mercoledì 29 maggio 2013

Presentazione “Napoletanità arte miti e riti a Napoli


Venerdì 31 maggio 2013 
appuntamento alla "Minerva Auctions Palazzo Odescalchi" piazza SS. Apostoli 80, Roma
alle ore 16:45 per la presentazione del più recente libro di
Achille della Ragione.
Sarà presente l'autore!!!!!


Il libro di Achille della Ragione “ Napoletanità arte miti e riti a Napoli” editore Clean è dedicato a tutti coloro che hanno continuato ad amare Napoli nonostante tutto…
Si tratta di un insieme di articoli che ricordano la storia ed esaltano le tradizioni, i costumi e i misteri della culla di un antico fascino: dalla mitica Piedigrotta allo Struscio, alla Sirena Partenope. Dal mondo delle fatture al Diavolo di Mergellina, dal Misterioso mondo dei Femminielli a Maradona. Da “Gli antichi Monte dei pegni all’epicedio del Banco di Napoli”. Interessante l’analisi della “Gloriosa storia ospedaliera, ma una sanità malata”. Dalla Ruota dell’Annunziata a Gomorra di Saviano, senza dimenticare San Gennaro, che da sempre protegge la sua città.
Si evidenzia nello scorrere della lettura una profonda conoscenza degli argomenti affrontati da un punto di vista artistico, storico e scientifico; tutti corredati e documentati da fotografie e immagini a colore.
Il presente volume è il primo di un cofanetto con 3 tomi sulla Napoletanità e 2 su 100 personaggi napoletani da ricordare, per un totale di 1000 pagine e 2000 foto.

per la consegna del libro a domicilio Tel. 081 55 14 334


Achille della Ragione, già noto ginecologo napoletano ha avuto sempre la passione della scrittura. Ha pubblicato diversi libri, prevalentemente saggi di storia dell’arte, ma anche monografie di personaggi illustri come “Achille Lauro superstar”. Continua a scrivere articoli giornalistici pluridisciplinari e collabora con riviste italiane e straniere.

Tre dipinti inediti del seicento napoletano


aggiunte al catalogo di De Simone, Pacecco e Artemisia


A Napoli nel XVII secolo l’affollato panorama dei pittori così detti minori, al confronto di giganti del calibro di Ribera, Giordano, Preti e Solimena e l’inveterata consuetudine di copiarsi l’un l’altro, ha creato una situazione di incertezza nelle attribuzioni, e solo pochi occhi esperti sono in grado di discernere i diversi pennelli.
Il primo dipinto che cade sotto la nostra attenzione (fig.1) richiama a viva voce la paternità di Niccolò De Simone, il “geniale eclettico”, come amava definirlo il compianto Raffaello Causa, nativo di Liegi, ma napoletano a tutti gli effetti. Il quale, presenta caratteri distintivi oramai ben noti alla critica più avvertita come: anatomie sommarie, tipica concitazione delle scene, caratteristico volto delle donne (tutte mediterranee dai pungenti occhi scuri), assenza di profondità spaziale con bruschi passaggi di scala, folle in preda a un’intensa agitazione, cieli tempestosi e baluginanti, ripetitività nella costruzione generale della scena, resa cromatica dall’uso di colori stridenti ed incarnati rossicci.

fig 1-scena di duello

La tela in esame presenta sul retro una dedica “Vincenzo Galiero a ricordo di sua signoria  illustrissimo reverendo Padre Michele M. da un indegno ma penitente peccatore ostinato.” Una traccia che potrà essere utile per identificare il luogo della committenza, che riteniamo possa essere la Calabria.
Il quadro, nelle dimensioni, nella costruzione della scena e nella rutilante gamma cromatica, rivela stringenti affinità con una spettacolare Strage degli Innocenti dell’antiquario Parenza di Roma, da noi accuratamente descritta in un precedente contributo; come pur l’anziano col turbante e la folta barba (fig.2) è  lo stesso personaggio che compare, con identica gestualità delle mani, alle spalle di Aronne mentre trasforma l’acqua del Nilo in sangue, il telone, pendant del Mosè che fa scaturire l’acqua dalla roccia, conservato nella chiesa dei SS. Severino e Sossio a Napoli.

fig 2-particolare del vecchio con turbante

Più complessa ed impegnativa la seconda attribuzione: quella del San Rocco (fig.3), se non fosse per la presenza del cane (fig.4) con in bocca la pagnotta, il quale si tradisce per essere il quadrupede personale di Pacecco, che compare in molti suoi quadri, anche i più famosi, e grazie al “mio fiuto” che ha scoperto questo debole del pittore segnalandolo nella mia biografia sull’artista, così che altri brillanti studiosi hanno potuto stilare preziosi expertise.

fig 3-San Rocco

fig 4- particolare del cane

A prima vista, l’aspetto trasandato dei capelli ed il volto apparentemente truce del Santo, potevano indurre a proporre come autore il nome di Francesco Fracanzano, ma l’esame attento dell’incarnato madreperlaceo e la stessa analisi del volto, da cui suda una pace interiore ai limiti dell’estasi, non lascia dubbi, sulla paternità dell’opera. 
Pacecco amava dipingere delicate fanciulle dai corpi eterie e dalle forme aggraziate ed accattivanti, con eleganti pettinature di una modernità sconcertante, come se fossero state realizzate da un abile coiffeur contemporaneo, ma se andiamo a confrontare il San Paolo con le rare figure maschili del suo catalogo, non possiamo non cogliere le stringenti affinità, particolarmente la cura e la dolcezza con cui sono definite le mani di un biancore luminescente, cadono gli ultimi dubbi.
E concludiamo con un capolavoro di Artemisia Gentileschi, un Davide e Golia (fig.5), che tempo fa identificammo in una raccolta privata e del quale conoscevamo l’esistenza, perche descritta nello studio della pittrice nel 1631 da Joachim Von Sandrat.
Oggi finalmente possiamo ammirare l’opera esposta nella mostra sull’artista a Pisa nella magnifica sede di Palazzo Blu.
fig 5- Davide e Golia

