosciuta come l'unico quartiere dove era ammesso il meretricio. Nel 1855, per evitare sconfinamenti, la zona fu delimitata da un alto muro di cinta con un solo cancello d'accesso, presidiato dalla polizia, che faceva cessare ogni attività poco prima della mezzanotte. Questa segregazione durò fino al 1876, quando fu consentita la prostituzione anche in altri quartieri. Nell'ambito di questo rione off limits vi era una strada frequentata solo dai travestiti, che si chiamava per l'appunto vico Femminelle, toponimo che tramutò prima in via Lorenzo Giustiniani ed oggi via Pietro Antonio Lettieri. L'utopia di creare un quartiere separato per la prostituzione è l'orientamento odierno di numerosi paesi del nord Europa dove, attraverso consuetudini e regolamenti, il sesso a pagamento viene limitato in quartieri a luci rosse,il colore della lanterna che serviva a segnalare le cortigiane napoletane, come raccontava nel 1785 Charles Dupaty nel suo Lettres sur l'Italie.
Dopo l’Unità d’Italia si cercò di porre un argine al dilagare delle malattie veneree aprendo i famosi casini, tenuti dallo Stato, che ne regolava l'attività e fissava le tariffe, dando poi l'appalto, come un qualsiasi genere di monopolio, ad un privato, la famigerata maitresse. Sul funzionamento di queste case abbiamo memorabili descrizioni di Francesco Mastriani nel suo celebre romanzo i Vermi, mentre la storica Lucia Valenzi compulsando gli archivi ha reperito le poche notizie documentarie che ci illuminano sulle terribili condizioni di vita delle puttane dell'epoca (una situazione che, purtroppo, ai nostri giorni ha subito un precipitoso peggioramento). 
La provenienza delle ragazze di piacere era per metà cittadina, dai vicoli più bui e malfamati e per metà dai paesi del contado, dove spesso una fanciulla disonorata non aveva altra scelta che il bordello. Per lavorare bisognava iscriversi nei ruoli, ricevere una libretta ed entrare poi nel giro, che prevedeva un via vai in numerosi postriboli su e giù per l’Italia, cambiando luogo ogni sette, massimo quindici giorni. La prestazione delle ragazze veniva compensata con la famosa marchetta, un gettone forato al centro acquistato dalla maitresse e consegnato in camera prima del rapporto. 
Erano previste tariffe particolari a tempo e la famosa doppia. Nel 1891 Giovanni Nicotera stabilì che dalle finestre non ci si potesse più mostrare, per cui le persiane chiuse divennero un contrassegno delle case chiuse. 
I casini napoletani avevano fama di arredamenti sontuosi, dal velluto alla seta e trattamenti particolari; ne parlano entusiasti, non solo i viaggiatori del Grand Tour, ma anche intellettuali famosi nell’Ottocento e nel Novecento; meno entusiasta è invece la descrizione che traspare dall’inchiesta giornalistica di Jessie White Mario nel suo libro la Miseria di Napoli, una testimonianza cruda ed spietata. 
La guerra con l’arrivo degli Americani, carichi di dollari e sigarette, fece esplodere il mercato aumentando l’offerta con le signorine che si vendevano per contrastare i morsi della fame; è la triste epoca delle tammurriate nere e del meretricio praticato in centinaia di bassi, magistralmente descritto da Malaparte nella Pelle. Poi cinquanta anni fa, febbraio 1958 entrava in vigore la legge Merlin e, pur con la lodevole intenzione di liberare le prostitute da un giogo secolare, non si faceva altro che gettarle in pasto ai lenoni, mentre gli Italiani, come sintetizzava magistralmente il film di Totò, erano costretti ad arrangiarsi. Per pochi bacchettoni, difensori della morale, fu una conquista civile di portata storica, per molti una inutile ipocrisia che renderà la prostituzione una giungla feroce senza igiene, senza regole, senza pietà. 
A Napoli si ebbero giganteschi falò con i materassi dei casini pieni di ricordi e di pidocchi. Allora le prestatrici d'opera provenivano in gran parte dalla provincia e prevalevano, in un'Italia perbenista e bigotta che non esiste più, le sedotte ed abbandonate. Oggi siamo obbligati a confrontarci con un turpe ritorno allo schiavismo, gestito dalle mafie straniere, con punte di ferocia impensabili mezzo secolo fa.
Per chi volesse approfittare di queste visite guidate telefonare per la prenotazione al 338 9652288, per chi volesse approfondire l’argomento consiglio di consultare su internet alcuni miei scritti: per la prostituzione maschile il mio saggio i Femminielli per l’atmosfera dei casini Nostalgia dei casini ed il Casino di Santa Chiara, per un quadro generale del fenomeno Breve storia della prostituzione a Napoli dal Cinquecento ai nostri giorni  e per la situazione attuale un Esercito di puttane colorate nel regno dei casalesi.

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