martedì 30 aprile 2013

Ho due famiglie e me ne vanto




Questo articolo di Achille della Ragione ha vinto il 1° premio di 2.000 euro al concorso “Silvio Pellico” (edizione 2012) riservato ai detenuti di tutti i penitenziari italiani. Il denaro della vincita è stato devoluto dall’autore in beneficenza

Ho due famiglie e me ne vanto, ma non sono uno dei tanti adulteri o bigami che lo sfascio della famiglia, di pari passo con la corruzione dei costumi,ha prodotto, con conseguenze devastanti sull’assetto sociale, ma semplicemente sono da tempo, anche se innocente, un detenuto per cui, oltre alla mia splendida famiglia che ho all’esterno e con la quale posso vedermi per poche ore al mese, costituita da Elvira, una moglie adorabile, Tiziana, Gianfilippo e Marina, tre figli affettuosi, Leonardo, Matteo ed Elettra, tre tesori di nipoti, Carlo, un fratello con un figlio Mario, Giuseppina, Elena ed Adele, tre zie ottuagenarie, Teresa, una cugina che amo come una sorella ed una miriade di altri cugini, ho costituito nel pianeta carcere un’affettuosità ed una solidarietà con gli altri 1800 compagni di sventura, tale da costituire un’altra famiglia: la più grande del mondo, dove vigono regole non scritte che, se fossero valide all’esterno, renderebbero il mondo migliore, evitandone la disintegrazione cui sembra destinato.
Il problema dell’integrazione tra italiani ed il fiume di stranieri, che anno dopo anno sempre più affluiscono nel nostro Paese,  in un solo luogo ha trovato piena applicazione: nei penitenziari, soprattutto delle grandi città come Roma, Napoli, Milano, nei quali ormai “gli alieni” (ma sono nostri fratelli) costituiscono la maggioranza.
Nel buio delle celle vi sono forme di solidarietà sconosciute nel mondo esterno, cosiddetto civile, e tutti si considerano membri di una grande famiglia: chi non conosce la nostra lingua la impara in fretta, acquisendo anche la cadenza dialettale locale.
E’ un esempio virtuoso di cui tenere conto e da perseguire perché non si può andare contro il corso della storia: noi abbiamo bisogno della loro energia e voglia di conquistare il benessere ed è una fortuna, non una calamità, che molti scelgono l’Italia, antica terra di emigrazione, divenuta oggi per tanti la terra promessa.
E vogliamo concludere trattando brevemente della frantumazione della famiglia patriarcale, un evento che cozza contro un paradigma biologico impresso nel nostro dna, il quale prevede la monogamia per la specie umana, sia perché un meccanismo mirabile fa sì che in età fertile coesistano un egual numero di maschi e di femmine, sia per il lungo periodo necessario a che la prole diventi autonoma, dal  che derivano sentimenti come la fedeltà e la gelosia.
(Per chi volesse approfondire l’argomento consultare sul web il mio saggio “Monogamia: virtù o necessità?”

giovedì 25 aprile 2013

Mister 105 milioni

01-Achille Lauro e  Hasse Jeppson
Il rapporto tra Lauro ed il Napoli nasce in epoca fascista, nel 1935, ed è avvolto nella leggenda.
Salvo un intervallo legato agli eventi bellici ed alla confusione del dopoguerra, Don Achille conserverà la carica di presidente effettivo o onorario fino alla morte, per quasi 50 anni, contribuendo, nella buona e nella cattiva sorte, alle fortune di una delle squadre più amate del mondo.
Il Comandante fece letteralmente impazzire i tifosi partenopei quando acquistò per una cifra record Hasse Jeppson mentre la stampa nazionale gridava ipocritamente allo scandalo.
L’asso scandinavo aveva sostituito Nordhal al comando dell’attacco della nazionale svedese, all’epoca una delle più forti al mondo.
02-Hasse Jeppson

03-Hasse Jeppson allo stadio Collana

04-Jeppson tra il pubblico del San Paolo

05 - Jeppson  

Dotato di grandi qualità tecniche, dal dribbling irresistibile ad una rara potenza di tiro anche di testa, si era messo in luce proprio contro i colori azzurri ai campionati del mondo brasiliani.
Era giunto in Italia l’anno precedente acquistato dall’Atalanta, alla quale si dovettero sborsare i famigerati 105 milioni, una cifra record, a lungo nel Guinnes dei primati.
Cinque milioni furono versati ufficialmente alla società orobica mentre trenta furono pagati direttamente al calciatore su un conto segreto in Svizzera, che cominciava a trasformarsi in un paradiso dell’evasione fiscale.
Tre anni splendidi, non privi, però, di furibondi diverbi col Comandante, che, alla fine, lo regalò al suo amico, il conte Lotti.
Divenne rapidamente un divo: casa di lusso al viale Elena, matrimonio da favola con Emma, giovane, bella e, soprattutto, ricchissima con assidua frequentazione dei circoli nautici più esclusivi e porte aperte nelle splendide ville posillipine dei potenti della città.
Lauro si conquistò nel cuore dei tifosi una storica ed importante benemerenza, mentre l’allenatore Monzeglio, avendo a disposizione uno dei più forti centravanti europei, riuscirà ad ottenere il quarto posto in classifica, la seconda miglior prestazione mai ottenuta fino allora dal “Ciuccio”.
I goal dell’asso svedese sono spesso spettacolari ma nello spogliatoio cominciano a scoppiare infantili rivalità ed il Napoli non riesce mai a combattere per le prime posizioni, divenendo riserva di caccia dei club del ricco nord. Si avverte la necessità di un nuovo fenomeno da affiancare a Jeppson e questo nuovo astro arriverà dal Brasile, dalla gloriosa squadra del Botafogo: si chiamerà Louis De Menezes Vinicius, ma per i tifosi sarà semplicemente Vinicio, anzi, per meglio dire, “’o Lione” per l’irruenta foga con cui si divincolava dagli avversari in area di rigore.

