lunedì 24 novembre 2014

Al Madre una mostra su Lucio Amelio

Lucio Amelio


Napoli commemora Lucio Amelio, principe indiscusso della transavanguardia, con una grande mostra al Madre, aperta fino al 9 marzo 2015.
Una occasione unica per ripercorrere quanto è avvenuto in città dal 1965 sul palcoscenico dell’arte contemporanea, avendo come protagonista un personaggio al quale tutti riconoscono il merito di aver dato a Napoli una dimensione internazionale.
Il titolo della mostra: Lucio Amelio. Dalla Modern Art Agency alla genesi di Terrae Motus, rappresenta il filo conduttore dell’esposizione, che occupa 19 sale del terzo piano, dove sono collocate le opere degli artisti da lui lanciati sullo scenario internazionale, dai napoletani: Barisani, Clemente, Longobardi, Paladino, Tatafiore ai grandi maestri quali Burri, Fontana, Warhol, Beuys, Twombly, Rauschenberg, Gilbert&George e tanti altri ospitati nella celebre galleria di Amelio, prima al Parco Margherita e poi a Palazzo Partanna.
E speriamo che ritorni attuale l’ipotesi di trovare a Napoli una sede degna per ospitare stabilmente la collezione Terrae Motus, da quasi 30 anni collocata a Caserta.
Ed ora per meglio conoscere il personaggio riproponiamo il capitolo dedicato a Lucio Amelio, sotto lo pseudonimo di L’artefice di Terrae Motus, nel nostro volume “Quei napoletani da ricordare”, I tomo, consultabile in rete.
Nel 1932 nasce a Napoli un poliedrico e vulcanico personaggio: Lucio Amelio, gallerista di successo con spazi espositivi in Piazza dei Martiri ed a Parigi; a Berlino ed a New York; cantante dalla bellissima voce ed attore per divertimento, ma principalmente uomo dinamico e trasgressivo dal carattere bizzarro e dalle solenni incazzature, che con le sue molteplici iniziative ha permesso a Napoli di diventare una delle capitali dell’arte contemporanea ove puoi incontrare più facilmente che a Milano o a New York un «grande» dell’arte moderna.
Questo ieri, oggi vi è il deserto e Lucio Amelio è ingiustamente dimenticato.
Molti napoletani hanno senz’altro incontrato più di una volta Lucio Amelio per strada, pur senza riconoscerlo. Era facile, infatti, vederlo ogni giorno percorrere a passi piccoli e veloci il tratto di strada tra piazza Vittoria e piazza dei Martiri, mentre si recava al suo quartier generale in palazzo Partanna, con il cappotto sempre abbondante, il doppiopetto sempre impeccabile, la camicia e la cravatta ricamata. Lucio Amelio è stato uno tra i maggiori galleristi internazionali di arte contemporanea, ma come tutti i napoletani rimane un gran sognatore per cui si è divertito a fare l’attore cinematografico lavorando con registi di successo, come la Wertmuller o il cantante, incidendo un 33 giri «Ma l’amore no», rivisitando vecchi brani degli anni Quaranta e Cinquanta.
Egli da ragazzo era stato indirizzato agli studi di ingegneria dal padre, costruttore di macchine industriali, ma dopo qualche anno aveva avuto il coraggio di cambiare strada scegliendo un nuovo indirizzo di studi a lui più congeniale: la facoltà di architettura. Nel 1951 lo troviamo nel direttivo della «Corda Frates» un’associazione culturale universitaria che organizza incontri con studenti stranieri tra i quali conosce il pittore berlinese Gunter Wirth. Nel 1953 prende la tessera del partito comunista e comincia a frequentare assiduamente la «Associazione culturale nuova» fondata da Gerardo Marotta.
Comincia poi il periodo dei viaggi ed a Berlino rincontra Wirth, dal quale viene introdotto negli ambienti culturali sia ad Est che ad Ovest della allora divisa città tedesca.
Abbandonati gli studi si stabilisce per un periodo di tempo a Berlino Est ove lavora in uno studio di architettura e frequenta il circolo letterario della scrittrice Anna Segers e l’ambiente che ruota intorno a Berlinere Ensemble. Alcune volte per arrotondare deve fare anche il manovale ed il giardiniere.
Nel 1959 l’improvvisa morte del padre lo spinge a ristabilirsi a Napoli ove lavora nei cantieri metallurgici di Bagnoli come interprete di tedesco. Ma la Germania lo ha ormai stregato e nel 1960 è di nuovo a Stoccarda come rappresentante di una ditta di prodotti chimici. Si rincontra col pittore Gunter With che nel frattempo ha aperto una galleria d’arte d’avanguardia. Nel 1963 organizza a Berlino una mostra di artisti napoletani e quindi l’anno successivo a Napoli un vernissage di artisti tedeschi. Nel cartoncino di invito di questa esposizione compare per la prima volta il «marchio Lucio Amelio».
