venerdì 14 marzo 2014

Lasagne, vino e chiacchiere




Il Carnevale di Napoli; è soprattutto una lunga pernacchia alla fame. Nella città dello straordinario quotidiano, dove l’ordine nasce dall’equilibrio ritrovato giorno per giorno e non da regole borghesi a cui inchinarsi, l’unica vera evasione era l’abbondanza di un giorno a contraltare alla perenne ricerca di cibo. 
Una condizione materiale che è ricordo del passato, ma non per tutti, di cui sono evidenti le tracce proprio in questa giornata: stranamente il Carnevale in città non sembra avere una tradizione da raccontare forte come il Natale e la stessa Pasqua. La festa, ripetiamo, è a tavola dove la lasagna opulenta, scostumata, esagerata riesce ad accogliere tutti i sogni dell'immaginario della fame, dalla carne delle polpettine al formaggio, alle uova e al salame. Ecco dunque che mai come in questo caso la vera festa è celebrata da un piatto che viene ripetuto infinite volte da tempi non meglio precisati e che sicuramente ha una sua origine nella scuola dei monzù di inizio Ottocento.
A furia di tornare indietro, scopriamo che persino Cicerone ne andava ghiotto e che Cecco Angiolieri verseggiava contro chi "dell'altrui farina fa lasagne". Ma fermiamoci a un secolo e mezzo fa e ricordiamo con affetto gastronomico addirittura un re, Francesco II detto Re Lasagna, proprio a causa della smisurata passione per questo piatto che per il napoletano e emblema stesso del Carnevale. 
Cibo regale, la lasagna, quasi certamente frutto del genio dei monzù di origine francese a servizio della corte borbonica, sempre amanti di una cucina sontuosa e ricca di ingredienti. Ma anche piatto trasgressivo, memoria della Cuccagna, rito apotropaico che esorcizza una fame secolare. Nella lasagna, dice qualcuno, più ci metti e più ci trovi. Però ciascuno ha la sua, ciascuno a Napoli ne dà una diversa interpretazione, premesso che - almeno due volte, il primo e l'ultimo giorno di Carnevale - nelle case era tradizione e in parte lo è ancora preparare la “lasagna napoletana”, infiltrata speciale dalle antiche tavole bolognesi ma trasformata al punto da rendersi quasi irriconoscibile., agli occhi di quelli del Nord.
Esiste una lasagna doc? Jeanne Carola Francesconi, maestra di cucina, un classico che si ama e non si contesta, propende per un ragù né troppo chiaro né troppo scuro, per una ricotta abbondante ma senza esagerare e -fuor di discussione- per la indispensabile presenza delle cervellatine. Salsicce più grandi no? E i dubbi sono ancora tanti: mozzarella o fiordilatte? Sfoglia all'uovo o sfoglia di semola? Uova sode sì o no? E il salame? Le varianti possibili possono confondere i meno esperti, meglio chiedere lumi a una regina della lasagna di tradizione, Gena Iodice del ristorante La Marchesella, erede di una famiglia che in tre generazioni ha fatto la storia della ristorazione a Giugliano. Per la lasagna di Gena nel periodo di Carnevale i clienti fanno la fila, una ragione ci sarà. 
«Prima di tutto la pasta la faccio a mano. Farina, uova, sale secondo la dose canonica: ogni 100 grammi un uovo e un pizzico di sale». 
E già siamo fuori dai ricettari antichi che prevedono solo acqua e semola o la sfoglia festonata di Gragnano, quella che usa lo chef di stretta tradizione Antonio Tubelli. Ma procediamo. 
«Il mio ragù è classico, tirato per sette/otto ore, e misto: braciola di manzo e braciola di cotica, tracchie, salsiccia, spezzatino di vitello. Le polpettine sono miste e le friggo a parte».
la ricotta? «Rigorosamente di bufala. Non uso il fiordilatte ma la provola. Mozzarella assolutamente no, troppa acqua». Le uova? «A Giugliano e in generale nell'hinterland le uova sono legate unicamente alla tavola di Pasqua, perciò non hanno nulla a che fare con i riti del Carnevale. Perciò uova no e neanche il salame». 
Strato dopo strato, la lasagna di Gena s’innalza nella teglia. Farcita a dovere viene messa in forno a cottura lenta, non aggressiva, prima a 150 gradi poi a 180 per quasi un’ora, il tempo di diventare croccante in superficie, di formare una crosta «arruscatella». Molti gli affezionati che la definiscono quasi perfetta, una delle migliori che si possono gustare in Campania. 
