mercoledì 7 marzo 2012

VENTI DIPINTI INEDITI DI PACECCO DE ROSA


Dopo mesi passati a consultare le foto, classificate come di pittore ignoto, della Biblioteca Germanica di Firenze, del Courtlaud Institute di Londra e dell’Istituto Amatler di Barcellona, oltre tutti i cataloghi delle principali aste svoltesi negli ultimi decenni, credo di aver recuperato poco meno di cinquecento inediti di pittori del Seicento napoletano, il 70% attribuibili con certezza, mentre per i rimanenti permangono margini di dubbio, per cui penso di pubblicarli momentaneamente con un’attribuzione di massima nell’attesa dell’illuminato parere dei napoletanisti.
Pacecco De Rosa è un pittore molto richiesto dai collezionisti che amano le sue creazioni intrise di intimità e le sue fanciulle dalle forme aggraziate, dalle vesti eleganti e dai volti dolcissimi. Ricercato nel Seicento da una committenza laica e borghese, raggiunge oggi lusinghiere quotazioni nelle aste nazionali ed internazionali.
Ebbe una produzione molto prolifica e l’intensificarsi degli studi sulla sua opera negli ultimi anni ci hanno conoscere numerosi inediti, alcuni di elevata qualità.
In questo piccolo contributo ne porto a conoscenza una ventina, rinviando chi volesse approfondire l’artista alla mia monografia consultabile sul web Pacecco De Rosa opera completa.
Cominciamo da un’ulteriore versione della Strage degli innocenti (fig. 1) transitata alcuni decenni fa a Londra in un’asta Bonhmas, che va ad aggiungersi alle tre versioni già note di Philadelfia, Parigi e Napoli, anche questa contrassegnata da una scena concitata e pervasa da profonda emozione alla vista di tanti pargoletti sacrificati. Vi è poi una Morte della Maddalena (fig. 2) di collezione privata in precario stato di conservazione e la stessa santa in meditazione sul classico teschio (fig. 3) dell’antiquario Bellesi di Londra. Segnaliamo poi un Lot e le figlie (fig. 4) presente negli anni Settanta sul mercato antiquariale milanese, border line con la produzione del patrigno Filippo Vitale e probabilmente da collocare tra quei quadri eseguiti a quattro mani sul finire del terzo decennio.



Stupendo il Ratto d’Europa (fig. 5) di raccolta napoletana nel quale compare, in primo piano sulla sinistra, una modella presente in altre composizioni dell’artista alla pari del fanciulletto sulla destra una vera e propria firma nascosta.


Descriviamo ora una terza redazione dell’Adorazione dei pastori (fig. 6) esitata a New York in un’asta Christie’s, più ridotta nella scena e di minore qualità, che si aggiunge alle due già note e da me pubblicate di Montecitorio e di collezione privata fiorentina.


Segnaliamo due episodi della vita di S. Enrico (fig. 7 – fig. 8) posti nella chiesa romana dei Ss. Ambrogio e Carlo, i quali nell’archivio di Federico Zeri erano assegnati al nostro artista, anche se la proposta lascia alquanto perplessi, trattandosi più probabilmente di un giordanesco.



Passiamo ora ad esaminare tre figure di sante, le prime due (fig. 9 – fig. 10) transitate negli anni Sessanta sul mercato romano, di eguali dimensioni, in precario stato di conservazione, sono volti caratteristici che si ripetono spesso nei dipinti dell’artista, in particolare la S. Dorotea è in compagnia del caratteristico fanciulletto, una presenza frequente a partire dalla prima comparsa nel S. Nicola ed il garzone Basilio, conservato nella Certosa di San Martino, documentato al 1636 e ritenuto il più antico lavoro di Pacecco. La terza santa (fig. 11) di collezione privata, elegantemente vestita deborda stilisticamente verso Vaccaro per il sottoinsù degli occhi e verso Stanzione per le lunghe dita affusolate, pur rientrando con certezza nel corpus del De Rosa.



Prendiamo ora in considerazione tre storie testamentarie, la prima (fig. 12) di collezione privata napoletana presenta alcune figure patognomoniche di Pacecco, dal personaggio sulla destra, per la cui realizzazione è stato utilizzato lo stesso modello che ha prestato le sembianze al principe troiano nel Giudizio di Paride conservato al Kunsthinstoriches di Vienna, alla fanciulla in primo piano, che presenta la stessa vaporosa manica slargata, esibita dalla protagonista del Rachele e Giacobbe del museo di San Martino. Ed inoltre la presenza del cane in primo piano, identico a quello presente nel Venere che cerca di trattenere Adone della pinacoteca di Besancon. A tale proposito possiamo precisare che non si tratta del cane personale di Pacecco, che l’artista ha immortalato in più di una tela, permettendo in tal modo, a guisa di firma criptata, di consentire una sicura attribuzione di alcune opere dubbie, cane che fa la sua comparsa viceversa nella tela successiva un Agar al pozzo (fig. 13) di collezione privata europea di notevole qualità. Ancora più bella la terza (fig. 14) esitata a New York in un’asta Christie’s, con tre figure dolcissime che ci ricordano la delicatezza del pennello del divino Guido Reni.




Stupendo è il San Paolo e le tre virtù teologali (fig. 15) di collezione privata europea, un vero capolavoro, dai colori vividi, la coppa in primo piano accuratamente cesellata, le vesti raffinate delle fanciulle dai volti stralunati e dalle fisionomie atipiche nella produzione del pittore, un dipinto che mi ha lasciato a lungo perplesso e che mi ha fatto pensare a qualche nome più altisonante, ma che poi, dopo una lunga riflessione, mi ha convinto.


La Giuditta con la testa di Oloferne (fig. 16) della Smithsonian collection di Washington, purtroppo molto rovinata, rappresenta una delle rare incursioni in tematiche a sfondo cruento, mentre le Due Figure femminili (fig. 17) di ubicazione sconosciuta sembrano incrociarsi per un bacio saffico e certamente vogliono simboleggiare un’allegoria che ci sfugge.


La Madonna con Bambino e San Giovannino (fig. 18) sul mercato zurighese riprende in maniera speculare l’analogo dipinto di un’asta Porro, nel quale compare anche San Giuseppe in compagnia dei tre angioletti arrampicatori sulla croce.


Concludiamo indicandovi con ragionevole certezza il volto del pittore, una curiosità dettata anche dalla leggenda della straordinaria bellezza delle sue sorelle definite all’epoca le Tre Grazie, probabilmente utilizzate come modelle nelle sue tele, a differenza delle nipoti, anche loro bellissime, ma troppo giovani negli anni di attività di Pacecco.
L’occasione ci è fornita dalla scoperta della sigla dell’artista sul volto paffuto in primo piano sulla destra nel Martirio di San Biagio (fig. 19) conservato nel museo provinciale di Lecce, una tela precedentemente considerata dalla critica di bottega e che ora, affermata senza dubbi come autografa, ci permette di identificare nel personaggio posto sulla sinistra che guarda beffardo la scena l’autoritratto di Giovan Francesco De Rosa detto Pacecco.

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