Durante un’escursione sul monte Tibidabo egli è vittima di un gravissimo incidente, precipitando in una voragine. L’incidente lo costringe a letto per oltre un anno. Ristabilitosi riprende il lavoro all’Italsider, ma siamo giunti ormai vicino ad una data fatidica il 18 ottobre 1965, quando Amelio inaugurava una sua galleria di arte contemporanea con una mostra del pittore berlinese Heiner Dilly. La Modern Art Agency è uno spazio espositivo collocato due piani sotto il livello stradale al n. 85 del Parco Margherita, in un palazzo della buona borghesia, Giuseppe Berto è per i primi anni l’unico collaboratore di Amelio. Il critico d’arte Filiberto Menna stila la sua prima recensione ed effettua il primo acquisto.
Il giovane intellettuale salernitano Marcello Rumma, innamoratosi della galleria dalla prima mostra, sarà negli anni il maggior collezionista ed acquirente di opere.
La galleria che dal 1969 si trasferisce nella famosa sede di piazza dei Martiri 58, presenta nel corso degli anni le più significative tendenze dell’arte contemporanea italiana ed internazionale dal concettuale alla power art fino alla transavanguardia. È Lucio Amelio ad introdurre nei primi anni Settanta in Italia maestri del calibro di Kounellis, Twomblj e Bewys, con il quale vivrà negli anni un vero e proprio sodalizio ideale e culturale, che i maldicenti interpretarono in modo ambiguo.
Tra gli autori italiani è sempre Amelio ad imporre sul mercato e all’attenzione generale artisti come Paladino, Tatafiore e Longobardi presentati assieme in una rassegna dal titolo «Nuova creatività nel mezzogiorno» organizzata in galleria nel 1978 con la presentazione di Michele Buonomo.
Piazza dei Martiri diventa il punto di riferimento dei giganti dell’arte americana da Warhol a Rauschenberg; ma la vera fama culturale della galleria sta nel fatto che essa non si limita a presentare pedissequamente proposte già confezioniate e studiate per un pubblico straniero, bensì tende ad elaborare coerentemente a Napoli una strategia artistica in grado di valicare tutti i confini con la propria forma espressiva, senza tenere in gran conto il risultato squisitamente economico. Nel 1977 con la collaborazione di Raffaello Causa, unico incontro con le istituzioni, organizza una mostra su Carlo Alfano che si terrà a Villa Pignatelli.
Amelio organizza a Napoli l’incontro tra Warhol, l’artista che più vive nel mercato con Beuys l’artista che più vive nell’utopia e con questo connubio si getta il seme ideale che farà spiccare l’ultimo salto di qualità al lavoro della galleria.
E siamo al 23 novembre del 1980 quando un rovinoso terremoto scuote dalle viscere più profonde la Campania provocando lutti ed enormi danni economici.
Lucio Amelio ha un’idea folgorante che su questa catastrofe bisogna ricostruire una nuova idea dell’arte; sorge così Terrae Motus, una rassegna di opere di artisti contemporanei dedicata al cataclisma. All’iniziativa il cui nome è preso da un suggerimento di Giuseppe Galasso, aderiscono subito entusiasti Warhol e Beuys che fanno da traino a tutti gli altri artisti che nel corso degli anni aderiscono al progetto, regalando la propria opera ispirata al terreno alla Fondazione costituitasi nel frattempo nel 1982.
Complessivamente nel corso di dieci anni Terrae Motus si arricchisce di oltre cento opere dovute a 65 artisti appartenenti a 13 paesi. 
La collezione si avvale di opere di Warhol, Bauys, Kounellis, Longobardi, Vedova, Mapplettrorpe, Twombly e tanti altri per un valore commerciale stratosferico.
La mostra non ha mai avuto sedi stabili; le opere restano a Villa Campolieto dal 1982 al 1986, quindi una grande esposizione, sponsorizzata dal Banco di Napoli, al Gran Palais di Parigi, visitata da oltre ventimila persone. Molte città hanno offerto ad Amelio una sede stabile per esporre le sue opere, ma Terrae Motus nata a Napoli può vivere solo in questa città che è l’immagine della catastrofe più che del sole. La nostra patria è una caverna che da tremila anni è in subbuglio, fino a quando il terremoto è stato il catalizzatore di una scelta obbligata, assolutamente naturale.
Alcuni anni fa una sede prestigiosa sembrava pronta ad accogliere Santa Lucia al monte che la fondazione Amelio aveva acquistato per destinarla a sede definitiva di Terrae Motus, affiancando una serie di attività tali da creare un vero e proprio centro di produzione culturale con mostre, dibattiti, videoteche, archivi, biblioteche di settore, editoria specializzata, borse di studio, ateliers per artisti, ecc. 
La Fondazione una volta proprietaria di una sede così prestigiosa deve essere posta in condizione di poter compiere il suo ambizioso lavoro attraverso una feconda collaborazione con le istituzioni: Comune, Regione, Soprintendenze, Accademia di Belle Arti e altre organizzazioni cittadine nazionali ed internazionali.