Luis Vinicio

(Fino ad ora abbiamo ripreso testualmente ciò che ho scritto sul calciatore nel capitolo “Lauro e la squadra del Napoli” nel mio libro “Achille Lauro superstar”, consultabile su internet, digitandone il titolo).
Vi è un racconto che ogni tifoso del Napoli con i capelli bianchi ha tramandato a figli e nipoti: la leggenda di un centravanti biondo, che era stato acquistato da Lauro per 105 milioni, quando lo stipendio medio di un impiegato era inferiore a 100.000 lire.
Questo campione svedese giocava e segnava sul mitico campo del Vomero e, quando una volta cadde rovinosamente in uno scontro, senza rialzarsi, un tifoso gridò : “è caduto ‘o Banco ‘e Napule”.
All’arrivo in città Jeppson fu accolto da fuochi d’artificio ed un’attesa spasmodica di vederlo all’opera.
Quando vide Napoli rimase incantato: “aveva quell’odore di mare che mi riportava all’infanzia, quando stavo sugli scogli della mia Kungsbacka”.
A Napoli Jeppson conobbe gloria e gioia: segnò 52 goal in 112 partite anche se era insofferente alla disciplina: Monzeglio lo pedinava di notte, trovandolo spesso ai tavoli di poker.
Partecipava sotto falso nome a tornei di tennis, uno sport controindicato per un calciatore, perché indurisce i muscoli delle gambe. 
La goccia che fece traboccare il vaso fu quando con la sua velocissima Alfa 1900 si schiantò contro un albero: nell’incidente perse la vita il suo autista.
Lauro lo cedette per dispetto al Torino.
Il 22 febbraio, ad 86 anni, il grande campione ci ha lasciato e riposerà per sempre nel suo paese natale in Svezia.

08-Bruno Pesaola

Pesaola, l’indimenticabile Petisso, lo ricorda con le lacrime agli occhi: “io creavo sulla fascia e Hasse segnava. Egli si ambientò benissimo a Napoli e fu molto amato dai tifosi. Il ricordo più bello è legato ad una partita del 1953, quando la Juventus stava vincendo per 2 a 0 al Vomero. Lo stadio era ammutolito. Segnai prima io, poi Jeppson pareggiò ed Amadei firmò il sorpasso con la folla esultante. Hasse era un mio coetaneo, fra poco anche a me toccherà vivere solo nel ricordo dei tifosi”.


11-Amedeo Amadei

domenica 21 aprile 2013

Il presidente di tutti gli Italiani



Un buco nero in una carriera ineccepibile

Fig. 01 Il Presidente

Negli ultimi anni Napolitano (Fig.01) è stato costantemente in testa in tutte le statistiche come il personaggio più amato dagli Italiani, superando lo stesso Pertini nei momenti di maggiore popolarità, raggiunti quando accompagnò i nostri calciatori nella conquista della coppa di campioni del mondo, o quando rimase immobile per ore vicino al pozzo di Vermicino, mentre si attivavano i tentativi, purtroppo vani, per salvare il piccolo Alfredino.
Napolitano proveniva dalla borghesia colta napoletana ed aderì al PCI negli anni della guerra, convertito dalla generosità, anche se poi fallita della utopia comunista.
Erano anni terribili per Napoli, che subì oltre cento bombardamenti indiscriminati da parte dei nostri nuovi alleati… e Giorgio, con la sua famiglia trovava soccorso nelle grotte di tufo poste sotto Palazzo Serra di Cassano, nelle quali si mescolavano i signori dei piani alti e la gente dei bassi. Al suono assordante della sirena, che annunciava l’arrivo delle fortezze volanti, egli conservava sempre un notevole autocontrollo legato ad un innato fatalismo, una capacità di controllare le passioni nei momenti più difficili, una cifra stilistica del suo carattere, che gli permetterà di guidare l’Italia nella tempesta, ponendosi al di sopra delle parti. La lunga traversata dalle Botteghe Oscure al Quirinale coincide con la storia del suo partito e con un pezzo importante della nostra storia. Egli si riconobbe nell’ala destra del PCI ed ebbe come padre spirituale Giorgio Amendola. Sin da giovane ha l’onore di scrivere spesso l’articolo di fondo dell’Unità e nei comizi, quando è necessario, accantona il suo eloquio forbito ed alzando i toni è in grado di riscaldare la piazza e far tornare a casa felici i militanti. Al liceo classico frequentò l’Umberto e fece parte di quella pattuglia di cervelli: Barendson, Ghirelli, Patroni Griffi, Rosi, La Capria, distintisi poi nel giornalismo, nel cinema, nella scrittura, la cui partenza da Napoli ha inciso profondamente sul destino della città.
Napolitano dirigeva una piccola rivista “Latitudine”, intrisa di Ermetismo e Decadentismo, la quale spesso e volentieri citava André Gide e André Malraux ed era vista con sospetto dall’ortodossia del partito. Piacque invece molto a Curzio Malaparte, quando si recò a trovarlo nel suo splendido eremo caprese (Fig.02), a picco sul mare con vista ravvicinata sui Faraglioni, che gli regalò una copia con dedica del suo celebre “Kaputt”.

