mercoledì 25 settembre 2013

Porta Capuana e dintorni.



Napoli: Porta Capuana


La più famosa delle porte napoletane è certamente Porta Capuana, che prende il nome dalla via che conduceva a Capua. Ancora in perfetto stato di conservazione, a differenza dell’affresco di Mattia Preti, commissionato come gli altri nel 1656 a mo’ di gigantesco ex voto per la fine della peste, il quale, complici non curanza e gas di scarico, è oramai illeggibile. 
Nel ventre di Porta Capuana si cela il mistero dell’antico fiume Sebeto e quanta storia vi è da recuperare tra il Tribunale della Vicaria e Piazza De Nicola. Lì dove scorre l’acqua, dove i Greci scavarono la Bolla, dove il Carmignano inserì i canali del nuovo acquedotto seicentesco, lì, cioè accanto a Porta Capuana, forse scorre ancora, sepolto dalla città moderna, antico fiume Sebeto. Oggi in un’antica struttura di archeologia industriale sorge la sede di “Lanificio 25”, una benemerita associazione, fondata dal chirurgo Franco Rendano e dalla sua nuova compagna, la pittrice Mary Cinque, la quale si propone un recupero dal degrado di luoghi sacri per la storia della città. In un cortile adiacente gli spazi dove da anni si fanno spettacoli ed incontri culturali si accede ad un antro e poi, scendendo scale e gradini, si arriva ad un ipogeo dove il terreno sotto i piedi è sempre umido.
Ci sono giorni, non collegati alle maree o alle fasi lunari, in cui l’acqua sale di livello, e anche molto. Un odore umido e una sensazione lagunare, un po’ come se fossimo nelle fondamenta di Venezia, si intrufola sotto le suole delle scarpe. Nel terreno morbido e intriso si affonda. È questo il Sebeto? L’antico fiume cantato dai poeti romani e dai letterati umanisti? O è uno dei mille canali non censiti dell’acquedotto greco a portare l’acqua sotto il lanificio? La cultura, come l’acqua, scorre a Napoli invisibile: sotto tutta quest’area ancora da recuperare, che include Porta Capuana, la bellissima e assai malridotta chiesa di Santa Caterina a Formiello, il tribunale della Vicaria, e piazza Enrico De Nicola – questa sola, sì, recuperata e ammodernata . c’è un invaso antico, scavi da approfondire, aree da rimettere in sesto e adibire a un rinnovato uso comune.