Lo studio attento del dipinto è un’ulteriore dimostrazione di ciò che abbiamo riferito nell’incipit del nostro articolo: la tendenza dei pittori napoletani ad influenzarsi reciprocamente, che assume particolare pregnanza nel caso di Artemisia, con una parte della critica, inclusi i curatori della mostra pisana, i quali forniscono un’immagine nella quale la Gentileschi rappresenta il fulcro attorno al quale al quale si sono adeguati i suoi colleghi, come se il suo pennello prestigioso come un ricamo, avesse determinato il corso del’intera koinè napoletana. 
Un’opinione che non ci trova concordi, alla luce degli ultimi studi che ci hanno permesso di accrescere le nostre conoscenze sulla figura di artista e di donna. Ella fu molto amata dai pittori napoletani, ma gli scambi avvennero su un piano di perfetta parità.
Il dipinto raffigura un giovane sfrontato che fissa con arroganza lo spettatore, mentre con una gamba accavallata, poggia il braccio destro sulla testa tagliata del gigante Golia, dopo averlo tramortito con un sasso fiondato al centro della fronte.
Un mix prodigioso di naturalismo caravaggesco e di potenza cromatica di matrice prettamente partenopea.
Una esposizione che farà da stimolo per gli studiosi ad approfondire non solo Artemisia, ma anche quel crogiuolo di artisti che fecero del Seicento il secolo d’oro della pittura napoletana

Bibliografia

  • della Ragione A – il secolo d’oro della pittura napoletana (10 volumi), Napoli 1998-2001
  • della Ragione A – Pacecco De Rosa opera completa, Napoli 2005
  • della Ragione A – precisazioni ed inediti di Niccolò De Simone, Napoli 2009
  • della Ragione A – Niccolò De Simone un geniale eclettico, Napoli 2010
  • della Ragione A – la pittura napoletana de Seicento (repertorio fotografico a colori) tomi I-II, Napoli 2011
  • della Ragione A – mostra di Artemisia Gentileschi a Pisa, Scena Illustrata 2013


martedì 28 maggio 2013

UNA MINISTRA IN GAMBA….

Nunzia De Girolamo

Ho cercato disperatamente di creare una quota rosa tra i 100 Napoletani da ricordare ed ho incontrato una certa difficoltà, perché nel meridione la donna conserva ancora l’immagine di angelo del focolare e fatica a farsi spazio in politica come nel giornalismo, nei ruoli dirigenziali come nelle professioni.
Nunzia De Girolamo, assurta giovanissima al ruolo di ministra dell’agricoltura nel governo Letta per chiamata diretta del suo protettore… ed in maniera alquanto singolare.
Arriva una telefonata non attesa “caspita la voce è quella del presidente”; “Nunzia è vero che tu hai un giardino? E che coltivi patate e zucchine?”, “certo è di ottima qualità” annuisce orgogliosa. “Bene avrai il dicastero dell’agricoltura”.
La neoministra è originaria di Benevento, di quell’area del meridione dove la lentezza è regola e si coniuga con la furbizia, dove la provincia è nazione e la nazione è provincia, mentre le colline segnano il confine e l’orizzonte.
Il suo matrimonio è la dimostrazione lampante della applicazione del compromesso storico: il marito deputato del PD, Lei del PDL; la figlioletta di 10 mesi, Gea, per chi non lo sapesse terra, un segno premonitore del futuro della mamma, la quale, nonostante i prossimi impegni conta di non tralasciarla e quando possibile la porterà con sé. Per precauzione la nonna è stata convocata a Roma pronta ad essere impiegata a tempo pieno.
i coniugi Francesco Boccia e Nunzia De Girolamo

Tra le prime gaffe :”il Veneto è una terra di contadini”. La risposta della Lega non si è fatta attendere :”gli interessi economici di una regione a forte vocazione agricola non possono essere rappresentati da una persona inesperta. Qualche maligno ha paventato un conflitto d’interesse per via del padre direttore di un consorzio agrario, ma sono solo chiacchiere della buvette di Montecitorio.
Piace al cavaliere? “non credo lui ammira le linee femminili meno alte dal corpo più fasciato”.
E’ convinta che la politica va fatta sul territorio, venne scoperta cinque anni fa da Bondi, incaricato di cercare giovani di valore da catapultare in politica, con la fedina pulita immacolata ed un futuro ancora in pectore.
Nunzia era impegnata a trattare con Clemente Mastella. All’epoca orientato a sinistra, ma pronto come sempre a cambiare direzione di marcia.
Sempre pronta a manifestare per cause giuste e nobili, come di recente ha marciato al fianco di Alfano verso il Palazzo di Giustizia di Milano, per protestare contro la toghe rosse.
Memorabili le sue apparizioni televisive, alla Sgarbi concluse sempre con zuffe verbali, come capitò con Concita De Gregorio, che ebbe l’ardire di chiederle di cosa parlasse la sera con il marito.
A qualcuno che si chiede quali siano le sue competenze ed i suoi programmi per sviluppare un settore strategico per l’economia italiana quale è l’agricoltura, risponde impettita :”cercherò di portare la cultura della legalità in territori che non l’hanno mai conosciuta, come in quelle lande desolate, una volta fertili, dove dettano legge i casalesi. Quando mia figlia andrà a votare sarà orgogliosa di vivere in un paese migliore dell’attuale”.
Un programma ambizioso per il quale facciamo i migliori auguri, lodando la meritocrazia e concludendo: finalmente l’uomo (anzi la donna) giusta al posto giusto.

I genitori e il marito al quirinale per assistere alla cerimonia del giuramento

Nunzia De girolamo con il presidente Giorgio Napolitano e alcuna colleghe ministro del nuovo governo