Fig.02 la villa di Malaparte a Capri

Mi sia consentito un breve ricordo personale sulla villa di Malaparte, che per anni è stata sotto sequestro con tanto di sigilli, perché lo scrittore nel suo testamento l’aveva lasciata alla Repubblica Popolare Cinese, che l’Italia allora non riconosceva come Stato. Avevo 19 anni e mi trovavo nell’isola azzurra in compagnia di Elio, Franz e Carlo, divenuti poi, chi celebre avvocato, chi noto imprenditore, chi integerrimo magistrato.
Alcune fanciulle, conquistate in piazzetta con la forza penetrante del nostro sguardo, vollero accompagnarci sul posto dove si poteva fare il bagno nature, ma la nostra attenzione, più che dai seni al vento, splendidi, delle fanciulle e sul lato B delle medesime, da favola, fu attratta dalla fornitissima biblioteca della villa, che, notte tempo, decidemmo di saccheggiare, penetrandovi da una finestra senza vetri ed asportammo decine di libri, che ancora oggi conserviamo gelosamente.
Il parlamento era stato per 47 anni la casa di Napolitano, quando il 10 maggio 2006 viene eletto undicesimo Presidente della Repubblica e da allora i cittadini sapevano di potersi riferire al Colle come fonte di saggezza e di equilibrio.Nell’ultimo periodo del suo mandato, soprattutto dopo le dimissioni di Berlusconi e la nomina di Monti a Presidente del Consiglio, egli ha portato avanti una missione difficilissima; costituendo un punto di riferimento certo tra cittadini ed Istituzioni. Il suo ruolo è andato crescendo man mano che la compattezza del sistema politico veniva meno. Questa sua veste è stata riconosciuta dalle più importanti testate internazionali, dal New York Times, che titolò “Re Giorgio” un suo servizio, nel quale tesseva le lodi di “Ricca cultura barocca” e di “Maestoso difensore delle Istituzioni democratiche italiane”, fino al Wired, che lo proclamerà uomo dell’anno (Fig.03).

Fig .03 Napolitano uomo dell'anno

Il suo impegno non ha mutato le sue abitudini di vita e di lavoro: sveglia alle sette, colazione, lettura dei giornali, lavoro dalle nove all’una, pranzo, breve riposo, di nuovo lavoro fino all’ora di cena, quindi lettura con musica classica di sottofondo o un dvd con un film.
E non saremo completi senza tratteggiare un ritratto della first lady: discreta, elegante, ma mai presenzialista. Amante dell’arte, ma in fila assieme al pubblico per comperare il biglietto alle Scuderie del Quirinale per ammirare i capolavori di Vermeer. Fine intenditrice, a differenza della moglie di un altro presidente, che a Napoli, in visita ufficiale delle meraviglie di Capodimonte, accompagnata dal mitico sovrintendente Spinosa e da un codazzo di studiosi, davanti ad un capolavoro di Luca Giordano, rappresentante una donna discinta, esclamò, tra l’imbarazzo dei presenti: “Lo butterei”.
L’ultima foto ufficiale risale alla messa d’inaugurazione del pontificato di Francesco (Fig.04) in prima fila con l’abito nero d’obbligo, ravvivato però dal lunghissimo scialle azzurro della consorte.

Fig. 04 Il Presidente e il Papa

Prima di trattare dell’inedito buco nero, che abbiamo anticipato nel titolo, vorrei raccontare uno degli incontri che ho avuto l’onore di avere con il Presidente.Era il 2002 e con l’amico Tonino Cirino Pomicino, fratello del ministro del bilancio Paolo, stavamo organizzando un importante convegno all’Istituto degli Studi Filosofici intitolato: Napoli capitale del Mediterraneo” (Per chi volesse assistere al convegno svoltosi il 26 ottobre 2006, consulti la teca di radio radicale).Ci recammo presso lo studio in via Santa Lucia del compianto onorevole Geremicca, che fungeva da punto di appoggio per Napolitano, all’epoca europarlamentare, per invitarlo a partecipare come relatore. Un breve sguardo alla sua agenda e purtroppo quel giorno era impegnato in un’importante riunione a Bruxelles, ma non ci fece mancare il giorno del convegno un suo telegramma di auguri.Ma la cosa che più mi colpì fu quando, dopo aver espresso le nostre intenzioni, battendo una pacca sulla spalla dell’amico Tonino, all’epoca ultrasessantacinquenne, esclamò: “Benedetti ragazzi...siete pieni di entusiasmo, non volete convincervi che Napoli è destinata a precipitare nel baratro!”
Fugace il secondo incontro, giusto per consegnare delle foto giovanili, di quando faceva parte del gruppo universitario con il padre del mio amico Carlo Castrogiovannied infine accenniamo al famigerato buco nero. Un episodio inedito, ignoto agli stessi specialisti, come mi capitò di accertarmi nel corso della presentazione di un libro a lui dedicato, nel quale, per quanto fossero trascritti quasi tutti i suoi scritti, mancava l’articolo di fondo dell’Unità (Fig.05), da lui firmato, uscito all’indomani della invasione di Budapest da parte dei carri armati sovietici. Un articolo che elogiava la repressione della rivolta.
La studiosa candidamente mi confessò che in tutte le emeroteche da lei compulsate, mancava sempre il numero dell’Unità di quel giorno. Un peccato di gioventù divenuto veniale alla luce della sua condotta impeccabile nei successivi sessanta anni di onorata carriera e dei suoi numerosi appelli a risolvere la spinosa questione del sovraffollamento delle carceri.

