mercoledì 7 gennaio 2015

Raffaele Pisani, strenuo difensore della lingua napoletana

Raffaele Pisani

Debbo premettere che Raffaele per me non è un semplice amico, ma poco meno di un fratello, il quale, senza conoscermi personalmente, mi ha confortato e tangibilmente aiutato in un momento difficile della mia vita. Non ci conosciamo, ho detto, ma è come ci conoscessimo da sempre, perché ci lega indissolubilmente l’amore per Napoli, per le sue canzoni, per le sue poesie, per le sue tradizioni.
Raffaele Pisani è senza dubbio oggi  uno degli autori più ispirati e fecondi della poesia napoletana, attento a che la cultura popolare, ben espressa nel vernacolo, non vada dispersa. Operazione che lo vede da sempre in prima linea attraverso testi fondamentale, quali Poesie napoletane per le scuole elementari e medie, di cui è uscita una nuova edizione a cura della Cuecm, una selezione accurata di testi che include i grandi classici italiani. Ogni poesia ha un suo corredo didattico, spunti di riflessione, l’invito le frasi in disegni, un esaustivo vocabolario. Una sezione è dedicata alla traduzione in vernacolo dei grandi testi della letteratura italiana, da Dante a Manzoni.
Il libro insiste sulla necessità di portare la conoscenza della lingua di Partenope tra i banchi, affinché un enorme patrimonio venga conosciuto e valorizzato.
Tempo fa un europarlamentare napoletano, Enzo Rivellini, ha pronunciato un discorso a Strasburgo, ad una seduta dell’europarlamento, in perfetto vernacolo, scatenando il panico tra gli interpreti e lo stupore dei colleghi. Intervistato dalla stampa internazionale candidamente ha affermato che il napoletano non può essere assolutamente considerato un dialetto, bensì una lingua a tutti gli effetti, con la sua grammatica e la sua letteratura ed, aggiungeremo noi, con un suo patrimonio canoro conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo, grazie ad alcuni celebri ambasciatori, tra i quali, negli ultimi anni, il compianto Pavarotti.
La parlata di Basile, di Viviani, di Eduardo non è certo sottocultura, perché essa è stata definita nei secoli da Vico ”lingua filosofica”, da Galiani ”il volgare illustre d’Italia degno degli ingegni più vivaci”, da Croce “gran parte dell’anima nostra” senza parlare della poesia animata da vivacità e fantasia, passione ed amore, in grado di essere intesa anche da chi non ne riconosce correttamente le parole.
Un altro terreno fertile che ci permette di apprezzare la nobiltà del napoletano sono i numerosi proverbi, frammenti di saggezza antica, come li definiva Aristotele, che mettono in evidenza come il napoletano sia una lingua, non un dialetto, con la sua grammatica e la sua letteratura, ma come tutti gli idiomi ha debiti verso le parlate precedenti, principalmente il latino. Per molti proverbi napoletani corrisponde un’antica dizione nella nobile lingua di Cesare e di Cicerone.
Nel folclore napoletano, pregno di filosofia e di sentenze ammonitrici esiste un immenso patrimonio di modi di dire, spesso in rima, frequentemente dedicati alla donna, che rappresentano l’espressione di una civiltà prevalentemente contadina. Questi motti sono assurti a dignità letteraria soprattutto nel Seicento ed affrontano con occhio bonario le infinite sfaccettature dell’esistenza e per la donna esaltano i piaceri ed i dolori della vita coniugale, le tentazioni della carne, il rapporto con i figli ed il marito, il rispetto di un ferreo codice morale. Alcune immagini posseggono un’icastica potenza, mentre il linguaggio, spesso scollacciato e pittoresco, garantisce una meditazione comica ed accattivante. Dagli adagi napoletani traspare, rispetto a quelli toscani, un’impostazione più benevola e meno graffiante ed una maggiore considerazione delle qualità muliebri, dall’illibatezza alla fedeltà, dal maternità alla riservatezza.
La lingua napoletana non è altro che il volgare latino della regione, come il toscano per la Toscana, al quale si sono poi sovrapposte le parlate degli invasori.  Una vera novità, infatti basta sfogliare qualsiasi vocabolario etimologico del nostro vernacolo per constatare come per la maggior parte delle parole sia stata ipotizzata una radice spagnola o francese.
Abbiamo divagato troppo, ritorniamo a Raffaele, dal 1981 in dolce esilio d’amore a Catania.
Nato ad Agerola nel 1941, fratello del pittore Gianni, diplomato geometra, cominciò a scrivere versi in attesa di un lavoro, ma trovatolo, non ha mai smesso.
Frequentò a lungo la casa di E. A. Mario, di cui ha seguito l’esempio. Oltre a scrivere poesie è stato un antesignano dei graffiti, quando nel 1980, col permesso del sindaco Valenzi, traccio 100 metri di rime su un muro di via Stazio.


Raffaele Pisani con E. A. Mario

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