domenica 13 aprile 2014

Detenuti attori onorano il teatro




Viaggio all’isola di Sakhalin


In occasione della giornata mondiale del teatro, un gruppo di detenuti di Rebibbia ha messo in scena, nella splendida struttura del penitenziario, per i compagni di sventura, presenti i vertici dell’istituto, uno spettacolo avvincente: Viaggio all’isola di Sakhalin, sotteso da una triste metafora sulla quale lo spettatore è indotto a meditare e molti, tra cui il sottoscritto, sono ritornati nel buio delle celle con le lacrime agli occhi.
La compagnia, composta da una trentina di reclusi, tra cui molti ergastolani, si avvale della sapiente regia di Laura Andreini Salerno e di Valentina Esposito e fra qualche mese presenterà il lavoro al Teatro Argentina per tre sere consecutive e si prevede il tutto esaurito.
Dopo un breve saluto del Direttore Mariani al pubblico ed agli ospiti, tra cui in prima fila alcuni magistrati di sorveglianza, si spengono le luci e la prima scena si apre con la lettura di un brano di Chechov riguardante l’ergastolo, scritto negli ultimi anno dell’Ottocento, nel quale il celebre scrittore, che era anche un medico, ritiene che entro qualche decennio tale pena sarà abolita e l’opinione pubblica la guarderà come un orrore del passato al pari della tortura.
Il racconto si svolge tra il freddo polare dell’isola di Sakhalin, nel cuore della Siberia, dove un gruppo di internati è costretto a vivere, privo di ogni rapporto con l’esterno, fino alla morte.
Gradualmente questi infelici non riescono più a percepire i colori, prima vedono solo un bianco abbacinante e poi diventano completamente ciechi.
Chechov, come medico, è incuriosito dallo strano fenomeno, e si reca nell’isola per studiarlo e trovare una terapia per questi derelitti.
Il personaggio è magistralmente interpretato da “Piuma e papero” e usufruirà di un valido assistente: Giovannino, più conosciuto come “O fotografo”.
Si alternano scene dove hanno modo di mettere in mostra la loro bravura tanti detenuti, da Marco “O truffatore” ad Antonio “O napoletano”, da Giuseppe, universalmente conosciuto come “Borzacchiello”, ad Angelo e Vincenzo “L’ergastolano”, ad Emanuele “O quequero”.
Alla fine il medico scrittore scopre che non si tratta di una cecità degli occhi, ma dell’anima: lontani dagli affetti il mondo perde i colori, diventa prima grigio e poi si precipita nel buio più profondo.
Riesce ad ottenere dalla direzione che gli internati possano incontrarsi con i familiari e miracolosamente tutti riacquistano la vista.
Un miracolo dell’amore, in grado di vincere la solitudine e la sofferenza, un messaggio di solidarietà e di pace per tutti gli uomini di buona volontà.











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