Fig. 05 Napolitano e l'Unità



giovedì 18 aprile 2013

Un cacciatore di geni

Andrea Ballabio e Susanna Agnelli


Il protagonista di questa biografia si autodefinisce un “cacciatore di geni”, ma non si tratta di uno dei freddi cacciatori di teste, di moda negli Stati Uniti, costantemente alla ricerca dei migliori manager, cui offrire lauti compensi, pur di strapparli alla concorrenza bensì di un illustre scienziato, che tutto il mondo ci invidia, il quale ama indagare tra i nostri cromosomi, alla ricerca di geni difettosi, responsabili di numerose malattie.
Egli è uno dei pochi studiosi emigrati all’estero, per approfondire le proprie ricerche in laboratori qualificati, il quale, pur avendo negli Stati Uniti la prospettiva di una carriera prestigiosa, ha preferito ritornare nella città natale per approfondire i suoi esperimenti di genetica e dirimere il rapporto tra ereditarietà e malattie.
Andrea Ballabio si laurea e si specializza in pediatria, ma rapidamente si rende conto di un’attrazione fatale verso la genetica per scoprire l’origine di tutte quelle malattie congenite, che rappresentano ai suoi occhi  una sorta di maledizione biblica, che decide in anticipo il nostro destino.
Poi, il primo di quegli incontri importanti, capaci di indirizzare la vita.
Tre donne segnano, come bussole, la carriera scientifica di Andrea Ballabio.
La prima, Graziella Persico, una geniale ricercatrice ritornata a Napoli dopo una lunga esperienza negli Stati Uniti,  introduce Ballabio nell’Istituto di Genetica Biofisica. Da qui, poco dopo, Andrea si reca in Gran Bretagna e poi ad Houston, dove il direttore Thomas Caskey, dopo averne ascoltato una relazione, gli propone di entrare nel suo staff.
Due anni di duro lavoro ed arriva la nomina di capogruppo, prima con tre assistenti, che diventano in poco tempo 15, con possibilità di attingere autonomamente ai fondi e gestire una ricerca su un obiettivo da lui scelto.
Siamo nel 1991 e Ballabio si trasferisce con la famiglia nel Texas, deciso a rimanere per sempre, o quanto meno a lungo, nel paradiso della ricerca scientifica, dove, per attingere ai finanziamenti, vige la più rigida meritocrazia.
Il nostro sarebbe rimasto per sempre all’estero se sulla sua strada non si fosse di nuovo presentata una donna, e che donna, una figura fuori dal mondo della ricerca ma animata da nobili ideali tanto da aver fondato Telethon con lo scopo di finanziare i centri scientifici in grado di combattere malattie gravi, anche se rare: Susanna Agnelli.
Una semplice telefonata, ma estremamente convincente, e Ballabio lascia Houston e ritorna in Italia, dove diviene direttore del Tigem, con sede prima a Milano presso il San Raffaele e poi presso la sede del CNR di via Pietro Castellino a Napoli.
Siamo nel 2000 ed i primi risultati sono l’identificazione dei meccanismi che permettono alle cellule di liberarsi delle scorie metaboliche.
Comincia il futuro: in progressione geometrica, i gruppi di ricerca diventano 12, i ricercatori 180, con un’età media di 33 anni e per metà meridionali, mentre gli altri provengono da tutto il mondo: inglesi, francesi, americani, cinesi, indiani.
Fra poco il Tigem si trasferirà  a Pozzuoli negli spazi più ampi della ex sede della Olivetti  ed i ricercatori potranno così divenire 230.
I finanziamenti non provengono solo da Telethon  ma soprattutto da bandi internazionali che la Tigem si aggiudica, come ad esempio 22 milioni di dollari in 5 anni da parte di un’importante casa farmaceutica italiana.
Ottimo è  il rapporto con l’Università, con cattedratici in funzioni apicali e 40 borse di studio per dottorandi.
L’attività è a Napoli  ma lo sguardo è proteso verso il mondo, con scambi fecondi di esperienze, come quando tre anni fa, un gruppo di ricerca è stato ospitato al Texas Children Hospital di Houston.
Napoli non è solo spazzatura e camorra, ma anche ricerca scientifica proiettata verso un futuro migliore per tutta l’umanità.

