domenica 18 marzo 2012

Una tragedia sofoclea

5/2/2007

Come mai Pupetta Maresca trova un posto e di rilievo, in un Pantheon ideale di napoletani da ricordare, al fianco di giureconsulti e di principi del bisturi, attori, registi e scrittori di fama?
Una donna che ha ucciso e che ha trascorso oltre 10 anni in carcere è lo stesso degna di essere ricordata, perché, come ha dimostrato in maniera inappellabile la giustizia con una sua sentenza, ella ha agito esclusivamente per amore e per desiderio di giustizia, spinta a farsi vendetta da sola a causa dell’incerto andamento e dalle lungaggini delle prime indagini.
La vicenda che la riguardò avvenne negli anni ’50 ed all’epoca vi fu un grande risalto sulla stampa dell’episodio e tutti gli italiani furono straordinariamente impressionati non solo per la personalità di Pupetta, ma anche per le modalità del delitto, che presentò tutti gli aspetti della tragedia sofoclea, inscindibilmente connessi sia alla modalità dell’assassinio, sia alla reazione istintiva dell'opinione pubblica, la quale ebbe grande comprensione e compassione, nel senso greco del termine, verso la protagonista.
A Napoli le donne sono state da sempre delle grandi protagoniste della storia e spesso la gioia, i dolori ed i furori della città hanno trovato espressione in personaggi femminili, dalla forza impulsiva, dalla irruenza generosa, dallo slancio materno.
Tutto ciò avviene da tempo immemorabile fino ai nostri giorni come cantano le parole della canzone di Baccini «Le donne di Napoli»: sono tutte delle mamme; le donne di Napoli si gettano tra le fiamme.
Napoli ha espresso nei secoli degli archetipi ideali della città femmina, dal ventre materno.
La Napoli generosa e tenace è stata rappresentata da Filumena Marturano quella terribile materna dalla Medea di Porta Medina, l’eroina da Marianna De Crescenzo, detta la «Sangiovannara», la quale combatté a fianco dei garibaldini durante il crepuscolo borbonico, fino a giungere ai giorni nostri con le madri coraggio dei quartieri spagnoli, emule di Don Chiscotte, che combattono la loro difficile battaglia contro la droga e le signore della camorra, che riproducono una sorta di primato simbolico della donna nella cultura napoletana.
Tutte queste figure di donne sono tra loro molto diverse, alcune parto della fantasia di qualche scrittore, ispiratosi a personaggi realmente vissuti, altre sono donne in carne ed ossa, sangue e muscoli, personalità vulcanica e furia indomabile.
In questa galleria ideale di soggetti femminili Pupetta Maresca occupa una postazione particolare, come una sorta di spartiacque tra ruoli, valori e comportamenti femminili tradizionali e gli stessi ruoli visti in un’ottica più moderna, illuminati da un femminismo antifemminista. Pupetta è bella, giovane, coraggiosa e fedele alle tradizioni che nella cultura meridionale vogliono che la donna sia depositaria della vendetta, una implacabile vestale custode della famiglia di cui tiene perennemente acceso il fuoco, anche, se necessario col fuoco delle armi.
Pupetta interpreta però in senso moderno il codice della vendetta; non affida infatti il compito di santificarla agli uomini della famiglia, ma si fa giustizia da sola, affrontando in pieno giorno ed a viso scoperto il colpevole della morte del marito con la furia di una leonessa.
Negli anni Pupetta ha intrapreso attività commerciali diventando una donna imprenditrice ed assumendo così un’immagine complessa agli occhi dell’opinione pubblica; da un lato una donna passionale dalle connotazioni familiari, domestiche e rassicuranti, dall’altro una donna leader in grado di farsi largo nel commercio, nonostante l’agguerrita concorrenza; coniugando in tal modo delle qualità che di solito sono ritenute le une escludenti le altre ed affermando una femminilità vittoriosa, senza negare i caratteri più tradizionalmente femminili.
Pupetta nasce nel 1935 a Castellammare di Stabia e la sua famiglia, i Maresca, costituisce un clan molto temuto che domina sul mercato della frutta. I suoi familiari sono soprannominati i Lampetielli per la fulminea velocità con cui sono in grado di estrarre un coltello dalla tasca. Da ragazza, Pupetta ha una fresca bellezza popolare, con una lieve tendenza ad ingrassare. Ha capelli neri ed occhi neri di una rara bellezza. La madre ha un nome arcaico, Dolorinda, che anagrammato risuona «da in dolor». La sua bellezza prorompente le permette giovanissima, ad appena 16, anni di vincere un concorso di bellezza a Pomigliano d’Arco e di mettersi così in evidenza.
Con la sua avvenenza riesce a far cadere ai suoi piedi, innamorato pazzo, un colosso, Pascalone ’e Nola, un boss dei mercati generali di Napoli, che viveva ossequioso di antiche liturgie di una mala oramai superata. Pascalone ’e Nola è un personaggio mitico per la sua statura fisica e per la sua personalità sostanzialmente generosa. Egli è più volte coinvolto in reati annonari e di contrabbando ed opera sul mercato ortofrutticolo di Napoli con la funzione piuttosto misteriosa di presidente dei prezzi, cioè di persona al di sopra delle parti, rispettato da tutti ed incaricato di fissare prezzo valido e vincolante per tutti, i produttori da una parte ed i grossisti e gli esportatori dall’altra.
Egli è uno degli ultimi esponenti di una camorra arcaica, in estinzione, legata al prestigio individuale ed al rispetto di ferree regole di comportamento a codici segreti a speciali catechismi. È una camorra che vive nel mito del grande capo, che in solitudine amministra la giustizia come un triste eroe da puritanesimo suburbano, da mercato della frutta, da colpo di rasoio sulla guancia, da sfregio permanente. Una camorra che, non aveva subito ancora il fascino tenebroso della mafia con i suoi business internazionali, con lo spaccio della droga e la collusione col potere politico.
Una foto del matrimonio ci mostra Pupetta tutta vestita di bianco raggiante di felicità, al braccio del suo sposo, un uomo alto e possente, una vera montagna. Egli dà il braccio alla sposa e poggia la mano destra sull’addome, con le tozze dita di contadino strettamente unite ad eccezione del pollice, che involontariamente tiene diritto verso l’alto, quale inconscio emblema fallico, in attesa della prima notte di nozze.
Si tratta di un classico matrimonio d’amore, che però permette a Pascalone di compiere un salto di qualità, da piccolo boss a camorrista di rango, grazie alla parentela acquista con la famiglia di Pupetta, i temuti Lampetielli.