fontana del formiello
fontana del formiello


La grande bellezza trascurata di via San Giovanni a Carbonara, con la chiesa omonima, fra le più importanti e straripanti tesori della città, la chiesa di Santa Caterina già nominata, l’edicola di San Gennaro disegnata dall’architetto Ferdinando Sanfelice e la fontana detta del Formiello dovrebbe costituire un obiettivo di grande interesse turistico e culturale. Intanto, veniamo alla lapide che testimonia la presenza dell’acqua pubblica, ovvero la bellissima, semplice, elegante, fontana del Formiello: «Philippo regnante siste viator acquas fontis venerare Philippo Sebethus regiquas rigat amne parens hic chorus Aonidum Parnassi haec fluminis unda has tibi Melpomene fonte ministrt acquas Parthenope regis tanti crateris ad oras gesta canit regem fluminis aura refert. MDLXXXIII» Ovvero«Regna Filippo. Fermati o viandante a venerare Re Filippo, presso le acque di questa fonte, che il padre Sebeto alimenta con la sua corrente. Quegli è il coro delle Aonidi, questa è l’acqua del fiume Parnasso. Melpomene stessa ti elargisce da un fonte le sue linfe, Partenope celebra presso le sponde della vasca le imprese di sì grande sovrano ed il mormorio delle onde loda il nostro re. Anno di grazia 1583». Questa elegantissima fontana che porta, come la piazza e la chiesa, la dicitura del Formiello, ovvero «ad formis», ai canali, è ben più antica della lapide che oggi ricordiamo: ve n’è traccia nei documenti trecenteschi – e forse c’era già assai prima – ma prende ufficialmente il suo nome nel 1458, quando re Ferrante d’Aragona decide l’ampliamento delle mura della città.
Un banale abbeveratoio per cavalli dapprincipio: inoltre, il punto di uscita dell’acqua, incanalata dall’acquedotto, non era l’attuale, questa lapide testimonia dunque lo spostamento della fontana stessa dieci anni prima, nel 1573, quando viene commissionata la sua belle veste marmorea (travertino e marmo di Carrara) a tali Maestro Joseppe e Michel De Guido, incaricati dal Tribunale delle Acque. Le parole di pietra incise sulla lapide furono volute dal vicerè d’Ossuna, ovvero Pedro Tellez de Giròn, a seguito di un restauro per il terremoto del 1582. Quando, un secolo dopo circa, si volle inserire in questa bella fontana una statua del re Filippo IV di Spagna, ai Napoletani l’idea non piacque, come già non piaceva il viceregno – continue rivolte. dal 1501 fino a Masaniello lo testimoniano – e si dovette rinunciare. Ne resta il basamento, a corredo degli stemmi reali, delle quattro stagioni e delle teste leonine che ornano il monumento. Per questo la bella fontana appare alta e nuda, decorata ma priva di un protagonista, così che solo l’acqua, oggi ingabbiata, sia pienamente padrona del campo. Ma il mormorio delle onde dovrebbe rievocare agli abitanti del quartiere e della città tutta che qui molta storia è passata, non solo le feroci giostre che disgustavano Petrarca in visita a San Giovanni a Carbonara, ma anche gli allievi di Giotto e Giotto stesso, i grandi pittori del Seicento, che in massa decorarono Santa Caterina a Formiello, i martiri d’Otranto, i famosi quattrocento (ma i resti dei martiri sono di duecentoquaranta corpi) aggrediti dai saraceni che il re di Napoli arrivò tardi a soccorrere, ogni anno rievocati nella favolosa Cattedrale di Otranto, e che sono qui sepolti, a compenso di una grave mancanza. E ancora le storie delle due sante, Caterina d’Alessandria e Caterina da Siena, che intrecciano i loro nomi e la devozione nella chiesa che fu affidata prima ai padri Celestini e poi ad altri ordini. La Caterina d’oriente e quella d’occidente, arrivata seconda ma integrata, conservano la devozione secolare che avvolge la grande  insula sacra prossima agli abbeveratoi, alle acque, alle porte della città, insomma a tutte le soglie, da sempre luogo mistico e iniziatico. Ci sarebbero, quindi, fin troppe ragioni per dare nuova forma a quest’intera area urbana: i palazzi, gli scorci di tempi diversi e strati che dal “Lanificio 25” si osservano, recentissimi ed obbrobriosi o modernisti, frutto di archeologia industriale o antichi e antichissimi, elementi di archeologia vera e propria . Come è sempre in quasi tutta Napoli, i tempi coesistono e le pietre, come le persone, ne sono viva e non immobile testimonianza: il difficile – anzi pare bisogna dire: impossibile – è averne cura con coscienza e consapevolezza.