lunedì 27 maggio 2013

NOVANT’ANNI GUARDANDO AL FUTURO

Aldo Masullo

Aldo Masullo, uno dei più grani filosofi italiani, ha festeggiato i suoi primi novant’anni, spegnendo altrettante candeline e citando Nietzsche: “ Io amo soltanto il paese dei miei figli, quello ancora da scoprire” e per lui i figli sono una declinazione del futuro.
Professore emerito di filosofia morale alla Federico II di Napoli, egli afferma che.” Ogni età è sempre quella giusta per guardare al futuro, solo esso mi interessa per breve che possa essermi dato”.
Egli appartiene a quel gruppo di pensatori che esprimono i nostri pensieri più tormentati e profondi e per quanto l’essenza di ciascuno di noi è sepolta nel nostro passato, l’atteggiamento più consono all’uomo è quello di guardare al futuro, la nostra stessa stazione eretta significa che viviamo prospetticamente.
La sua passione per la filosofia nasce sui banchi del liceo di Nola e dopo un interesse per la poesia e la letteratura teatrale, si è riproposta prepotentemente all’università, frequentata durante la guerra, con il professore che leggeva in greco i dialoghi di Platone nel giardino dell’archivio di stato. In quel momento capì come lo studio potesse costituire un riparo alla follia degli uomini.
Da allora non ha smesso di meditare,ma confessa candidamente di non aver trovato una risposta soddisfacente al significato dell’esistenza e si rammarica di dover morire fra poco senza aver saputo trovare una risposta adeguata a questa domanda angosciosa.
La sua tesi nel 1944 a 21 anni fu su Julien Benda, un autore letto in francese e che solo nel 1976 è stato tradotto in italiano.
Il suo vero maestro è stato Cleto Carbonara, ma una bussola che lo ha accompagnato per tutta la vita è stata sua moglie Iolanda, che affettuosamente chiamava Landa e che rimpiange sconsolato.
Per un certo periodo è stato in prestito alla politica, ricoprendo diversi incarichi parlamentari e partecipando da protagonista allo svolgimento della vita civile della sua città di elezione: Napoli, una antica capitale che gli è entrata nel sangue e per la quale soffre vedendola attraversare uno dei momenti più difficili della sua storia, tra crolli di palazzi, buche nelle strade e paralisi del traffico. La sua ricetta: meno attenzione ai grandi eventi ed una maggiore cura dei bisogni spiccioli della vita quotidiana, con un’amministrazione che dovrebbe maggiormente curare un rapporto diretto con i cittadini.
E’ stato costantemente un acuto osservatore di quel purgatorio napoletano, che cerca disperatamente la salvezza dopo aver sognato di vivere un nuovo rinascimento; il percorso temporale dal 1995 ad oggi gli sembra costituire i punti di una parabola discendente a scandire le stazioni di una dolorosa via crucis, al termine della quale è difficile intravedere la luce.
Di grande interesse e da meditare più che da leggere è il suo ultimo libro”piccolo teatro filosofico”, una serie di dialoghi che hanno sorprendenti protagonisti: l’anima e l’automa, il Papa Benedetto ed il principe Amleto, Giordano Bruno ed un procuratore della repubblica ed infine un oscuro Eraclito con uno sveglio orologiaio.
Il primo dialogo tra l’anima e l’automa è incentrato tra l’ esperienza contemporanea, che cerca disperatamente una relazione tra l’anima ed il corpo; dei due dialoganti il secondo vorrebbe  attribuirsi tutte le qualità dell’ essere vivente ma il primo gli dimostra che egli non vive, perché mai potrà patire la vita e trascenderla, uno straordinario ammonimento a quegli scienziati che sognano di produrre macchine umanoidi senza cogliere il discrimine inamovibile tra i robot e gli uomini, i quali nascono, vivono e muoiono.
Tra Giordano Bruno ed il procuratore il paradosso risiede nella convinzione dell’accusatore che nessuno è innocente, salvo naturalmente lui e le persone a lui care, per cui cade miseramente la pretesa universalità del giudizio. Un duro atto di accusa a quel doloroso quanto spudorato percorso indicato eufemisticamente come Giustizia in crisi.
Amleto, quello straordinario personaggio creato dalla fertile fantasia di Shakespeare, difende le evidenze della ragione in lotta con i dogmi della fede. “E’ talmente forte in me la paura di sbagliare che preferisco rimanere nel dubbio”. Di contro Papa Benedetto accusa Amleto di relativismo e nichilismo e rivendica alla chiesa l’autorità di imporre la fede come unica salvezza per l’uomo.
Concludiamo chiedendo al maestro quale ruolo ha il filosofo nella nostra società. “Il filosofo è una persona che ha sviluppato una particolare attenzione alla distinzione cercando di separare il bene dal male”.
Aldo Masullo mal sopporta la definizione di maestro, nonostante il suo infinito magistero, che auspichiamo ancora lungo e fruttuoso. Egli vuole essere considerato uno di noi, in grado però di renderci più consapevoli e più degni di chiamarci uomini.