Andrea Ballabio ed un gruppo di ricercatori del TIGEM



Il medico personale di Berlusconi

Umberto Scapagnini
Nato a Napoli, dove frequentò le elementari alla De Amicis e le medie alla Fiorelli, Umberto Scapagnini si era poi trasferito per motivi di studio.
Le vicende della vita lo avevano condotto in giro per il mondo: era divenuto docente a Baltimora e si era occupato di tumori con Bob Gallo, lo scopritore del virus dell’AIDS, per trasferirsi poi a Catania, dove, oltre ad esercitare la professione ed insegnare all’Università, divenne Sindaco e, ad abundantiam, dal 1994 deputato ed eurodeputato.
Da sindaco, la sua allegra amministrazione delle casse comunali aveva provocato un pauroso buco in bilancio che aveva lasciato i dipendenti per mesi senza stipendio.
Tra le bestemmie della Lega, che da sempre avrebbe desiderato che tutte le risorse dello Stato fossero destinate alla Padania, dovette intervenire il premier per appianare l’ammanco.
Bello d’aspetto e sempre vestito come se si trovasse nella piazzetta di Capri, conservava l’ironia e la galanteria dei napoletani doc.
Gli amici lo denominarono “Sciampagnino” per il suo carattere frizzante, ilare e giocoso.
Invidiato per le belle donne cui si accompagnava, un po’ gagà ed un po’ fascinoso, era il Gastone della situazione per la fortuna che a lungo lo ha accompagnato.
Poi l’incontro fatale col “Sovrano di Arcore”, di cui fu per 25 anni il medico di fiducia.
Fu lui nel 2006  a soccorrerlo prontamente sul palco di Montecatini, quando fu colto da un lieve malore.
Li accomunava un motto: “andare a letto è meglio che stare a letto”.
Pochi anni li separavano ma il Berlusca era un’icona della chirurgia plastica mentre Umberto, sempre abbronzatissimo, alternava settimane bianche a Cortina e soggiorni alle Maldive.
Il suo intruglio segreto permetterà al suo “Grande Capo” (vedremo)di arrivare all’età di 120 anni e di avere sei rapporti sessuali alla settimana (secondo i giudici milanesi ne aveva sei ogni sera).
Di converso, Silvio gli diceva che avrebbe dovuto cambiare il suo cognome in “Scopagnini”.
Negli ultimi anni era stato colpito da una grave malattia che aveva affrontato con coraggio, ritrovando il dono della fede.
La sua triste esperienza è racchiusa in un libro commovente:”il Cielo può attendere”, nel quale, con sottile ironia, ci racconta di sette metastasi, quaranta giorni di coma, due estreme unzioni, sei mesi di ospedale, un blocco renale, una polmonite, una demielizzazione con paralisi di tronco e arti etc..
Ma, alla fine, la Vecchia Signora se lo è portato via e solo allora è ritornato nella sua Napoli per l’ultimo saluto agli amici e dagli amici, nella chiesa della Santissima Trinità a via Tasso, e per riposare in pace nella tomba di famiglia.
Di Umberto, come di tanti altri personaggi famosi napoletani, ho una conoscenza diretta ed una successiva corrispondenza protrattasi nel tempo.
Ci incontrammo una ventina di anni fa alle Mauritius dove trascorremmo Natale, Capodanno ed Epifania in un vero e proprio  paradiso terrestre costituito da un villaggio Valtur.
Eravamo in compagnia delle nostre famiglie e con noi vi era costantemente, anche lui con moglie e due figli, un trascinatore formidabile verso il divertimento che esordiva sempre con “Viva le belle donne”: Tonino Cirino Pomicino, fratello di Paolo, allora ministro del bilancio.
Abbiamo parlato di famiglie: già allora Umberto, irresistibile tombeur de femme, stava con una seconda moglie e con due figli avuti da un precedente matrimonio; un maschio, irresistibilmente attratto da mia figlia Tiziana, ed una femmina.
La nuova moglie, bellissima e soprattutto elegantissima emula di Imelda Marcos, aveva portato con sé, oltre ad un’infinità di foulardes e bikini, che sfoggiava con impettita classe, ben 50 paia di scarpe con tacchi stratosferici, che adoperava, cambiandone tre al giorno, in qualunque occasione, unica eccezione in spiaggia.
Le nostre discussioni partivano dalla medicina per sfociare inevitabilmente sulle donne e sul sesso.
Avevamo tanto da raccontarci ed, in epoca pre-viagra, lui riteneva  di aver scoperto potenti afrodisiaci dalla formula segreta, che in futuro, divenuto il medico del Cavaliere, avrà consigliato all’instancabile “satiro”, a smentire la voce che le sue performances erotiche siano frutto di quotidiane punture in loco (nei corpi cavernosi) di una dose di Caverjet, in grado di tenere alzato costantemente il vessillo per 3 e più ore.


martedì 16 aprile 2013

Michele Ragolia, un palermitano napoletanizzato

fig.1


Di Michele Ragolia anche i napoletanisti più ferrati conoscono poche opere e nell’affollato panorama artistico napoletano è considerato poco più che un Carneade.
Tra le sue opere più note, oltre al soffitto cassettonato del Santuario di Sant’Antonio a Polla ed alle due grandi tele di altissima qualità, raffiguranti il “Trionfo di David”, siglata e datata 1673 (fig. 1),  ed il “Trionfo di Giuditta” conservate nella raccolta Harrach di Schloss a Vienna, i più conoscono: un “Interno da collezionista”, di proprietà Pisani (fig. 2), che fu esposto anche alla mostra “Civiltà del Seicento” a Napoli, le tele della Chiesa di San Diego all’Ospedaletto (figg. 3-4), francamente brutte, un quadro nella raccolta del Pio Monte della Misericordia, attribuitagli da Raffaello Causa, ma che non gli appartiene, alcune pale d’altare nelle chiese di Agerola, dove fu attivo più volte ed una “Madonna con le Anime Purganti”, già nella Chiesa della Sapienza ed oggi presso il Museo Diocesano.
Palermitano di nascita, come si evince dal “Panormitanus”, con cui firma alcune tele, egli è attivo soprattutto nella seconda  metà del secolo XVII, sopravvivendo alla peste del 1656, che spazzò via un’intera generazione di pittori.
La sua prima formazione è tradizionalmente collocata nella bottega di Belisario Corenzio, ma ben presto si distaccò dalla cultura tardo manierista e venne influenzato dal classicismo e dal naturalismo caravaggesco di Massimo Stanzione, oltre a palpabili influssi di Francesco Guarino, di Pacecco De Rosa, evidentissimi in alcune figure, e di Cesare Fracanzano.  In alcuni dettagli sembra di vedere all’opera il magico pennello di Artemisia.
fig.2

fig.3

fig.4

La recente scoperta di dipinti siglati e datati ha permesso la ricostruzione della sua produzione e per alcune segnalazioni sono grato a Fra’ Domenico Marcigliano, un alacre studioso che soggiorna nel Convento di Sant’Antonio a Polla ed ogni giorno può contemplare lo splendido soffitto cassettonato, del quale ha interpretato con rara precisione il messaggio teologico che sottende ai quaranta quadri, che compongono un discorso articolato del quale parleremo più avanti diffusamente.
La sua prima opera documentata è la tavola di “Tutti i Santi”, datata 1652, sita nella chiesa parrocchiale di Bomerano di Agerola. Abbiamo notizia di un’opera commissionata dai Cappuccini di Terranova in Calabria, attualmente dispersa, mentre per la stessa committenza esegue un polittico su tela, datato 1664 a Bovino in provincia di Foggia. Egli esegue quei quattro scomparti raffiguranti “San Michele Arcangelo, l’Angelo Custode, Santa Chiara e San Ludovico di Tolosa”.
Sempre nel 1664 esegue la “Sacra Famiglia con i SS. Anna e Gioacchino” e l’”Eterno Padre” per la Cappella di Sant’Anna a Pianillo di Agerola. Due tele di identico soggetto si trovano anche nella Chiesa di Sant’Anna in San Lorenzo a Salerno e nella Parrocchiale di Castelgrande in provincia di Potenza.
Nel 1665 firma e data una ”Elevazione della Croce” per la Congrega del Crocifisso annessa alla Chiesa dei Sette Dolori a Napoli.
Probabilmente allo stesso periodo appartengono le tele in San Diego all’Ospedaletto.
Del 1666 è il ciclo, firmato e datato, formato da quaranta tele inserite nel soffitto cassettonato  del Santuario francescano di Sant’Antonio a Polla, raffiguranti “Scene dell’Antico e del Nuovo Testamento con Santi”, che costituiscono una delle sue realizzazioni più notevoli per la vastità dell’opera (figg. 5-6-7).

