mercoledì 28 marzo 2012

Scipione Compagno un elegante petit maitre

25/6/2009

Scipione Compagno nasce secondo lo Zani nel 1624 e muore dopo il 1680, è documentato tra il 1638 ed il 1664. Il De Dominici lo cita come pittore di paesaggi e di marine, una veste nella quale ci è ancora sconosciuto. Egli è influenzato dai modi del Corenzio e di Filippo D’Angeli e mostra inoltre il marchio delle architetture fantastiche del De Nomè, oltre a risentire dell’impronta del Brill e di pittori olandesi come Breenbergh e Polenburgh. Il Causa, dal carattere arcaico delle sue scenografie, aveva ipotizzato che egli appartenesse alla generazione precedente a Micco Spadaro, ma i documenti ed i dati anagrafici scoperti di recente hanno dimostrato che trattasi di pittori coevi.
Ignazio Compagno lavorava nella bottega del fratello Scipione ed era specializzato nelle repliche di soggetti richiesti dalla committenza e, secondo il De Dominici, era particolarmente versato nell’esecuzione delle figure grandi.
Il Salerno ha ipotizzato una sua partecipazione nei quadri del fratello, perché nel catalogo di questi sono presenti quadri di impostazione ed esecuzione diversa, che, se non dipendono da un’evoluzione stilistica dell’artista, possono presupporre l’intervento di un collaboratore.
Anche per il Compagno la massa anonima diventa la protagonista dei suoi quadri nei quali è abile a collocare gran popolo in poco spazio e ad immergere gli avvenimenti in un’atmosfera fantastica e surreale.
Fino agli anni Settanta gli erano riconosciute poche opere, poi il Salerno ritenne di aggiungere al suo corpus tutto il gruppo di dipinti che il Longhi, riconoscendone la stessa mano, aveva attribuito a Filippo Napoletano, di cui allora poco si conosceva. Il folto gruppo di tele fu raccolto intorno ad un grande dipinto firmato e datato”Compagno 1658”.
Nel suo catalogo così ampliato, con l’aggiunta di varie tele firmate, si possono distinguere chiaramente due tendenze, che come abbiamo detto in precedenza hanno fatto ipotizzare la mano di due diversi pittori, una caratterizzata dai colori chiari e dall’esecuzione più accurata, l’altra da un fare sciolto e compendiarlo, con impasti cromatici più sostanziosi e con una tavolozza di colori più scuri, dominata dai toni bruni e terrosi.
Di recente qualche sua tela è stata trasferita nel corpus di Cornelio Brusco, un artista risorto da un oblio secolare grazie alle ricerche della Nappi.
Pochi i documenti di pagamento, pubblicati dal D’Addosio e riferiti al 1641, rare le citazioni inventariali.
Le sue opere di maggior successo furono più volte replicate, spesso su rame ed alcune sono molto suggestive come l’Eruzione del Vesuvio del 1631(fig. 1) del Kunsthistoriches di Vienna, firmata, nella quale oltre all’interesse documentario per un luogo famoso della città di Napoli oggi scomparso, molto ben rappresentata è la folla formicolante in preda al panico, espressa con una vivacità di tocco rara a vedersi negli altri specialisti del genere, come possiamo osservare anche in una replica(fig. 2) su tela con numerose varianti, di maggiori dimensioni, conservata nella collezione Costantini a Roma, imperniata sulla famosa processione con in testa San Gennaro per intercedere sulla fine dell’eruzione del 1631 ed eseguita con una pennellata sciolta e sommaria e colori più cupi, al punto che qualche studioso ha ipotizzato il pennello del fratello Ignazio.
La sua produzione anche se inferiore qualitativamente e quantitativamente a quella del Gargiulo, a cui può essere paragonato, esercitò ad ogni modo un influsso su altri pittori tra cui Nicola Viso ed il tedesco Franz Joachim Beich, presente a Napoli all’inizio del Settecento.