Castel Capuano antica fortezza di Napoli, risale al 1160


A breve distanza da porta Capuana sorge Castel Capuano, il più antico maniero napoletano voluto da Gugliemo I, figlio di Ruggero il Normanno e completato nel 1154. All’inizio fu una reggia fortificata, pio con l’avvento degli Svevi, Federico II incaricò Giovanni Pisano di trasformarlo in una sfarzosa dimora. Durante il periodo angioino, i reali alloggiavano nel Maschio Angioino, mentre a Castel Capuano venivano ospitati personaggi illustri come Francesco Petrarca o si svolgevano lussuosi ricevimenti, come in occasione del matrimonio di Carli Durazzo.
Ripetutamente ristrutturato, Pedro di Toledo lo destinò ad accogliere tutte le corti di giustizia sparse per la città, funzione che ha conservato fino a pochi anni fa, mentre i sotterranei furono destinati a carcere. Fino alla costruzione al centro direzionale del discutibile grattacielo, opera di un celebre architetto giapponese, che ospita il nuovo palazzo di giustizia, Castel Capuano era visitato quotidianamente da un fiume di visitatori, che assistevano alla celebrazione dei processi, perché a Napoli da sempre la Giustizia è spettacolo, in ogni caso, quasi costantemente non è una cosa seria!!
Gli avvocati distinti in “Paglietta” e “Principi del Foro” hanno costantemente prediletto il gusto di un’oratoria forbita e di un’arringa dai toni drammatici. Generazioni di celebri avvocati si sono alternate nell’agone del Tribunale, da Bartolomeo di Capua ad Andrea D’Isernia, per arrivare a Porzio, Pessina, Leone, De Marsico e ultimi epigoni di una lunga nobiltà forense, Enzi Siniscalchi ed Ivan Montone.
Al primo piano vi era la corte d’appello e ad ancora oggi la spettacolare quanto negletta Camera della Sommaria con sei splendidi dipinti di Pedro De Ruviales, studiati e pubblicati da Ferdinando Bologna.
La memoria di tanta illustre attività forense è racchiusa nel salone dei busti, uno degli spazi più prestigiosi e mirabili di Castel Capuano, luogo familiare per magistrati ed avvocati, il quale ricorda i più eminenti giuristi della insuperata scuola napoletana e rappresenta un vero e proprio museo della scultura partenopea della seconda metà dell’ottocento e del primo novecento con opere di artisti famosi come Francesco Jerace e Filippo Cifariello. Un vero e gioiello che, unito ai molteplici aspetti artistici ed architettonici, deve essere quanto prima restituito alla pubblica fruizione, a rinsaldare il legame tra un monumento straordinario e la città.
Gli uffici al terzo piano di Castel Capuano sono abbandonati da anni. Sul pavimento ci sono polvere, cicche di sigarette, i resti dell’arredo delle cancellerie della sezione fallimentare del Tribunale che lì aveva sede prima del trasferimento al nuovo Palazzo di Giustizia. Sui soffitti ci sono crepe evidenti. A terra, nei corridoi, i faldoni ammassati, che si sta provvedendo gradualmente a de localizzare.
Circa millecinquecento metri quadrati da strappare al’incuria e destinare a nuova vita, ospitando gli uffici del comando provinciale del Corpo Forestale dello Stato. Un progetto importate non soltanto sul fronte dell’impegno economico (i lavori costeranno circa due milioni di euro), ma soprattutto sul fronte della legalità. La presenza del Corpo Forestale nella storica sede di Castel Capuano mira a potenziare la tutela della sicurezza dell’edificio e a lanciare un messaggio alla città, creando un binomio arte e ambiente nel rispetto della legalità. Si inserisce nel più ampio progetto di recupero affinché si apra su Castel Capuano un nuovo capitolo di storia. Nei locali restaurati troverà spazio anche l’esposizione sui “corpi di reato”, è la cultura che esce dall’oblio, la storia che si riappropria dei propri spazi. Così rinasce Castel Capuano. «Abbiamo progetti ambiziosi – spiega il presidente della corte d’appello Antonio Bonajuto – pensiamo di realizzare un museo delle regole per ripercorrere la storia delle leggi, a partire dal codice di Hammurabi, creando un percorso della legalità fino ai giorni nostri. Sarà l’unico museo al mondo di questo tipo.». Con il direttore dell’ufficio speciale del ministero della Giustizia e presidente della Fondazione Castel Capuano, Floretta Rolleri, Bonajuto è tra le anime di questa rinascita. «L’assegnazione dei locali alla Fondazione è stata già fatta – aggionge Rolleri _ Sono i locali al piano terra adiacenti a quelli dove oggi c’è la mostra sulla storia del castello e i progetti di restauro. C’è anche l’idea di affiancare un museo dei corpi di reato. Abbiamo qui gli archivi con quadri, tra l’altro bellissimi, di falsi d’autore, antiche pistole. Sarebbe un modo per approcciare da un diverso punto di vista alla legalità. Non dimentichiamo che questo castello è stato anche una prigione, ci sono stati i vecchi patrioti. È simbolico anche per questo».

salone dei busti di Castel Capuano


E con un museo il castello sarà aperto ai cittadini, alle scolaresche, ai turisti. Restituito alla città come patrimonio non solo della cultura della giustizia napoletana ma monumento di storia e di arte.
Le scale che dal promo piano, dove c’è il Salone dei Busti, conducono al “Bagno della Regina Giovanna”, murate nell’ottocento, saranno ripristinate. Sarà restaurato lo scalone, il saloncino, e antichi locali dai soffitti affrescati. «Tutto rientra in un progetto che fa parte del grande programma Unesco per il recupero del centro antico – spiega Amalia Scielzo della Soprintendenza per i beni architettonici di Napoli – Con gli interventi previsti, tra l’apertura della porta bassa e l’accesso dal cortile alto al centro antico verso via Tribunali, sarà possibile riscoprire collegamenti che esistevano attraverso una torre che ha un’ antica scala».
E se arrivano i fondi del Pon energia, si investirà anche nell’ottica del risparmio energetico, come già previsto per il nuovo Palazzo di Giustizia: investimento da 40 milioni di euro, speriamo che una volta tanto i buoni propositi non rimangano fantasia e si trasformino in piacevole realtà.

Camera della sommaria





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