 


Dal matrimonio e dagli eventi successivi si ispirò il regista Francesco Rosi nel suo famoso film «la sfida» interpretato dalla bellissima Rosanna Schiaffino e da Juan Suarez, nel ruolo di un grossista di ortaggi che si ribella alle spietate leggi della camorra.
Dopo solo tre mesi di matrimonio, il 16 luglio, Pascalone viene ucciso, apparentemente per futili motivi, in corso Novara.
Pupetta denuncia un ex socio di Pascalone, Antonio Esposito, quale mandante dell’omicidio, ma le indagini della polizia vanno avanti lentamente con alterne vicende. La vedova, in attesa di un figlio, ribadisce più volte le sue accuse e rifiuta sdegnosamente, sola contro tutti, le profferte amichevoli per chiudere la vicenda. Quindi Pupetta, stanca e delusa del prolungarsi delle indagini si reca nel negozio di Antonio Esposito e lo invita a venir fuori in strada per discutere. Il gangster ignaro di ciò che sta per accadere acconsente ed accarezza il viso di Pupetta con gesto da boss clemente e protettivo e le sorride con ironia, ma la ragazza fulmineamente estrae la pistola e lo colpisce a morte, fuggendo poi sui monti Lattari, ove verrà arrestata dopo qualche giorno.
La bella vedova vendicatrice diviene un’eroina nella fantasia popolare.
La corte di Assise che doveva giudicarla deve trasferirsi nei giorni del processo da Castel Capuano nell’ex convento di San Domenico Maggiore ove esisteva un’aula per udienze grandissima, che però risultò insufficiente a contenere tutto il pubblico che avrebbe voluto assistere al dibattimento.
In primo grado inflitti 18 anni di carcere, che furono ridotti di 5 anni dalla corte di Assise d’appello, che nel 1960 riconobbe la vedova colpevole di omicidio premeditato con l’attenuante della provocazione.
Nel carcere di Poggioreale, nascerà Pascalino, il figlio del marito ucciso. Scontata la pena, ulteriormente ridotta di 3 anni, Pupetta fu liberata il giorno di Pasqua del 1965 e ritornò nella sua città, Castellammare, con le campane che suonavano a festa, in maniera trionfale rispettata da tutti, grazie anche al prestigio della propria famiglia che vanta antiche e potenti amicizie.