Il pittore era affezionato a poche iconografie molto richieste dal mercato, che replicava numerose volte, spesso con significative varianti. 
Un esempio calzante è rappresentato, nel campo della pittura raffigurante scene di  martiri, che tanto successo ebbe a Napoli a metà secolo, dalle numerose varianti del Martirio di S. Orsola e le sue compagne. Si tratta di un soggetto citato anche negli archivi sotto il nome dell’artista, infatti il Perez Sanchez segnala un suo quadro, datato 1647, in Spagna nella collezione dell’Almirante de Castilla.
Noi abbiamo raccolto circa dieci composizioni e ci limitiamo a segnalare quella(fig.3) in collezione Lemme a Roma, pendant della Strage degli innocenti della Galleria Nazionale d’arte di Roma, firmata per esteso e datata 1642 e dell’Entrata di Cristo in Gerusalemme(fig. 4) di collezione della Ragione, firmata “compagno” e datata 164…(facciamo notare nelle tele l’identica disposizione allineata delle teste dei personaggi) e quella(fig. 5), transitata sul mercato internazionale e talmente influenzata dal De Nomè da far presupporre una collaborazione, che  raffigura il martirio della santa e delle sue 11.000 compagne vergini avvenuto fuori delle mura di Colonia.



Anche per la Decollazione di San Gennaro esistono svariate versioni, tutte molto differenti, caratterizzate da consistenti prelievi, negli sfondi, dall’architettura surreale e visionaria del De Nomè Noi proponiamo quella (fig. 6) del museo di Nantes, la più famosa, che dimostra l’elevato grado di maturità raggiunta nell’assemblare il gruppo di personaggi in primo piano, pregni di una carica dinamica che dà movimento e carattere alla scena, mentre si delinea l’ampio paesaggio sullo sfondo. Ricordiamo poi quelle conservate a Vienna, Pèrigueux ed in collezione napoletana, presentata nel 2006 alla mostra sui Campi Flegrei e proveniente dalla vendita in asta nei mesi precedenti di un lotto di ben sei quadri di Scipione.  Questa serie comprendeva anche una Resurrezione di Lazzaro, un’Adorazione del vitello d’oro, una Strage degli innocenti, un Martirio di S. Orsola ed un’Entrata di Cristo in Gerusalemme(fig. 7), replica autografa, di dimensioni leggermente maggiori(raffrontare la scena sui margini), di quella in collezione della Ragione a Napoli. Tutti dipinti nei quali è fitta la folla di figurine la cui massa indistinta vive in paesaggi e vedute definiti da alcuni elementi architettonici e strutturali ricorrenti, sempre giocati con una tavolozza dove predominano colori bruni e marroni.


L’iconografia della Strage degli innocenti ebbe un successo notevole e il Compagno ne realizzò numerose redazioni. Oltre a quella celebre della Galleria d’arte antica di Roma, proponiamo un tondo(fig. 8) dai colori accesi in collezione Alisio a Napoli, una(fig. 9) in collezione Romano, firmata e datata 1649, ed un’altra transita a Firenze sul mercato antiquariale.


Tra i soggetti biblici segnaliamo un Mosè fa scaturire l’acqua dalla rupe(fig. 10), firmato “Sc. ne compagno” del   museo Camon Aznar di Saragozza ed un Tripudio del popolo ebraico intorno al vitello d’oro(fig. 11) , esitato in un’asta Semenzato del 1992, entrambi caratterizzati da colori caldi e vivaci; il cielo costellato di cupe nubi di chiara ispirazione spadariana e la folla che diventa la vera protagonista del racconto sono una costante precipua dello stile pittorico del Compagno, che in queste due tele è abile nel raccogliere tante figure in poco spazio, curando di dare un gradevole cromatismo alle vesti dei personaggi. Inoltre una Moltiplicazione dei pani e dei pesci(fig. 12) passata sul mercato della capitale ed un’Adorazione del vitello d’oro(fig. 13), firmata e datata 1649, in collezione privata romana. 




Di fondamentale importanza nello scandire il percorso dell’artista è La Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre(fig. 14) già in collezione Rosa, firmata e datata 1658, la quale rinvia, per impaginazione della composizione al Giudizio universale(fig. 15) in vendita negli anni Cinquanta presso un antiquario a L’Aquila.


Di argomento diverso e molto vicino ai modi di Filippo D’Angeli il paesaggio fluviale con soldati(fig. 16), di collezione bolognese, mentre il Trionfo di un imperatore romano(fig. 17), esitato presso Christie’s  a Roma lascia qualche dubbio sull’autografia, alla pari dei Mangiatori di maccheroni(fig. 18) della galleria d’arte antica di Roma, assegnato sul Lessico della Treccani addirittura al Gargiulo e la Costruzione della Croce(fig. 19) ad ubicazione sconosciuta, che siamo tentati di attribuire ad un anonimo napoletano, vicino al Coppola più che al Compagno.




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