giovedì 18 aprile 2013

Un cacciatore di geni

Andrea Ballabio e Susanna Agnelli


Il protagonista di questa biografia si autodefinisce un “cacciatore di geni”, ma non si tratta di uno dei freddi cacciatori di teste, di moda negli Stati Uniti, costantemente alla ricerca dei migliori manager, cui offrire lauti compensi, pur di strapparli alla concorrenza bensì di un illustre scienziato, che tutto il mondo ci invidia, il quale ama indagare tra i nostri cromosomi, alla ricerca di geni difettosi, responsabili di numerose malattie.
Egli è uno dei pochi studiosi emigrati all’estero, per approfondire le proprie ricerche in laboratori qualificati, il quale, pur avendo negli Stati Uniti la prospettiva di una carriera prestigiosa, ha preferito ritornare nella città natale per approfondire i suoi esperimenti di genetica e dirimere il rapporto tra ereditarietà e malattie.
Andrea Ballabio si laurea e si specializza in pediatria, ma rapidamente si rende conto di un’attrazione fatale verso la genetica per scoprire l’origine di tutte quelle malattie congenite, che rappresentano ai suoi occhi  una sorta di maledizione biblica, che decide in anticipo il nostro destino.
Poi, il primo di quegli incontri importanti, capaci di indirizzare la vita.
Tre donne segnano, come bussole, la carriera scientifica di Andrea Ballabio.
La prima, Graziella Persico, una geniale ricercatrice ritornata a Napoli dopo una lunga esperienza negli Stati Uniti,  introduce Ballabio nell’Istituto di Genetica Biofisica. Da qui, poco dopo, Andrea si reca in Gran Bretagna e poi ad Houston, dove il direttore Thomas Caskey, dopo averne ascoltato una relazione, gli propone di entrare nel suo staff.
Due anni di duro lavoro ed arriva la nomina di capogruppo, prima con tre assistenti, che diventano in poco tempo 15, con possibilità di attingere autonomamente ai fondi e gestire una ricerca su un obiettivo da lui scelto.
Siamo nel 1991 e Ballabio si trasferisce con la famiglia nel Texas, deciso a rimanere per sempre, o quanto meno a lungo, nel paradiso della ricerca scientifica, dove, per attingere ai finanziamenti, vige la più rigida meritocrazia.
Il nostro sarebbe rimasto per sempre all’estero se sulla sua strada non si fosse di nuovo presentata una donna, e che donna, una figura fuori dal mondo della ricerca ma animata da nobili ideali tanto da aver fondato Telethon con lo scopo di finanziare i centri scientifici in grado di combattere malattie gravi, anche se rare: Susanna Agnelli.
Una semplice telefonata, ma estremamente convincente, e Ballabio lascia Houston e ritorna in Italia, dove diviene direttore del Tigem, con sede prima a Milano presso il San Raffaele e poi presso la sede del CNR di via Pietro Castellino a Napoli.
Siamo nel 2000 ed i primi risultati sono l’identificazione dei meccanismi che permettono alle cellule di liberarsi delle scorie metaboliche.
Comincia il futuro: in progressione geometrica, i gruppi di ricerca diventano 12, i ricercatori 180, con un’età media di 33 anni e per metà meridionali, mentre gli altri provengono da tutto il mondo: inglesi, francesi, americani, cinesi, indiani.
Fra poco il Tigem si trasferirà  a Pozzuoli negli spazi più ampi della ex sede della Olivetti  ed i ricercatori potranno così divenire 230.
I finanziamenti non provengono solo da Telethon  ma soprattutto da bandi internazionali che la Tigem si aggiudica, come ad esempio 22 milioni di dollari in 5 anni da parte di un’importante casa farmaceutica italiana.
Ottimo è  il rapporto con l’Università, con cattedratici in funzioni apicali e 40 borse di studio per dottorandi.
L’attività è a Napoli  ma lo sguardo è proteso verso il mondo, con scambi fecondi di esperienze, come quando tre anni fa, un gruppo di ricerca è stato ospitato al Texas Children Hospital di Houston.
Napoli non è solo spazzatura e camorra, ma anche ricerca scientifica proiettata verso un futuro migliore per tutta l’umanità.

Andrea Ballabio ed un gruppo di ricercatori del TIGEM



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