Aldo Masullo
Aldo Masullo
Democrito

martedì 21 maggio 2013

L’amore al tempo della galera



Avrei voluto intitolare questo capitolo Il sesso nelle carceri poi sono stato attirato da questo titolo di derivazione cinematografica e ho deciso di adottarlo per discutere di quello che, a parere dei detenuti, quasi tutti molto giovani, è la privazione più grave: l’impossibilità di continuare a praticare una dignitosa affettività con le persone care, anche loro condannate, senza alcuna colpa, alla stessa pena e non vogliamo parlare solo di sesso negato, ma anche dell’impossibilità di continuare ad intrattenere un decente, anche se discontinuo rapporto, con i propri figli in tenera età, che sono sottratti per lunghi periodi da qualsiasi contatto col genitore.
Si tratta di un tema scottante, tale da suscitare imbarazzo e perplessità anche solo a parlarne, ma alcune nazioni, Svizzera, Spagna, Svezia lo hanno affrontato con coraggio ed hanno trovato delle soluzioni dalle quali prendere esempio.
L’argomento è talmente audace che si è voluto creare un termine ambiguo: affettività per aggirare la terminologia più esplicita di sesso, che potrebbe mettere subito in fuga moralisti e benpensanti.
Tutti riconosciamo che l’essere umano ha bisogno di affetto, tanto più quando viene a trovarsi in situazioni di disagio e senza dubbio la restrizione della libertà è una delle condizioni più penose da sopportare.
Nella repressione degli affetti si verificano gravi deviazioni, comprese quelle sessuali. A questo proposito lapidario è il pensiero di Friedrich Nietzsche: "È noto che la fantasia sessuale viene moderata, anzi quasi repressa, dalla regolarità dei rapporti sessuali, e che al contrario diventa sfrenata e dissoluta per la continenza e il disordine dei rapporti." (“Umano, troppo umano”, I, n. 141).
Allora la soluzione va cercata in una politica illuminata che, nell’esecuzione della pena, privilegi sin dall’inizio, se non è possibile l’uscita dal carcere, almeno l’incontro periodico coi propri cari e non il distacco netto e la drastica separazione, causa di infiniti problemi esistenziali, di relazione e interpersonali.
Nell’interno del carcere è opportuno creare degli ambienti, che pur rispondendo a tutti i requisiti di sicurezza, offrano al recluso ed ai suoi familiari dei momenti di intimità. Se un detenuto riesce a mantenere una rete solida di rapporti affettivi, oltre a tollerare di buon grado la pena da scontare, corre molti meno rischi di tornare a commettere reati, inoltre conserva un comportamento corretto, quando queste occasioni di incontri ravvicinati… sono subordinati ad un condotta assolutamente irreprensibile.
Prima di considerare gli incontri intimi bisogna valutare tutta una gamma di possibilità intermedie, che vanno dai colloqui gastronomici, la possibilità di consumare un pasto con parenti ed amici, alla facoltà per i familiari di partecipare a giornate particolari come il Natale o la Pasqua ed infine, molto importanti, gli incontri con i propri figli in tenera età, in ambienti opportuni e, se richiesta, con l’assistenza di psicologi ed operatori sociali. 
Le sorprendenti scoperte di Reich hanno dimostrato in maniera inequivocabile quanto la repressione sessuale generi violenza e come le istituzioni tendano a canalizzare l’esplosione di queste pulsioni primitive per utilizzarle nei conflitti bellici.
La violenza che si produce nelle carceri, impedendo anche solo la parvenza di un’attività sessuale, non giova a nessuno, certamente non alla società che si trova a ricevere individui incattiviti, nei quali cova l’odio e la vendetta, invece che la volontà di reinserimento.
La storia del carcere è lunga quanto quella dell’uomo, ma le segregazioni nell’antichità (Roma docet) e nel medio evo ripugnano la sensibilità moderna per le atrocità ed il costante utilizzo della tortura, per cui un’analisi storica sulla nascita dei sistemi penitenziari bisogna farla risalire alla nascita della società industriale ed all’accentuazione dell’esercizio del potere dello Stato, in momenti dominati dalla cultura religiosa, che ha sempre dato al sesso una valenza particolare di demonizzazione.
Pensiamo alle Lettere di San Paolo ai Padri della chiesa, ad Origene, a San Girolamo, a Sant’Agostino, fino ad Alberto Magno e San Tommaso d’Aquino. Di conseguenza una soluzione al problema "affettività", intesa in particolare nella sua dimensione sessuale, deve cominciare necessariamente attraverso una critica storico culturale puntuale e puntigliosa. Dobbiamo ripercorrere e rivisitare tutta la nostra tradizione culturale sull’argomento, ereditata in duemila anni di storia dell’Occidente, che ha accompagnato ed influito sul concetto del sesso e del piacere in generale, vissuto costantemente come peccato, male necessario solo per la procreazione ed a salvaguardia della specie.
La cattolicissima Spagna o la democratica Svizzera da tempo consentono i "colloqui intimi" ed hanno ottenuto ottimi risultati.
In Italia per evitare che qualcuno confonda le "stanze dell’affettività" con le "celle a luci rosse" è necessaria un rivoluzione culturale. La pena è privazione della libertà, ma non deve significare anche distruzione degli affetti ed annullamento completo di una normale vita sessuale.
Naturalmente non bisogna considerare unicamente le esigenze di affettività degli uomini sposati o conviventi, trascurando i bisogni, impellenti ed improcrastinabili dei più giovani, che non hanno legami fissi, ma in compenso hanno ormoni in ebollizione e desideri difficile da placare. La masturbazione o l’omosessualità, i rimedi ai quali sono obbligati non sono certo la soluzione del problema.
Anche per loro bisogna predisporre un programma che tenga conto delle loro esigenze.
In Italia il meretricio è legale e sarebbe eccessivamente licenzioso pensare ad una cooperativa di prostitute che si convenzioni con le istituzioni carcerarie?
Vi sarebbe spazio anche per volontarie, moderne suffragette pronte ad immolarsi per una giusta causa, eventualmente anche per fanciulle poco attraenti, in virtù del fatto che molti detenuti a seguito della lunga astinenza sarebbero pronti a tutto…
Naturalmente agli ammogliati sarebbe vietato di accedere a questo servizio.
Naturalmente la prestazione sarebbe a spese del recluso.
Naturalmente sarebbe un evento sporadico molto dilazionato nel tempo.
Naturalmente potrebbero usufruirne solo quelli che osservano una condotta corretta.
Naturalmente tutti, politici ed opinione pubblica devono impegnarsi per risolvere lo spinoso problema.


        

sabato 18 maggio 2013

lettera aperta al Ministro Lorenzin




Illustre signor Ministro della Salute,

il suo predecessore ed i suoi più stretti collaboratori dott. Leonardi e prof. Bevere in pochi mesi ci hanno onorato due volte di una loro visita presso il gruppo universitario di Rebibbia, dando luogo ad un fattivo scambio di idee sulle problematiche collegate alla salute dei detenuti. L'ultima volta, presenti anche le più alte autorità del DAP, perché la soluzione puo' scaturire soltanto attraverso una stretta sinergia tra i due Ministeri.
Appena libera dai gravosi compiti di istituto gradiremmo che anche Lei venisse a farci visita.
La aspettiamo.

                                                            Distinti saluti
                                                            Achille della Ragione

Roma 10/05/2013 

giovedì 16 maggio 2013

Un attore dal multiforme ingegno

01-Toni Servillo


Passare dal teatro al cinema con nonchalance rappresenta la cifra stilistica del più grande attore napoletano attualmente in circolazione:Toni Servillo, 54 anni, nativo di Afragola, vincitore di tre David di Donatello e tre Nastri d’Argento.
Memorabili le sue interpretazioni cinematografiche, a partire da “Gomorra” di Matteo Garrone, che riesce a trasferire in immagini il cupo e fosco capolavoro di Saviano e nel quale Servillo impersona con cinismo un mercante di morte, che trasferisce i veleni delle industrie del nord, inquinando irreparabilmente terreni da sempre ubertosi, incluse le falde acquifere, rubando letteralmente il futuro alle nuove generazioni.
Dopo “Le conseguenze dell’amore” e “La ragazza del lago”, nel 2008 con “Il Divo”, in cui con volto da clown impassibile ci restituisce un Andreotti espressione paradigmatica del potere, vince a Cannes, dove il film riscuote un grande successo di pubblico e critica.
02-Toni Servillo e Paolo Sorrentino

03-Paolo Sorrentino e Toni Servillo
Ed ora vi è un’attesa spasmodica per come  giurati e botteghino risponderanno alla sua ultima fatica, “La grande bellezza”, sempre in coppia con Sorrentino,  nella quale interpreta uno scrittore disilluso che voleva conquistare la Capitale, ma viene conquistato dalla Città Eterna, in preda alla corruzione e con una morale da basso impero, specchio di una nazione infetta e moribonda.
E’ il quarto film girato con Sorrentino, che nel raccontare la mostruosa bellezza di Roma, vuole anche essere per entrambi una sorta di autobiografia intrisa da quella malinconica ironia con la quale i napoletani attraversano la vita.
Toni è Jep Gambardella, un giornalista mondano, arrivato nella capitale da giovane, sull’onda di un primo romanzo di successo alla ricerca della grande bellezza, ma rimasto prigioniero dello scintillante nulla mondano. Arrivatoa 60 anni, senza aver trovato quell’agognata bellezza, vorrebbe scrivere un romanzo sul nulla ma si accorge di non esserne capace.
L’altro protagonista del film è Roma, percorsa nei suoi gironi d’inferno contemporaneo.
La narrazione parte dalla descrizione di una grottesca  ed assordante festa romana, una spietata parodia della  nostra società dello spettacolo, vivisezionata con una curiosità antropologica, un mondo precipitato in un vorticedi atonia morale, frequentato da giornalisti, artisti e politici a braccetto con un drappello di prelati presenzialisti, perdutamente attratti dalla mondanità: un universo dove tutti vogliono apparire e nessuno ascolta nessuno.
Ne esce il quadro di una città unica: da un lato il caos della metropoli, dall’altro  un tempio di rovine archeologiche e morali, la Roma papalina, città di Dio,  e la Roma infernale morbosamente pagana, un po’quaresimale e un po’ carnevalesca, un luogo ove Yin e Yang sono riusciti ad alternarsi, in forme sempre più degenerate.
Sullo sfondo troneggia un paese allo sbando, in preda ad una grave crisi più morale che economica, che cerca disperatamente di ancorarsi ad un passato glorioso, più immaginato che reale.
Nel cast anche i personaggi minori sono straordinari, da Roberto Herlitzka a Massimo Popolizio, da Sabrina Ferilli ad uno straordinario Carlo Verdone, liberatosi dal consueto cliché e restituito alla dimensione di grande attore drammatico.