 fig.5
fig.6

fig.7

Per una corretta lettura mariano-cristologica della narrazione ci fa da guida la magistrale interpretazione di Fra’ Domenico Marcigliano, che parte dall’immagine centrale dell’”Immacolata”, rappresentata anche nei quadri cruciformi della “Nascita e dell’Assunzione”. Compare anche “Giuditta che uccide Oloferne”, che simboleggia una vittoria di Dio sulle forze del male. Vi sono poi le immagini riferite a Cristo nella “Circoncisione” e nel “Gesù fra i Dottori”.
Un’attenzione particolare è poi attribuita agli Angeli, messaggeri della volontà celeste ed intermediari tra Potenza Divina ed umana debolezza.
Abbiamo notizia di una tela, oggi ad ubicazione sconosciuta, siglata e datata 1667, raffigurante la “Sacra Famiglia”, mentre al periodo giovanile appartiene un “Trionfo di Davide” conservato nell’Istituto Pontano di Napoli.
Abbiamo già accennato ai due capolavori del Museo di Vienna, realizzati nel 1673, quando firma e data anche un “Miracolo di San Nicola” conservato  a Massalubrense.
Un “Cristo e San Francesco” (fig. 8), siglato MR e datato 1675, è al Museo di Capodimonte in sottoconsegna alla chiesa di Santa Maria della Stella di Napoli.
Nel 1677 dipinge un ciclo di ventuno tele con “Storie di Santa Lucia” per la Chiesa eponima di Cava de’ Tirreni. 
Tra il 1677 e il 1678 affresca la volta e le pareti della Sala del Capitolo del convento di San Domenico Maggiore, con l’immensa scena del “Calvario” (fig. 9) sulla parete di fondo, i riquadri della volta con “Scene della Passione di Cristo” (fig. 10-11), le scene più piccole con i “Misteri della Passione” (fig. 12) e i tondi con “Angioletti recanti i Simboli del martirio di Cristo”. 
fig.8

fig.9

fig.10

fig.11

fig.12

Nel 1678 affresca “Scene della Passione di Cristo” nella volta della Cappella del Crocifisso del monastero di Regina Coeli, mentre nel refettorio affresca nella volta “Storie di Mosè”, le dieci lunette con “Profeti e Sibille” oltre ad una tela con “Mosè alla corte del Faraone”, oggi presso il Seminario Maggiore di Capodimonte, assieme a cinque tele con “Storie dell’Antico Testamento”, già nella Chiesa di Gesù e Maria.
Nel 1680 esegue affreschi nell’abside e nel Cappellone del Crocifisso di San Domenico Maggiore, alcuni dei quali purtroppo perduti, mentre sono ancora visibili un’”Incoronazione della Vergine” (fig. 13), un “Agar nel deserto” (fig. 14) ed “Allegoria del Divino Aiuto”.
Un’”Estasi di Sant’Antonio” ed una  “Madonna con le Anime Purganti” (fig. 15) sono del 1681 per la chiesa napoletana di Santa Maria della Sapienza.
Nel 1682 esegue ad Agerola una “Madonna del Rosario”, accesa di colori luminosi (fig. 16) e nel 1683 firma e data le “Storie di San Francesco di Paola” nel soffitto di Santa Maria dell’Olmo a Cava de’ Tirreni.
Concludiamo segnalando nel Gesù delle Monache due tele raffiguranti “San Francesco” (fig. 17) e degli affreschi del 1686 nella volta della Certosa di Padula con “Episodi e Personaggi del Vecchio Testamento” (fig. 18): sono le sue ultime opere, perché morirà il 21 maggio del 1686. 

fig.13

fig.14

fig.15

fig.16

fig.17

fig.18



Bibliografia
Achille della Ragione – Il secolo d’oro della pittura napoletana, Napoli 1998-2001 (vol. 2, pag. 106; vol. 7, pag. 453; vol. 8-9-10, pag. 515)
Fra’ Domenico Marcigliano – Storia e simbolismo nel Santuario convento di Sant’Antonio, Polla 2006 
Achille della Ragione – Michele Ragolia, un minore di lusso (Articolo sul quotidiano telematico Napoli.com del 25/1/2008)
Achille della Ragione – Nuovi saggi sui pittori napoletani del Seicento, Napoli 2011 (pag. 64, fig. 75)
Achille della Ragione – La pittura napoletana del Seicento. Repertorio fotografico, II tomo, Napoli 2011 (pag. 91)

domenica 14 aprile 2013

Dal Carcere di Rebibbia Achille della Ragione scrive: una raccolta di favole per bambini