C’è stato un momento in cui lo Stato, invece di favorire un progetto culturale così ambizioso, ha creato degli ulteriori problemi, riscoprendo un antico diritto di prelazione sull’immobile mai attivato negli anni precedenti e perciò scaduto. Dopo un faticoso tira e molla col Ministero dei Beni Culturali si è riuscito a superare anche quest’ultimo ostacolo ed il 7 gennaio 1991 cominciano i lavori di riattivazione e di restauro del vecchio convento sotto la direzione dell’architetto Pezzullo, una specialista nel restauro dei monumenti, la quale tende sempre in primo luogo al recupero del complesso nel rispetto della sua forma originale.
Purtroppo i lavori che si sperava potessero concludersi in tempi brevi, durarono un’eternità e mai come in questo caso andrebbe bene l’implorazione «Fate presto» che Warhol pose emblematicamente nella sua opera sul terremoto, riprendendola dalle pagine dei quotidiani, che chiedevano a viva voce il soccorso per le zone interessate dal sisma. Nell’ambito della realizzazione di una sede espositiva definitiva per le opere di Terrae Motus, Amelio ha pensato di affiancare anche un progetto europeo che possa rinsaldare un legame di sangue tra la cultura napoletana ed il resto del Sud. Un progetto che tenda a rivivificare tutte le capitali del bacino del Mediterraneo da Barcellona al Cairo, da Atene a Napoli. Città dove è nata la cultura che significa anche terra che bolle e cervelli caldi.
L’importante è che si riesca a creare a Napoli un istituto di cultura contemporanea che non sia in mano ai burocratici ed ai faccendieri politici, seguendo l’esempio di Gerardo Marotta che con il suo Istituto di Studi Filosofici ha creato una struttura privata da far impallidire l’università.
Per meglio conoscere il personaggio riportiamo una breve intervista che Amelio mi concesse tempo fa per un libro che stavo allestendo sui personaggi napoletani da ricordare. L’incontro con il signore dell’arte avvenne nella sua galleria di piazza dei Martiri e davanti a noi vi era un personaggio solare e tagliente che sapeva essere arcigno e conciliante. 
Signor Amelio, come lei sa Napoli riesce a mantenere il suo fascino in Italia e all’estero grazie all’attività di poche persone che si battono tra mille difficoltà, per l’avanzamento civile e morale della città. Ci indichi 15 nomi di concittadini che si sono maggiormente distinti.
«Galasso, Marotta, Villani, De Simone, Buonuomo, Paladino, Compagnone, Tatafiore, Pisani, Alfano, Longobardi, Donatone, Marra e Trisorio».
Non le nascondo signor Amelio che per me, collezionista di dipinti antichi ed amante del ’600 napoletano, scrivere su di lei e sull’arte contemporanea è molto difficile. Mi sa dire cos’è che la spinge ad essere un gallerista di arte moderna.
«La galleria è il punto di aggregazione di idee e di energie creative, che sono nell’aria e che trovano la loro espressione nelle mostre, ove possono raggiungere un pubblico a volte anche molto vasto, chiudendo così il circuito tra gallerista, artista, visitatore e collezionista.
Inoltre è il luogo dove oltre a promuovere e divulgare l’arte vengono eseguite delle ricerche estetiche esaminate in una prospettiva storica».
Dopo il successo di Terrae Motus so che Lei sta dedicando le sue energie ad un nuovo ciclo di lavoro e di ricerca che ha chiamato la Commedia dell’Arte e di cui simbolo è Pulcinella; può dirci qualcosa in merito?
«Dopo l’esperienza di Terrae Motus mi propongo oggi di indagare sulle inquietudini del nostro futuro. Oggi la gente si sente tradita dai mercati d’arte moderna perché l’arte stessa si è degradata ad oggetto di decorazione, così che un vento gelido ha coperto con un sottile strato di ghiaccio tutte le gallerie del mondo.
Così artisti contemporanei dopo aver indicato e denunciato la crisi del mondo moderno ne sono rimasti vittime.
L’arte però non può crollare assieme al mondo e perciò bisogna organizzare una sorta di resistenza estrema come quella degli eroi delle Termopili cantata da Kavafis.
Pulcinella diventa il simbolo di questa resistenza, perché è il personaggio a cui hanno tolto tutto tranne il desiderio, come una specie di Don Chisciotte, che con il suo volto malinconico indica la direzione per uscire dall’ombra.
Noi dobbiamo come gli antichi romani aspettare nel Senato che arrivino i barbari, forse non verranno mai, forse sono già arrivati con la faccia degli stessi artisti. Noi abbiamo il compito di scuotere le coscienze, di far rinascere la consapevolezza della decadenza e delle barbarie. Dobbiamo suonare il nostro tamburo di guerra. Dobbiamo accendere mille fuochi di creatività, nella città e altrove perché solo così l’arte può trasformare e migliorare tutto il mondo.
Parole che rimbalzano dal passato e sono estremamente attuali, soprattutto a Napoli dove il tempo scorre meno velocemente che altrove.
Nel frattempo la città attende ancora la raccolta Terrae Motus, parcheggiata nella provvisoria sede della Reggia di Caserta ed ha dimenticato l’opera e l’insegnamento di Lucio Amelio.

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