A chi ama le novità, Gena Iodice regala anche lasagne di Carnevale alternative: con zucca, salsiccia, provola e funghi porcini; con carciofi, baccalà e provola; con gamberi, asparagi e provola. I più tradizionalisti storceranno il naso, ma anche queste varianti sono molto richieste. 
Del resto, non dimentichiamo che le lasagne di Carnevale di Ippolito Cavalcanti duca di Buonvicino, anno Domini 1839 per la sua Cucina teorico-pratica, sono diverse. E tra queste ce n’è una, gustosissima, senza ricotta. E un’altra con béchamel, uova sode, fegatini di pollo, funghi, piselli e tartufi. Più ci metti e più ci trovi. 
Per dirla con Facebook la lasagna sta a Carnevale in una relazione complicata. E si, mica è tanto facile stabilire quale sia la versione più tradizionale che più tradizionale non sì può. Ci sarà sempre un purista che giurerà sul possesso della ricetta più autentica e più antica: quella con la pasta di semola o quella con la sfoglia; quella quella con il ragù e le polpettine; quella con il salame e le cervelatine; quella del Corrado o quella del Duca di Buonvicino. 
E allora abbiamo pensato di redigere una piccola guida per trovare in città, e nel resto della regione, la tavola imbandita, tra giovedì e martedì grasso, con la lasagna, se non proprio la più tradizionale, almeno la più buona. Cominciamo con lo storico ristorante Umberto, in via Alabardieri, cuore pulsante della città. Qui la famiglia Di Porzio da sempre sceglie ‘o Ragù, la provola, la ricotta, le polpettine di maiale fritte e la salsiccia per farcire la riccia trafilata in Bronzo. 
Pure Francesco Parrella alla Teverna do’ Re che sta di fianco al Teatro Mercadante, preferisce la riccia e la farcisce sia con salame che con salsiccia. Le polpette, poi, sono quelle con pinoli e uva passa, come piacevano, egli dice,proprio a Re Ferdinando. A via Nicotera la signora Antonietta nella sua La Mattonella sono già due settimane che propone la classica lasagna dove sono racchiusi i profumi e i sapori della cucina dei Munzù, i cuochi al servizio delle famiglie napoletane più ricche. Lungo la Riviera di Chiaia a Napoli. Mia Antonella Rossi opta per la sfoglia all' uovo tirata a mano che raccoglie gli stessi ingredienti. Niente besciamella, ma ricotta di bufala e un pizzico di pepe profumato e stimolante. 
Anche all'Osteria La Chitarra sulle Rampe di San Giovanni Maggiore, dove qualche volta, mentre si mangia, si suona e si canta ancora come ai bei tempi, tutto è racchiuso nella sfoglia, ma il cuoco patron Peppe Maiorano dice che la differenza sta nel ragù lasciato pippiare da Annarita fin quasi all'infinito. Alla Taverna Santa Chiara che sta all’ombra del campanile dell'omonima basilica, si celebra il lasagna-day. Due giorni pieni, interamente dedicati a questo piatto. Insomma ci saranno il trionfo della tradizione e, per dolce, l'elogio del migliaccio. Da non perdere. Fuori porta basta spostarsi a Giugliano dove Gena Iodice e il marito Tommaso a La Marchesella garantiscono una delle più golose farciture; c'è ogni ben di dio “senza sparagno”, come si dice da queste parti, mentre le complici trachiulelle arricchiscono la salsa. A Palma Campania si può andare da Alberolungo, simpatica trattoria moderna. La lasagna è quella gragnanese di semola riccia. Uova sode e polpettine in abbondanza, ma soprattutto cottura nel forno a legna, cosicché, sostiene Camillo Di Palma, gli aromi e i sentori fumè sono più che garantiti.
Montesarchio poco  lontano dalle Forche Caudine e qui Daniele Roviezzo nel suo bel ristorantino Rovi propone la vera ricetta di mammà. la sfoglia è fatta soltanto di semola e acqua. E dalla lagana fresca su laganaturo si ricavano le lasagne. Si fa così nel Sannio; le trafile stanno nelle mani delle donne ed il risultato, in quanto a morbidezza, è più che scontato. 