di Savino De Rosa

Immaginarsi rinchiusi, lontano dall’affetto dei cari e da quello dei piccoli che non capiscono il perché di una lontananza ed un’ assenza così lunga e soffrono e chiedono, e voler inviare ad essi un dono anche se intangibile, ma pieno di valori e di immagini. Così nasce l’idea di Achille di trasformare le esperienze, le relazioni, le sofferenze di una vita di costrizione in favole, leggendo le quali tutti noi, ma in particolare i piccoli possano fantasticare e pensare il loro caro come un valoroso condottiero impegnato a combattere feroci pirati, per liberare tutti i suoi compagni dalla disumana costrizione.
Quando, durante le festività Natalizie, lessi tutte d’un fiato e per la prima volta le favole per bambini scritte dal carcere di Rebibbia da Achille, cercai di trovare in esse il messaggio che egli voleva inviare a tutti noi, che viviamo nella condizione di agire secondo il nostro libero arbitrio, non prigionieri costretti, come lui dice, dai pirati. Le ho rilette tante volte per percepire in ognuna di esse tristezza, malinconia, ma forza interiore, amore e rispetto degli altri, voglia di riscatto che accomuna e da coraggio. Le immagini che tanto colpiscono i bambini, Rebibbia appare come un castello con torri merlate, a sinistra un cielo terso con un sole splendente e sulla destra la notte, tranquilla con una falce di luna e dal comignolo coriandoli colorati, così come le lingue di fumo. Ci sono le grate ma si perdono nella policromia dell’insieme, e la nave dei pirati, disegnata con i pastelli dal nipotino Leonardo e tutte le altre immagini, foto ci danno una rappresentazione di vita vissuta in amicizia e gioia nella comunità.
Questo è il dono di Achille per Natale, ha raggiunto e commosso noi adulti, ha raggiunto ed entusiasmato i piccoli che hanno capito il perché della sua assenza e lo hanno eletto a loro prode condottiero. Ma a noi adulti ha voluto trasmettere anche la sua visione cristiana del mondo, non creato solo per uomini, ma anche per la natura, che sia essa una fonte, un albero, un animale. L’amore, il rispetto e la dedizione per i suoi compagni, che molte volte qui fuori, viene trascurato e a volte mercificato, è un valore formidabile che completa il suo messaggio. Ogni favola è una dedica ai suoi compagni e che li ha fatti diventare compagni di tutti noi che abbiamo letto. L’amore per la natura, per gli animali, il volo libero dei gabbiani, il rapporto con la gattina Chicca e con gatta Lucia, la rianimazione bocca a bocca del cagnolino, Il curioso topolino Michele, che seppur protetto dai gatti all’interno, preferisce ripercorrere all’inverso il piccolo foro da cui era entrato, dopo aver visto le cucine ed il cibo preparato, sono messaggi che toccano i cuori dei bambini, ma non solo. E’ stato bravo come sempre, Achille, ma questa volta ha voluto darci qualcosa che a volte, noi, non sappiamo cogliere: la forza delle cose semplici, l’integrazione tra diversi, il presepe che unisce gli affetti, la competizione che premia il vincitore e fa sognare la libertà e tanto altro.
Siamo in periodo Pasquale, festa di resurrezione ed il nuovo Papa ha messo nella sua missione l’aiuto dei poveri, dei deboli, degli indifesi, dei costretti e allora se tutto questo è un valore e se le sue favole sono un valore, non può pensare e sperare che ad un solo finale, quello che lo vede tornare vittorioso ai suoi cari ed ai suoi piccoli. Gli altri finali porterebbero solo dolore, dispiacere, ricordo che si affievolisce e lascerebbe molto poco di sé.
Brinderemo un giorno di grande festa e che sia prossimo, ma fino ad allora dai sempre agli altri tutto quello che hai dentro ed è tanto. Forza amico mio!


NB: il testo del libro: ''Dal Carcere di Rebibbia: una raccolta di favole per bambini'' è disponibile in formato PDF a questo link.