04-Il Divo

05-La grande bellezza

06-Servillo e Verdone nel film La grande bellezza

Prima di passare alla dimensione teatrale di Toni Servillo, dobbiamo ricordarlo come protagonista della “Trilogia della villeggiatura” (di recente riproposta in un elegante cofanetto), con la quale è stato in tounée per quattro anni in giro per il mondo, da New York a Mosca, da Istanbul a Montreal, passando per il teatro Mercadante di Napoli dove, nel 2007,fu recitata dagli attori senza i costumi di scena per il solito sciopero che paralizzò l’allestimento.
Sono tre commedie in unache irridono all’ambizione dei “piccioli” che vogliono apparire altolocati,mettendo in guardia, allo stesso tempo, dai pericoli della frenesia amorosa.
Attualmente Toni, con il fratello Peppe, sta mettendo in scena una commedia di Eduardo, “Le voci di dentro”, nella quale protagonisti sono proprio due fratelli. Scritta nel 1948 dal grande commediografo, chiude un ciclo dopo “Napoli milionaria”, “Filumena Marturano” e “La grande magia”, affrontando, nello stesso tempo, il tema della babele dei linguaggi e la difficoltà, nella grande confusione che avvolge la vita, di distinguere la realtà dal sogno.
Al centro della vicenda è Antonio Saporito che, in sogno, molto chiaramente, assiste all’omicidio del suo vicino di casa. Nel sogno il protagonista identifica anche le prove che dimostrano chi sono i colpevoli. Egli denuncia gli assassini, che vengono arrestati, ma nell’armadio da lui indicato non vi è traccia dei famigerati documenti. Capisce allora di aver sognato, ma gli accusati, i Cimmaruta, non  reagiscono negando, bensì incolpandosi vicendevolmente. Mentre si svolge l’intreccio, il fratello di Antonio, zio Nicola, si chiude in un silenzio di protesta, esprimendosi  solo attraverso lo scoppio di rudimentali mortaretti.
Sembra di vedere in azione Estragone e Vladimiro, di beckettiana memoria, in un mondo in dissesto, dietro cui si nascondono le domande ultime dell’umanità.

07- Buccirosso e Servillo nel film La grande bellezza

08-La grande bellezza

09-Trilogia della villeggiatura

Toni e Peppe avevano già lavorato insieme  in “Sconcerto”, una performance dove parole e musica si confondevano, esaltando le rispettive competenze: recitative di Toni, sonore di Peppe, storico frontman degli Avion Travel, un’esperienza in comune che ha fatto rivivere ai due fratelli le esperienze giovanili trascorse all’oratorio dei Salesiani di Caserta e l’insegnamento del padre, che parlava sempre loro di Totò, Viviani, De Filippo e li invitava ad osservare le persone comuni, che si agitavano in quel meraviglioso palcoscenico a cielo aperto che è Napoli.

10-Peppe e Toni Servillo,Le Voci di Dentro

11-Le voci di dentro

12-Le voci di dentro

13-Avion Travel


sabato 11 maggio 2013

Un grande progetto per rilanciare la Campania



L’ultima speranza per Napoli e la Campania di invertire il senso di marcia che ci sta conducendo verso il baratro e proiettarsi verso il futuro è legata ai 19 progetti finanziati con 5 miliardi, il cui scopo è far decollare ambiente, infrastrutture, turismo e banda larga per internet.
Le risorse, in passato diluite in mille rivoli, saranno concentrate unicamente su grandi assi strategici.
Come giustamente è stato definito dal governatore Stefano Caldoro, si tratta di un “Piano Marshall” per la nostra regione.
Le opere più qualificanti sono il completamento della linea 6, che unirà in pochi minuti la Mostra d’Oltremare con Piazza Municipio; la realizzazione della tratta del metrò, che collegherà Piscinola e Secondigliano con Capodichino, creando un anello ferroviario completo con la linea 2, che quanto prima raggiungerà Piazza Garibaldi e, con altre fermate, il Centro Direzionale, il Tribunale, Poggioreale e l’Aeroporto di Capodichino; la riqualificazione ed il disinquinamento del fiume Sarno, cui è collegato il risanamento ambientale dei laghi dei Campi Flegrei e dei Regi Lagni, con l’obiettivo di far ottenere la bandiera blu al litorale domizio, ed infine la costruzione del Polo Fieristico Regionale con strutture congressuali a livello internazionale, che avrà come fiore all’occhiello la Mostra d’Oltremare, dove dovrebbe svolgersi il famigerato Forum delle Culture, del quale, fino ad ora, molto si è parlato, ma non se ne è ancora stabilita la data.
In ambito portuale, lo scalo marittimo napoletano, attraverso nuove infrastrutture al servizio delle imprese e con fondali adeguati all’attracco delle supernavi da crociera e mercantili, incrementerà il traffico merci e passeggeri, mentre il porto di Salerno punterà sull’approdo delle meganavi da crociera e sul movimento dei containers che trasportano principalmente automobili.
Con internet superveloce, grazie alla diffusione della banda larga in tutti i comuni della regione, si colmerà il gap digitale che permetterà ai cittadini un più semplice accesso ai servizi ed alle imprese di svilupparsi in maniera moderna.
Per la zona di Bagnoli è previsto un grande parco urbano che preservi il ricordo dell’acciaio attraverso la conservazione di esempi di archeologia industriale.
Ma il progetto più affascinante è quello che si propone di far tornare a pulsare vigorosamente il cuore antico di Napoli: dalle porte della città storica ai decumani, il centro diventerà un museo a cielo aperto che attirerà turisti e migliorerà la vivibilità dei residenti, in linea con le direttive dell’Unesco, che da tempo ha posto sotto la sua tutela il centro antico più vissuto e frequentato del mondo.
Utopia o realtà?
Molto dipenderà dall’impegno di tutti i cittadini che saranno arbitri del proprio destino: una gloriosa rinascita o una decadenza inarrestabile.