A Valva, dalle parti di Contursi Terme, nell'Osteria Arbustico si potrà fare, infine, un tuffo nella cucina d'autore, fra le specialità del territorio: tutti ingredienti da filiera corta, a cominciare dalle carni di vitella e di maiale, dai salumi e dai latticini usati per farcire la sfoglia tirata con acqua, semola, uova intere, Un’insolita sosta in stile tradizionale che mette in stand-by la ricerca e la creatività di Cristiar Torsiello. Sarà, perciò, una belle sorpresa, ma è Carnevale e come dicevano i Latini: semel in anno licet, almeno una volta all’anno è consentito. Febbraio è il mese per provare con gusto i primi sorsi dell'ultima vendemmia. Sopravvive ancora il rito dell'uccisione del maiale, dall'isola di Ischia all'Irpinia, dal Cilento al Sannio. E poi c'è la lasagna di Carnevale napoletana, un piatto grasso, ricchissimo, succulento, che negli ultimi anni è diventato ancora più ricco grazie alla possibilità di trovare facilmente gli ingredienti necessari. Non ci sono dubbi che i piatti italiani di tradizione preferiscono i vini di territorio. Certo, si possono anche provare altre strade, ma si tratta di ipotesi cerebrali spesso caricaturale, come proporre il nebbiolo della Valtellina sulla lasagna napoletana. 
Meglio affidarsi invece alla sapienza degli antichi, confortata dalla tecnica dei sommelier, per dirigersi verso prodotti del territorio. A Napoli c'è solo l'imbarazzo della scelta perché tutte le doc offrono una comodo e facile possibilità di abbinamento. Certamente il Gragnano è in pole position grazie all’azione sgrassante del frizzantino che lo rende molto utile anche sulla pizza. Ormai ce ne sono di buonissimi, da lovine a Pimonte a Grotta del Sole a Quarto, e ancora Sannino sul Vesuvio, giusto per citare i più famosi. È anche l'occasione per provare il primo sorso del millesimo 2013. 
Per questo piatto servono vini molto freschi, di corpo, tannici. Molto bene anche il Piedirosso, quello che entra della doc Lacryma Christi (Villa Dora, Cantina del Vesuvio, Sorrentino, Cantine Olivella, ma anche Feudi, Mastroberardino e Michele Romano) appare più indicato per la sua essenzialità e soprattutto per la nota amarognola finale assolutamente necessaria per liberare la bocca dal boccone. Più delicato quello dei Campi Flegrei (ancora Grotta del Sole, Agnanum, Contrada Salandra, Cantine Astroni, lovino), magari da spendere su una lasagna dal sugo non troppo elaborato come vuole la tradizione dura e pura. 
E nelle altre province? Qui prevale l’Aglianico sicuramente, ma è bene sceglierlo giovane, quando è ancora squilibrato proprio per fargli trovare la giusta compensazione nel piatto. La scelta è davvero sterminata, sfogliando la guida Slow Wine indichiamo al volo i base di Mastroberardino, Montesole, Donnachiara, D'Antiche Terre, Villa Raiano facilmente reperibili ovunque.
Buono anche, per chi ama i gusti più decisi, Buccenere di Giacomo Pastore, il Gioviano della cantina il Cancelliere, Zì Feli. cella di Ciro Picariello e 'o Calice rosso di Molettieri. 
Nel Sannio puntare sul base della Guardiense, oppure sui rossi di Aia dei Colombi, Fontanavecchia, Torre dei Chiusi, Venditti, Ciabrelli, Cautiero, Fattoria La Rivolta. Infine nel Casertano il Castello delle Femmine di Terre del Principe e il Riccio Rosso di Alepa mentre nel Salernitano l’Aglianico di Rotolo e Bacioilcielo di De Conciliis rispondono alla grande. Come anche la Tintilia a Tramonti: 
Reale, Apicella, San Francesco, Monte di Grazia. Oppure i rossi di Raffaele Palma e Marisa Cuomo. E Ischia? Le fiches tornano al Piedirosso con Pietratorcia e D'Ambra. 
Insomma: provincia che vai, abbinamento che trovi. E per chi è fuori regione puntare su Gaglioppo in Calabria, Nero di Troia e Negroamaro in Puglia e, ovviamente, su Aglianico del Vulture in Basilicata o Tintilia nel Molise. 
Certo non vorremmo che le regole entrassero anche nel piacere della tavola. Però sapere come abbinare il vino al cibo ci aiuta di sicuro a far godere fino in fondo il nostro gusto. È tempo di lasagna di Carnevale e a Napoli ci piace accompagnarla con un buon bicchiere di Gragnano bevuto fresco, intorno ai 14 gadi. quasi come un bianco. È poi un rosso che in famiglia piace a tutti per il suo corpo agile e per quella semplicità di linguaggio che lo rende facilmente comprensibile. Si fa quindi bere e ribere con leggerezza, favorendo la giusta convivialità che deve animare la tavola di chi ha scelto di mangiare la lasagna. Un po' per rispettare la tradizione del periodo di Carnevale, un po' perché non vuole perdere un'occasione così golosa. Il Gragnano, poi, è il primo vino della nuova andata, il nostro novello di cui si stava perdendo traccia e che per fortuna adesso è recuperato con grande perizia dalle cantine napoletane. 