martedì 9 aprile 2013

Alla ricerca scientifica dell'anima



di Tiziana della Ragione

"Nulla si crea e nulla si distrugge, " è uno dei paradigmi della scienza ed anche il nostro corpo dopo la morte, disintegrandosi, ritorna alla terra e ad essa restituisce le sostanze della sua materialità, ma i nostri pensieri, i nostri dolori, le speranze, la felicità, gli smarrimenti, le malinconie, i ricordi, i desideri, gli affetti, non vogliamo dire la nostra anima, dove finiscono?
Se nulla si distrugge, se la nostra misera carcassa continua ad esistere trasformandosi, perché' ciò che a noi appare immateriale dovrebbe scomparire?
Una moderna radio a transitor è in grado di captare un monologo recitato a New York o il ritmo frenetico di una danza da Rio de Janeiro. Se il cervello dell'uomo è la cosa più prodigiosa dell'universo perché' non possiamo credere che possa afferrare i nostri sentimenti che vagano nello spazio dopo la morte?
Un neonato potrebbe raccogliere il messaggio di uno sconosciuto che gli lascia in eredità le sue inquietudini, le sue gioie, i suoi dolori. Se milioni di uomini di antiche e sagge civiltà' credono a questa possibilità, anche noi possiamo crederlo, sperarlo, temerlo.
Sono pensieri che ci danno l'idea della nostra miseria e della nostra nobiltà. Sperduti nell'infinita immensità degli spazi, destinati a vivere un lampo a confronto dell'eternità, non riusciamo a credere che la nostra coscienza si sia accesa per caso a contemplare un universo ostile o, quanto meno, indifferente al nostro destino.
Il nostro corpo è stato da sempre considerato il contenitore di un'anima immortale ed immateriale e ciò ha comportato il fiorire di mitologie e religioni che tendono a dare una risposta confortante alla nostra paura della morte.
Oggi, in un mondo che rifiuta sempre più spiegazioni magiche e prelogiche, il primo a vacillare è il libero arbitrio: infatti, se è il nostro cervello a decidere sotto l'influsso di ormoni e mediatori chimici, l "Io", inteso come una sostanza immateriale, viene messo in crisi, giorno dopo giorno, dai progressi della neuroscienza.
Una teoria della coscienza che possa dare delle risposte in termini scientifici è il primo passo per identificare una formula che definisca l'anima.
Nel corso dei secoli si è cercato di definire in maniera convincente l'anima, ma nessuna teoria ci ha pienamente soddisfatto.
Fenomeni fisici come, vedere un film, ascoltare una canzone o leggere un libro si trasformano sorprendentemente, in esperienze soggettive: il ricordo di un amore tramontato, una vacanza esaltante o una malinconica reminiscenza. 
Nel seicento Cartesio, convinto sostenitore del dualismo (separazione tra il corpo e la mente) identificava nella ghiandola pineale (l'ipofisi) il tramite che metteva in contatto i due mondi. In quel fagiolo posto al centro della testa avveniva la magica trasformazione di un cornetto che ci rammentava l'allattamento al seno materno. La coscienza andava spiegata nell'ambito della fisiologia del cervello, un rudimentale interruttore dell'anima. 
Oggigiorno quando parliamo di coscienza, dobbiamo riferirci anche e soprattutto al concetto d'informazione. La somiglianza con un computer può apparire sorprendente, anche se la sintassi binaria dell'informatica – una lampadina è spenta o è accesa, è ben diversa dalla capacità di discernimento del cervello umano, in grado di apprezzare diversi trilioni di altri stati e di combinarli in modo da avere un valore informativo infinitamente maggiore. Se osserviamo una palla rossa, cogliamo assieme la forma e il colore; allo stesso modo, quando ascoltiamo una frase, il tono e il timbro della voce ci aiutano a percepirne il significato. Kant definiva questa caratteristica "appercezione trascendentale".
I computer funzionano diversamente: ogni singolo pixel (unità d'informazione) non ha coscienza degli altri; è alla luce di questi due assiomi che si può tentare di impostare un'equazione in grado di calcolare il tasso di coscienza di un organismo espresso come una lettera greca, seguita da un numero, che quantifichi l'abilità di discriminazione e il livello d'integrazione delle informazioni. Cartesio era rimasto ancorato alla distinzione tra Res Cogitans e Res Extensa.
Hume, come tanti Neuroscienziati contemporanei, intendeva la coscienza come la semplice somma di tante coscienze generate dall'esperienza.
Kant era andato avanti nel ragionamento ma senza pensare a una formula matematica. Oggi la scommessa vincente è quella di tenere conto che la coscienza è qualcosa di più della semplice somma delle sue parti e può essere quantificata solo attraverso un'equazione. Da qui impostare la formula dell'anima è il passo successivo, difficile, ambizioso, ma prima o poi realizzabile.

domenica 7 aprile 2013

Un grande progetto per rilanciare la Campania

porto di Napoli e Maschio Angioino

L’ultima speranza per Napoli e la Campania di invertire il senso di marcia che ci sta conducendo verso il baratro e proiettarsi verso il futuro è legata ai 19 progetti finanziati con 5 miliardi, il cui scopo è far decollare ambiente, infrastrutture, turismo e banda larga per internet.
Le risorse, in passato diluite in mille rivoli, saranno concentrate unicamente su grandi assi strategici.
Come giustamente è stato definito dal governatore Stefano Caldoro, si tratta di un “Piano Marshall” per la nostra regione.
Le opere più qualificanti sono il completamento della linea 6, che unirà in pochi minuti la Mostra d’Oltremare con Piazza Municipio; la realizzazione della tratta del metrò, che collegherà Piscinola e Secondigliano con Capodichino, creando un anello ferroviario completo con la linea 2, che quanto prima raggiungerà Piazza Garibaldi e, con altre fermate, il Centro Direzionale, il Tribunale, Poggioreale e l’Aeroporto di Capodichino; la riqualificazione ed il disinquinamento del fiume Sarno, cui è collegato il risanamento ambientale dei laghi dei Campi Flegrei e dei Regi Lagni, con l’obiettivo di far ottenere la bandiera blu al litorale domizio, ed infine la costruzione del Polo Fieristico Regionale con strutture congressuali a livello internazionale, che avrà come fiore all’occhiello la Mostra d’Oltremare, dove dovrebbe svolgersi il famigerato Forum delle Culture, del quale, fino ad ora, molto si è parlato, ma non se ne è ancora stabilita la data.
In ambito portuale, lo scalo marittimo napoletano, attraverso nuove infrastrutture al servizio delle imprese e con fondali adeguati all’attracco delle supernavi da crociera e mercantili, incrementerà il traffico merci e passeggeri, mentre il porto di Salerno punterà sull’approdo delle meganavi da crociera e sul movimento dei containers che trasportano principalmente automobili.
Con internet superveloce, grazie alla diffusione della banda larga in tutti i comuni della regione, si colmerà il gap digitale che permetterà ai cittadini un più semplice accesso ai servizi ed alle imprese di svilupparsi in maniera moderna.
Per la zona di Bagnoli è previsto un grande parco urbano che preservi il ricordo dell’acciaio attraverso la conservazione di esempi di archeologia industriale.
Ma il progetto più affascinante è quello che si propone di far tornare a pulsare vigorosamente il cuore antico di Napoli: dalle porte della città storica ai decumani, il centro diventerà un museo a cielo aperto che attirerà turisti e migliorerà la vivibilità dei residenti, in linea con le direttive dell’Unesco, che da tempo ha posto sotto la sua tutela il centro antico più vissuto e frequentato del mondo.
Utopia o realtà?
Molto dipenderà dall’impegno di tutti i cittadini che saranno arbitri del proprio destino: una gloriosa rinascita o una decadenza inarrestabile.
mappa linea 1 metropolitana di Napoli

Napoli, via Tribunali
fiume Sarno che attraversa Scafati
litorale domizio
Mostra d'Oltremare
porto di Napoli
porto di Salerno
Bagnoli, area ex Italsider

Napoli, piazza del Gesù