Il Teatro Margherita e il Cafè-Chantant

01-manifesto del Salone Margherita

Possiamo cominciare questo capitolo con la fine della passeggiata per Via Toledo, magistralmente descritta da uno scrittore straniero innamorato di Napoli, la quale costituiva l’antipasto prima del divertimento, che aveva il suo tempio nella Galleria dove si trovavano i più celebri Caffè-Chantant.
Alla fine del percorso possiamo immaginare che stia scendendo la sera, la luce dei lampioni a gas, le insegne dei negozi: si illumina la scena. E possiamo “vedere” la duchessa Caffarelli che passeggia con due gentiluomini, il conte Perrone che esce dalla pasticceria Pintauro, alcune donne che conversano allegramente concedendosi prolungate risate: sono le demi-mondaines, giovani donne che si concedono solo agli uomini facoltosi. Con le loro toilettes, ma più ancora con la loro bellezza, gareggiano con dame aristocratiche. Dai negozi si entra e si esce sorridenti, coppie di innamorati passeggiano scambiandosi sguardi languidi, schiocchi di frusta sollecitano i cavalli. E’ l’ora della vita, è l’ora del cicaleccio, è l’ora dell’amore, è l’ora in cui Toledo offre il gran finale del suo meraviglioso spettacolo. (Alexandre Dumas)
Sul finire del XIX secolo, quando Parigi divenne il simbolo del divertimento e della vita spensierata, i cafè-chantant valicarono le Alpi per essere importati anche in Italia. La novità esplose a Napoli, dove l’epoca d’oro del caffè-concerto coincise con quella della canzone napoletana. Nel 1890per merito dei fratelli Marino, che capirono l’importanza di un’attività commerciale redditizia da unire al fascino della rappresentazione dal vivo, venne infatti inaugurato l’elegante SaloneMargherita, incastonato nella Galleria Umberto I. 
L’idea fu vincente e ricalcò totalmente il modello francese, persino nella lingua utilizzata: non solo i cartelloni erano scritti in francese, ma anche i contratti degli artisti e il menu. I camerieri in livrea parlavano sempre in francese, così come gli spettatori: gli artisti, poi, fintamente d’oltralpe, ricalcavano i nomi d’arte in onore ai divi e alle vedettes parigine. E’chiaro come la clientela che affollasse il Salone Margherita non fosse gente del popolino: in ogni caso, per i più disparati gusti, sorsero altri cafè-concert come l’elegante Gambrinus, l’Eden, il Rossini, l’Alambra, l’Eldorado, il Partenope, la Sala Napoli ed altri ancora che ricalcavano spesso, anche nel nome, i cafè-chantant parigini. Anche altri bar di Napoli, che in passato non presentavano spettacoli, si adattarono al gusto del momento presentando numeri di varietà misti a canzoni.
Solitamente gli spettacoli proposti erano presentati in successione, con un intervallo tra primo e secondo tempo del susseguirsi di rappresentazioni. Solo verso la fine del primo tempo qualche personaggio noto appariva in scena ma il clou veniva raggiunto al termine, quando il divo eseguiva il suo numero. Importanti e famosi artisti che iniziarono la loro carriera proprio nei caffè-concerto furono Anna Fougez, Lina Cavalieri, Lydia Johnson, Leopoldo Fregoli, Ettore Petrolini, Raffaele Viviani.
Il cafè-chantant divenne in Italia non solo un luogo ed un genere teatrale, ma anche qui, come in Francia, il simbolo della bella vita e della spensieratezza, nel pieno della coincidenza con la Belle èpoque.
Al successo della canzone napoletana si accompagna la nascita del caffè-chantant con l’inaugurazione del Salone Margherita, una settimana dopo l’apertura della Galleria Umberto I, che in breve diverrà il cuore pulsante della cultura e della mondanità cittadina. Il nuovo locale occuperà gli spazi sotterranei ed ottenne in breve lasso di tempo un successo internazionale, grazie al coraggio imprenditoriale dei fratelli Marino, che sul loro palcoscenico fecero sfilare le più celebri vedettes internazionali, come la Bella Otero o Cleo de Mérode, alle quali si affiancarono non meno brave ed affascinanti prime donne indigene, che, pur sfoggiando modelli e pseudonimi francesi, in onore del paese dove era nato quel tipo di spettacolo, erano originarie del Vasto o del Pallonetto.