La lasagna napoletana può essere sicuramente incoronata come regina del Carnevale in Campania. Piatto molto ricco che precedeva i quaranta giorni di magra della Quaresima. 
Tanta opulenza, dovuta all'utilizzo di ragù di carne, formaggio e uova sode, il tutto vestito di sfoglie di pasta, ben si sposa ad una birra artigianale ben strutturata, ma che abbia armi affilate per poter sgrassare il palato. Nel nostro abbinamento ci indirizzeremo quindi verso un'ambrata o un'ambrata scura che utilizzi, quindi, malti caramello, giustamente tostati - un'eccessiva tostatura potrebbe infatti fare a pugni con ingredienti come il pomodoro - che le conferiranno sensazioni e struttura tali da reggere la ricchezza delle carni e del ragù. Ma non basta. La nostra birra, dicevamo, dovrà avere anche la capacità di "ripulire" il palato, magari con una nota agrumata o con una piacevole sensazione vegetale di luppolo. Ancora, non dovrà assolutamente essere stucchevole. Quindi meglio prediligere un prodotto dall'amaro secco e deciso e con una buona carbonatazione, dal momento che le bollicine aiutano la beverinità. Per quanto riguarda l’alcol, sarebbe preferibile non eccedere, mantenendosi tra i 6 ei 7 gradi. 
In Campania i birrifici, sempre attenti alle risorse e alle tradizioni del territorio, prestano molta attenzione agli abbinamenti delle loro birre soprattutto, ma non solo, in relazione ad una cucina locale. Nella 'gamma dei loro prodotti troviamo birre da abbinare a pietanze di pesce, di carne, a formaggi o addirittura birre da fine pasto. 
E per finire piccoli consigli taglia calorie per una scorpacciata light. Tentazioni culinarie in arrivo. Carnevale culla del grasso: come restare in forma senza perdere il piacere del gusto? Sembra davvero impossibile resistere a un buon piatto di lasagne fumanti, a una manciata di chiacchiere fragranti inzuppate nel cioccolato, alle frittelle o castagnole ricche di crema e zucchero a velo, a una fetta di dolce migliaccio. Golosità ricche di calorie che a volte poi lasciano sensi di colpa e desideri sfrenati di digiuno. Per evitare tutto ciò senza però rinunciare o piangere sul latte versato, basta mettere in atto i consigli degli esperti e perché no lasciarsi andare in golosità e tentazioni mangiando tutto, salvando gusto e piacere del palato. Si proprio così mangiare non è peccato: l’importante è fare piccoli assaggi,dosi ridotte e alzarsi da tavola con un pizzico di appetito ancora. Come travestire in maschera le pietanze con piccoli accorgimenti, illudendosi di mangiare le stesse cose ma con molti meno grassi? Ecco alcuni suggerimenti. Per iniziare: prima del pasto assumente una bella e ricca insalata poi la lasagna alla napoletana con ragù, ricotta, polpettine fritte e uova sode può essere rivisitata con sugo non soffritto senza carne grassa, ricotta magra, polpette stufate nella salsa. Un’altra ricetta leggera è la lasagna verde, versione vegetariana ai carciofi o con le verdure a seconda nel gusto, che sia zucca, asparagi, funghi, zucchine. La procedura è semplice: stufare le verdure senza soffriggere, fare una besciamella semplice con latte scremato, sostituire olio al burro e mescolare con ricotta magra. 
Dal salato si passa al dolce con alchimie di aromi e sapori. li migliaccio, tipica torta napoletana per il martedì grasso fatto con semolino, latte, ricotta, uova, zucchero, burro, può essere rivisitato utilizzando latte scremato e ricotta magra. Anche per i dolci di carnevale esiste un modo per ridurre notevolmente quasi della metà l'apporto calorico, semplicemente sostituendo la frittura con la cottura al forno. Iniziamo dalle chiacchiere: c'è una versione senza uova e senza burro con solo poco olio, farina, zucchero, lievito, scorza di arancia e limone, volendo anche un po' di marsala, cotte rigorosamente al forno, con la metà delle calorie rispetto alle chiacchiere fritte nella sugna ricche di uova e burro. Ovviamente non si può perdere la tradizione delle chiacchiere inzuppate nel sanguinaccio, ma in una versione riduci calorie: basta farlo a casa utilizzando cioccolato fondente, che fa bruciare i grassi e fa bene all'umore. Inoltre. secondo studi condotti la cioccolata fondente è ricca di flavonoidi che aiutano a mantenere l'elasticità dei vasi sanguigni, contribuendo al normale flusso di sangue. 

lasagna

vino, il pulcinella beone 

chiacchiere, i sapori del Carnevale a Napoli




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