lunedì 12 gennaio 2015

Francesco Rosi: un altro napoletano illustre ci ha lasciati

 La Verità raccontata attraverso il cinema

Francesco Rosi

Il 2015 è cominciato male per i napoletani, ieri un altro figlio doc della città ci ha lasciato: Francesco Rosi, un regista geniale e coraggioso, in grado di sviluppare un cinema d’autore colto, ma popolare. Con lui la città da cartolina divenne un laboratorio di indagine civile.
Intendiamo ricordarlo proponendo ai lettori il capitolo a lui dedicato nel I tomo di Quei napoletani da ricordare (consultabile in rete www.achilledellaragione.it)
Francesco Rosi è uno dei più grandi registi italiani di tutti i tempi.
Nato a Napoli il 15 novembre 1922, durante la guerra abbandona l’Università, facoltà di Giurisprudenza, ed inizia a lavorare come illustratore di libri per l’infanzia. Collaborando a “Radio Napoli” ha modo di conoscere Giuseppe Patroni Griffi, Raffaele La Capria ed Aldo Giuffrè con i quali stringe un bellissimo rapporto lavorativo e di amicizia. 
Nel 1946 il regista Ettore Giannini gli dà modo di entrare nel mondo dello spettacolo scegliendolo come assistente per la messa in scena de “Il voto” di Salvatore Di Giacomo mentre nel 1948 è Luchino Visconti a volerlo come aiuto regista per “La terra trema”, di cui cura anche il doppiaggio in lingua italiana.
Nel 1952 Goffredo Alessandrini, con “Camicie rosse”, gli offre la possibilità di dirigere alcune sequenze del film ma è il 1958 a segnare il vero e proprio debutto di Francesco Rosi nella regia cinematografica con un film, “La sfida”, che, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, ottiene il “Premio speciale della Giuria” ed un grandissimo successo di pubblico e critica. I temi sociali, già affrontati nel film d’esordio, continuano con “I Magliari” del 1959 mentre nel 1961, con “Salvatore Giuliano”, inventa un nuovo genere: il film-inchiesta. Il gradimento del pubblico, nonostante l’argomento “tosto”, trattandosi di un vero fatto di cronaca dai risvolti politici accaduto non molti anni addietro, gli permette di attestarsi al 10° posto nella graduatoria dei film di maggiore incasso dell’anno di riferimento. L’impegno civile continua con “Le mani sulla città” del 1963, “Leone d’oro” alla Mostra del Cinema di Venezia, che racconta il sacco edilizio di Napoli in base ad accordi, più o meno palesi, tra i poteri forti degli anni ’50.Nel 1967, nella Certosa di Padula, ambienta alcune scene di “C’era una volta…” con Omar Sharif e Sophia Loren, un intermezzo favolistico che lo allontana per un poco dai temi sociali e politici cui ritorna nel 1972 con “Il caso Mattei”, interpretato da Gian Maria Volontè, e “Lucky Luciano” nel 1973.
Nel 1978 dirige la versione cinematografica del bellissimo romanzo di Carlo Levi “Cristo si è fermato ad Eboli”.
Un esame particolareggiato meritano la sua produzione ed i riconoscimenti che ne sono scaturiti dal 1980 ad oggi quando, a 90 anni compiuti, vorrà concedersi, ma non ne siamo certi, un meritato riposo.
Nel 1981 dirige “Tre fratelli”, nel 1984 un adattamento della “Carmen” con Placido Domingo,nel 1987 ancora un romanzo, “Cronaca di una morte annunciata”, di Gabriel Garcia Marquez, nel 1990 “Dimenticare Palermo” e, finalmente, nel 1997 “La tregua”, tratto da un romanzo di Primo Levi, che racconta il ritorno a Torino dello scrittore e di altri ex deportati, liberati dal lager di Auschwitz. La trasposizione cinematografica di questo romanzo, vero e proprio sogno nel cassetto al quale Rosi aveva dovuto rinunciare per il tragico suicidio di Levi nel momento in cui, 1987, si sentiva pronto ad affrontare il tragico argomento, è realizzata grazie all’aiuto di Martin Scorsese, che collabora con il collega italiano nella ricerca dei finanziamenti necessari.
Il film, però, nonostante gli alti costi di produzione, non ottiene il successo sperato di critica e pubblico.
Nel 2003 è ancora la volta di Francesco Rosi regista teatrale con “Napoli milionaria” cui segue, nel 2007, ad 85 anni, l’annuncio dell’addio al cinema e la sua completa dedizione alla regia teatrale. Tra il 2005 ed il 2012 gli sono stati tributati tanti riconoscimenti ed i suoi film sono stati oggetto di molte retrospettive in Italia ed all’estero. Dopo la laurea ad honorem in “Pianificazione territoriale urbanistica ed ambientale”, conferitagli dall’Università Mediterranea di Reggio Calabria per il film “Le mani sulla città”, riceve l’”Orso d’oro” alla carriera al Festival di Berlino del 2008, la “Legion d’onore” a Parigi nel 2009 ed il “Leone alla carriera” alla Mostra del Cinema di Venezia del 2012.
Accanto alle gioie ed alle soddisfazioni per la lunga carriera di regista cinematografico e teatrale, Francesco Rosi ha dovuto, però, anche subire il grandissimo dolore per la tragica morte della moglie, Giancarla Mandelli, sorella della stilista Krizia, deceduta l’8 aprile 2010 per le gravi ustioni riportate in seguito ad un incendio divampato nell’abitazione di Roma per una sigaretta che ne ha bruciato il vestito.
Prima di concludere, come per tanti altri personaggi celebri, racconterò brevemente l’incontro, ma sarebbe più preciso parlare di scontro, con l’interessato.
La conoscenza diretta con il fratello, autorevole storico e napoletanista, relatore e frequentatore del salotto letterario di mia moglie che, per 10 anni, si riuniva ogni mercoledì nella nostra villa posillipina, non fu sufficiente ad organizzare un dibattito su un tema che mi stava particolarmente a cuore: il film “Le mani sulla città”, per molti un capolavoro, per me un clamoroso falso storico.
Dovetti approfittare di un incontro pubblico al cinema Modernissimo, in occasione di una riproposta del film, presente il regista.
Alla fine della proiezione si accese la discussione tra lodi sperticate ed io fui l’unica voce fuori dal coro.
Il protagonista, un superbo Rod Steiger, per molti raffigura Achille Lauro: viceversa, si tratta di Ottieri, uno spericolato palazzinaro autore di numerosi scempi edilizi tra i quali l’orrendo palazzone in piazza Mercato che ha deturpato per sempre uno dei luogo simbolo della città.
Ma il falso più smaccato è costituito dall’inizio del film mentre scorrono i titoli di testa e la telecamera indugia sulle mostruose palafitte che da Fuorigrotta costituiscono l’accesso alla Tangenziale del Vomero, costruite molto tempo dopo l’ambientazione del film.
Alle mie perentorie contestazioni il regista non seppe replicare ma il pubblico era tutto dalla sua parte e venni travolto da una salva di fischi.

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