02-Anna Fougez

03-Lina Cavalieri

04-Bella Otero

05-Cléo de Mérode


Assursero a grande notorietà anche molti comici come Gill, Pasquariello e Maldacea o magnifiche cantanti, tra le quali spiccava il nome di Elvira Donnarumma, la prediletta di Libero Bovio.
Sciantosa deriva dal francese chanteuse che vuol dire cantante, ma anche primadonna, attrazione, fantasia: quella che oggi si definirebbe una star.
Sull’esempio del cafè-chantant di Parigi, negli anni che precedettero la prima guerra mondiale, a Napoli furoreggiò il caffè-concerto, con protagonista, appunto, le sciantose. Per essere il più possibile simili alle colleghe d’oltralpe, le indigene adottavano nomi d’arte francesizzanti e gli autori di canzoni ironizzavano volentieri su questa moda. Nacquero così  “A frangesa” di Mario Costa nel 1894, “Lily Kangy” del 1905 (la macchietta di successo di Nicola Maldacea) e infine la famosa “Ninì Tirabusciò”, un nome ed un cognome certo più eleganti di Nina Cavatappi. Questa leggendaria figura fu creata nel 1911 da Califano e Gambardella e negli anni Sessanta il ritornello, che fu il cavallo di battaglia di Gennaro Pasquariello, venne rilanciato in televisione e al cinema da Monica Vitti in veste di sciantosa. In epoca più vicina a noi le gustose  tiritere di Ninì Tirabusciò sono state rivisitate da Mirna Doris, autentica vedette dell’avanspettacolo, dalla dosata ironia  e dal gustoso piglio popolaresco.
Il successo del cinema fu tale che anche il mitico Salone Margherita fu costretto ad inserire, all’interno della programmazione serale, alcuni minuti di proiezione di un film. Una consuetudine che si ripeterà dopo circa 50 anni con l’avvento della televisione: infatti, a dimostrazione che ogni nuovo mezzo espressivo cerca di scalzare il precedente, il giovedì  sera tutti i cinematografi interrompevano la pellicola in corso per permettere al pubblico di seguire la puntata di “Lascia o raddoppia” con un allora giovanissimo, ma già irresistibile, Mike Bongiorno.
Poco tempo dopo l’inaugurazione della Galleria Umberto I, al suo interno fu aperto il Caffè Calzona. Ben presto i napoletani impararono a conoscerlo per le serate di gala e i luculliani banchetti ufficiali che vi si tenevano.
Fu qui che, al ritorno da Parigi, fu festeggiata Matilde Serao per il successo raccolto in terra francese e fu al Calzona che, per la prima volta sul palcoscenico di un Cafè-chantant napoletano, ancor prima che al Salone Margherita, si esibirono le girls. Era la mezzanotte del 31dicembre 1899, quando 12 bellissime ragazze, con il loro balletto, un po’ osè per quei tempi, salutarono l’Ottocento come il secolo d’oro appena concluso e diedero il benvenuto al neonato Novecento.
Ma gli spettacoli di varietà nel Caffè della Galleria non costituivano un avvenimento eccezionale: erano in programma ogni sera. Il piccolo palcoscenico, posto proprio al centro e rivolto verso Via Santa Brigida, fu calcato da personaggi dello spettacolo rimasti famosi, in particolare dalla coppia Scarano-Moretti, cioè il padre e la madre di Tecla Scarano. Gli spettacoli del Calzona avevano tale successo di pubblico che anche i giornali dell’epoca, spesso, ne pubblicavano le recensioni. Di solito, i critici dei quotidiani seguivano solo le prime dei lavori in scena nei numerosissimi teatri napoletani.
Anche il Caffè della Galleria, per i prezzi particolarmente bassi che praticava e per gli spettacoli gratuiti e di buon livello, era divenuto un punto d’incontro tra le classi ricche e quelle meno abbienti. Con la spesa di soli tre soldini si prendeva il caffè seduto al tavolino e si poteva trascorrere l’intera serata a godersi lo spettacolo.
C’era chi, più fortunato, poteva assistere dalle finestre del suo ufficio al primo piano. Era il caso di Matilde Serao che, dalla redazione del Il Giorno, tra uno scritto e l’altro, volgeva volentieri lo sguardo verso il piccolo palcoscenico del Calzona.

06-Armando Gill
07-Gennaro Pasquariello
08-Nicola-Maldacea
Il Caffè, con la sua attività di spettacoli e con il suo pubblico eterogeneo, fornì lo spunto ad una macchietta, inventata dal cronista mondano del Mattino Ugo Ricci. La interpretò l’attore Nicola Maldacea nel vicinissimo Salone Margherita. Nel dialogo si magnificavano le caratteristiche del locale: <In fatto di cafè, presentemente, non v’è di meglio d’ ‘o CafèCalzona…/ Questa è la mia modesta opinione: sempre secondo il mio modo  ‘e vedè>.
In realtà qualcosa di meglio doveva esserci  se è vero che pian piano il Calzona perse la parte più consistente della sua clientela in favore di altri locali, in particolare, a beneficio dei  solitiGambrinus e Salone Margherita.
In questi anni, dopo Ninì Tirabusciò, nata dalla penna prolifica di Aniello Califano, Ferdinando Russo firma il primo fascicolo della Piedigrotta e, grazie alla casa discografica Polyphon, annunzia l’ambizioso progetto di esportare la canzone napoletana in tutto il mondo.
Giungeranno così per i siti più lontani la poetica del nostro animo sognante, l’idea di un mare divino, di un sole ammaliante, della nostre armonie gentili ed accattivanti.
Il fenomeno dei cafè-chantant napoletani fu tale che in breve tempo cominciò ad espandersi nelle altre grandi città italiane. La prima città ad introdurli a sua volta fu Roma. Il perché di tale diffusione non deve stupire: così come a Napoli, anche a Roma, a Catania, a Milano, a Torino ed in molte altre città letterate d’Italia si riunivano spesso, nei bar e nelle trattorie, cantanti e poeti che, nel corso di riunioni semiprivate, si dedicavano al canto ed alla declamazione di poesie. Questa forma artigianale di spettacolo fu il fertile terreno su cui si basò il successo dei caffè-concerto, che negli ultimi anni del 1800 aprirono anche nella Capitale.
Sempre i fratelli Marino, già proprietari del Salone Margherita di Napoli, inaugurarono nella Capitale due nuovi locali: un altro Salone Margherita e, successivamente, il Teatro Sala Umberto. A questi seguirono numerosi altri cafè-chantant dai nomi altisonanti ed esotici (non proprio tutti: il primo caffè-concerto della città, aperto in Via Nazionale, portava il poco allegro nome di “Cassa da morto”).
Vorremmo concludere delineando la figura di Ersilia Sampieri, al secolo Ersilia Amorosi, la prima diva del cafè-chantant.


09-Elvira Donnarumma

10-Libero Bovio

11-Ninì Tirabusciò, la donna che inventò la mossa - attrice protagonista Monica Vitti
Torinese di nascita e napoletana di adozione, usò la sua fama e la sua ricchezza per aiutare i bisognosi. Era orfana dei genitori, che le lasciarono un solo capitale: una prorompente bellezza ed una bella voce. Dopo aver lavorato in una compagnia di bambini, la Lillipuziana, in breve si trovò ad esibire nei locali del lungomare di Marsiglia. A Napoli si trasferì a 17 anni e, con il nome di Piccola Andalusa, si esibiva alla Birreria dell’Incoronata, cantando in napoletano, francese e spagnolo. Divideva il palco con giovani di grande talento come Elvira Donnarumma ed il macchiettista Davide Tatangelo. Alla fine girava col piattino per le offerte, facendo intravedere il seno. Passò poi al Caffè Scotto-Jonno e da lì spiccò il volo per esibirsi nei locali italiani più rinomati con puntate anche all’estero.
Nel 1901, quando i fratelli Marino la scritturarono al Salone Margherita, era già una diva.Vi rimase sei anni, alternando esibizioni a Parigi e Londra, dove venne definita la “Sarah Bernhard del caffè-concerto”, mentre Edoardo Scarfoglio preferiva l’epiteto di “la Fenice della Fenice”.
Gli impresari le misero a disposizione un secondo camerino, dove procurava lavoro, trovava  un letto in ospedale, facilitava permessi ed esoneri ai militari: tutto soloper umanità.
Su di lei circolavano svariate leggende: amante di un rampollo di casa Savoia o membro della massoneria.
Di lei si innamorò perdutamente Libero Bovio, che le dedicò una struggente poesia.
Nel 1907 sposò Mister Muscolo, un lottatore acrobata gelosissimo, che le vietò le attività benefiche e la portò in breve alla separazione ed alla solitudine.
A Parigi fece innamorare un petroliere e durante una tournée in Medio Oriente, conquistò un pascià disposto a follie pur di averla nel suo harem.
Resse la scena fino ai 45 anni e piano piano, finiti i risparmi, per sopravvivere si improvvisò chiromante con studio a Roma. Resistette 12 anni, poi finì all’ospizio dove si spense a 78 anni nel 1955.
La sua voce è giunta fino a noi grazie ai dischi della Phonotype, che ci permettono di riascoltare i suoi cavalli di battaglia: “ I te vurrìavasà”, “Voglio siscà” e “Donna Fifì”.

