giovedì 5 aprile 2012

I disperati tour della droga


17/3/2011

Da tempo il grande mercato all’aperto di Scampia è divenuto un supermarket della droga, con prezzi imbattibili e con in vendita anche il kit per consumare il loco la dose; un tempio dello spaccio in grado di attirare clientela da tutta Italia, tossici e pusher, che soprattutto nei fine settimana raggiungono la città da Milano e da Firenze, da Bologna e da Genova, da Bari e da Reggio Calabria.
Molti approfittano del viaggio per ubriacarsi in qualche locale del centro, prima di recarsi nelle piazze dello spaccio a fare rifornimento per i consumi di qualche settimana.
Le forze dell’ordine hanno scoperto il flusso turistico e gli arresti sono divenuti giornalieri senza però minimamente intaccare un giro di affari per la criminalità organizzata nell’ordine di milioni di euro al giorno. 
A Capodanno arrivarono in undici dalla Toscana per festeggiare la ricorrenza, sballandosi all’ombra delle Vele, alloggiavano in hotel di lusso, insospettabili, mentre avevano ognuno di loro 40 grammi di stupefacenti tra crack e cocaina, decisi a continuare a drogarsi a casa loro nelle settimane successive. 
I motivi del successo sono legati ai prezzi concorrenziali, ad una buona qualità del prodotto, disponibile in ogni angolo del famigerato quartiere, il quale fino a pochi mesi fa vantava addirittura una dettagliata mappatura su Google Earth.
Da sempre per colpa di una politica miope e suicida sono stati trascurati, e molti versano in un penoso abbandono, dalla Piscina Mirabilis agli stessi scavi archeologici di Pompei, i siti artistici e le località in grado di attirare i turisti, monumenti unici al mondo e delittuosamente lasciati cadere in rovina. 
Nello stesso tempo hanno preso piede alcune umilianti forme di turismo alternativo, che vanno dalla gita in provincia a meravigliarsi per le strade intasate dalla monnezza, con una sosta per fotografare cumuli di rifiuti e bambini che vi giocano allegramente, preferite dagli stranieri e dai settentrionali, fino alle incursioni nella più grande piazza europea dello spaccio per acquistare un sostanzioso quantitativo di droga da consumare poi con comodo nelle stanze di un albergo del lungomare. 
Sono tour del degrado non dissimili da quelli praticati nelle città del terzo mondo, lì uno sguardo veloce alle favelas brasiliane o agli slums africani, da noi il brivido dell’immersione per qualche ora nel cuore di Gomorra. 
Questa moda è la cartina al tornasole di una trasformazione radicale dell’immaginario della città, da pizza e mandolini, monumenti ed una popolazione allegra ed affabile, a terra di nessuno senza speranza. 
Come una Thailandia mediterranea, come una Amsterdam del sud, una città dove prolifera divertimento proibito ed illegalità.
Ma l’aspetto più drammatico è costituito dai protagonisti di queste gite disperate, da un lato ragazzi con il portafoglio pieno provenienti da tutta Italia per acquistare droghe e sballarsi, dall’altro giovani napoletani che vedono nello spaccio l’unica fonte per sopravvivere. 
Sono due facce della stessa medaglia, di una società profondamente malata, senza regole e senza guida, in cui le giovani generazioni non trovano collocazione e precipitano volentieri nel baratro dell’autodistruzione.
La città somiglia sinistramente al grande bordello che era diventata negli anni Sessanta, quando continuamente nel porto sostavano le grandi navi della flotta americana, che scaricavano migliaia di marinai in preda ad astinenza alcolica e sessuale, per i quali Napoli era una città del vizio, ne più né meno che Saigon o Manila.
Napoli, come sempre fa da battistrada nell’abisso della perversione ed inaugura una sorta di turismo all’incontrario, una pallida risorsa per un’economia immersa nel vortice della crisi, non ad ammirare bellezze artistiche o paesaggi ragguardevoli, che pure sono presenti in misura cospicua, bensì per scendere nei gironi infernali dell’abiezione e del degrado spinto al massimo grado, un originale safari attraverso la metropoli dominata dalla camorra sostenibile, con le stigmate dell’irreversibilità.

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