Grazie alla notorietà conquistata, ma soprattutto in virtù della sua fiera bellezza mediterranea, prese parte a due film che ebbero un certo successo di pubblico. Ha interpretato «Delitto a Posillipo» una sorta di racconto autobiografico ambientato sulla celebre collina napoletana e quindi «Londra chiama Napoli».
Continuò ad allevare con l’aiuto dei genitori, il figliolo avuto da Pascalone e per riempire il vuoto sentimentale si innamorò di un giovane boss emergente Umberto Ammaturo, che in seguito divenne uno dei maggiori trafficanti di droga del mondo.
Dall’unione, contrastata dalla stessa famiglia di Pupetta, nascono due figli Roberto ed Antonella.
L’amore è passionale ma i periodi di tempo da trascorrere insieme sono molto ridotti, è un continuo rincorrersi per incontrarsi, mentre uno usciva di galera l’altro ci entrava, mentre lei tornava in libertà lui evadeva o si dava alla latitanza.
La vita di Pupetta che nel frattempo si è dedicata al commercio, aprendo una boutique a via Bisignano, nella zona «in» di Napoli è molto movimentata sotto il profilo giudiziario. Viene infatti accusata di aver organizzato il delitto Galli, il massacro del criminologo Semerari, di aver tentato estorsioni ad una banca, di commercio di droga, di associazione camorristica. Da tutte queste accuse viene assolta a volte in istruttoria a volte con sentenza.
Durante un’infuocata conferenza stampa tenuta nel circolo dei giornalisti prende posizione contro Cutolo, minacciandolo apertamente di feroci rappresaglie, se qualcuno della nuova camorra organizzata avesse toccato qualche suo familiare.
Poi una sciagura si abbatte su Pupetta: la scomparsa nel nulla del figlio Pascalino, che lei aveva partorito nel carcere di Poggioreale e che non aveva mai conosciuto il padre, pur portando il suo nome.
Egli aveva la faccia paffuta come la mamma e come lei gli occhi neri e penetranti che ti guardano fissi e provocatori, ma nelle vene scorreva il sangue del padre, del quale voleva seguire la leggenda. Da tempo aveva messo su un piccolo clan, ma all’improvviso sparisce, forse per aver affrontato gli stessi boss di quel clan che 18 anni prima avevano ucciso il padre.
Un giudice, in seguito radiato dalla magistratura per altre faccende, emette undici mandati di cattura per il rapimento di Pascalino. Vengono arrestati tra gli altri Spavone, il famigerato malommo, Gaetano Orlando, l’uccisore di Pascalone ’e Nola che da poco era uscito dal carcere e lo stesso Umberto Ammaturo, che pare fosse stato gravemente offeso dal ragazzo.
Durante un lungo periodo di latitanza, Ammaturo viene arrestato in Brasile, ove tesseva le fila del commercio internazionale della droga. In sua compagnia viene arrestata la sua fidanzata Yohanna Valdez, una bellissima peruviana, che aveva dato al boss due bambini.
Pupetta è annientata da questa scoperta ma conserva la sua antica dignità di donna, dichiarando: «Per me Umberto non esiste più, è morto; resta solo il padre dei miei figli che gli vogliono bene e lo rispettano come è loro dovere».
In seguito Pupetta dovrà chiudere un suo negozio di via Leopardi per i continui furti e le devastazioni di cui era fatto oggetto e si ritira a Castellammare, ove apre un nuovo esercizio commerciale, in un ambiente più tranquillo, cercando un po’ di serenità nell’amore e nella vicinanza dei suoi due figli, uno dei quali, la ragazza, è gravemente malata di cuore.
Gli ultimi episodi in cui Pupetta assurge all’onore delle cronache sono storie recenti. Una nuova accusa questa volta di usura, giusto per cambiare, e la telenovela ancora in corso sullo sceneggiato televisivo, che nel 1982 la RAI aveva preparato sulle sue vicende, interpretato da una giovanissima Alessandra Mussolini, alla sua prima ed unica esperienza di protagonista.
Il filmato fu bloccato dal pretore di Roma nel marzo 1983, su istanza dei legali di Pupetta, che ritenevano lo sceneggiato lesivo dell’onorabilità della loro cliente.
Dopo due anni, grazie alla solerzia della magistratura, che si è pronunciata rapidamente, sulla vicenda, la RAI, sbloccato lo sceneggiato, ne preparava la messa in onda per il 30 giugno 1994. Grande attesa da parte dei telespettatori, soprattutto per poter ammirare una ancora acerba Alessandra Mussolini, nipote del Duce ed ora deputato, nella parte di Pupetta, ma all’ultimo momento l’annunciatrice con un sorriso avverte che di nuovo la magistratura su istanza degli avvocati di parte ha sequestrato lo sceneggiato per ulteriori accertamenti. Perciò arrivederci verso il 2010 alle ore 22,45 su RAI 3. 





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