12-Ferdinando Russo

13-Ersilia Sampieri

14-il Cafè-chantant in un disegno di F.Galante

15-manifesto collezione Mele


giovedì 9 maggio 2013

Lettera aperta al ministro Cancellieri



Illustre Signor Ministro della Giustizia,

mi permetto di darLe qualche consiglio per migliorare la situazione nelle carceri e, soprattutto, per non cadere negli errori del Suo predecessore che, nonostante le pur lodevoli intenzioni, non ha risolto il drammatico problema del sovraffollamento e dell’invivibilità.
Per primo,proceda ad una modifica sostanziale del regolamento penitenziario che, attualmente, rappresenta il crepuscolo del diritto e della dignità umana.
Consenta ai tanti detenuti anziani e affetti da gravi patologie di poter scontare la pena ai domiciliari, faccia che i drogati, prima che puniti, vadano curati in apposite strutture, faciliti il lavoro esterno, aumenti il numero delle telefonate con i familiari, abbia il coraggio di introdurre skype, che non è un pericolo, bensì il modo, a costo zero, con cui decine di migliaia di detenuti stranieri, che non hanno alcun contatto da anni con i propri cari, possano veder crescere i figli, che vivono a migliaia di chilometri di distanza. 
Conosco un solo rimedio, infallibile, per curare mali dell’animaquali solitudine, malinconia, sofferenza, nostalgia che dilagano tra i detenuti e spesso sono alla base dell’epidemia di suicidi: rimanere in contatto costante con i propri affetti, che patiscono, senza colpa, le nostre pene.
Faccia che l’Europa non ci consideri il fanalino di coda della civiltà.
Se poi il Parlamento troverà un accordo, ben venga un provvedimento di clemenza, l’unico veramente in grado di sfollare i penitenziari che rischiano di scoppiare.
Con la speranza di un Suo autorevole intervento, invio distinti saluti. 

Roma, 8 maggio 2013Achille della Ragione
Carcere di Rebibbia

mercoledì 8 maggio 2013

MOSTRA DI ARTEMISIA GENTILESCHI A PISA


In esame il periodo napoletano



“Artemisia, la musa Clio e gli anni napoletani” è il titolo della mostra, curata da Roberto Contini e Francesco Solinas, che si potrà ammirare a Pisa, Palazzo Blu, fino al 30 giugno.
I napoletani dovranno recarsi al nord per vedere un’esposizione dedicata ad una pittrice (Fig.01), che, salvo brevi intervalli, trascorse oltre trenta anni, dal 1627 fino alla morte, all’ombra del Vesuvio, il periodo della maturità, fatto di scambi reciproci con i tanti colleghi che lavoravano in città.
Il capolavoro in mostra, normalmente nelle raccolte di Palazzo Blu, è la spettacolare Clio (Fig.02), firmata e datata 1632, appartenente alla sua prima fase di soggiorno a Napoli.
Tutti conoscono il suo drammatico esordio nel processo intentato da suo padre contro Agostino Tassi, accusato di averla stuprata.
Pochi sanno che, iscurendo la tavolozza, Artemisia espresse il meglio di sé proprio nella capitale vicereale (Fig.03) e gli undici quadri esposti ce ne forniscono una visuale alquanto parziale. Solo due rappresentano delle novità, mentre altri tre sono poco noti in Italia.





I curatori del catalogo ci forniscono un’immagine nella quale la Gentileschi rappresenta il fulcro attorno al quale si sono adeguati i suoi colleghi, come se il suo pennello, prestigioso come un richiamo, avesse determinato il corso dell’intera Koiné napoletana. Un’asserzione che non ci trova concordi, alla luce degli ultimi studi, che ci hanno permesso di accrescere le nostre conoscenze sulla sua figura di artista e di donna. Ella fu molto amata dai pittori napoletani, ma gli scambi avvennero su un piano di perfetta parità (Fig.04-05-06).
Fino a poco fa la sua prima opera era considerata L’Annunciazione(Fig.07), conservata a Capodimonte, firmata e datata 1630. I suoi più importanti lavori sono: Le cinque tele con storie di Giovanni Battista, realizzate tra il 1633 ed il 1634, per il Cason Del Buen Retiro a Madrid, commissione alla quale collaborano Stanzione e Finoglia ed i grossi dipinti per il coro della cattedrale di Pozzuoli, dove Artemisia lavora assieme a Stanzione, Lanfranco, Beltrano, Finoglia ed i fratelli Fracanzano. Tale opera costituisce una vera antologia delle tendenze artistiche a Napoli nel quarto decennio del Seicento. A lei spettano: I Santi Procolo e Nicea, San Gennaro nell’anfiteatro e L’Adorazione dei Magi.
Ritornando alla mostra ci sono due chicche che da sole meritano la visita: Un Sinite Parvulos, a lungo nei depositi del Metropolitan ed oggi presso La Congregazione della chiesa romana di San Carlo al Corso, donata da un anonimo collezionista, da collocare ai primissimi anni napoletani, intorno al 1627. L’altra importante novità, che si aggiunge prepotentemente al catalogo dell’artista è un David con la testa di Golia (Fig.08), oggi in una raccolta privata e descritta nello studio della pittrice nel 1631 da Joachim von Sandrat. Raffigura un giovane sfrontato che fissa con arroganza lo spettatore, mentre con una gamba accavallata, poggia il braccio destro sulla testa tagliata al gigante Golia, dopo averlo tramortito con un sasso fiondato al centro della fronte.
Un mix prodigioso di naturalismo caravaggesco e di potenza cromatica di matrice prettamente partenopea.
Una esposizione che farà da stimolo per gli studiosi ad approfondire non solo Artemisia, ma anche quel crogiuolo di artisti che fecero del Seicento il secolo d’oro della pittura napoletana.






P.S.
BLU | Palazzo d’Arte e Cultura
tel. 050.220.46.50
mail: info@palazzoblu.it