venerdì 28 dicembre 2018

Finalmente nude alla meta

fig. 1 - Sull'attenti ad occhi chiusi


Dopo il lungo rito della svestizione, descritto precedentemente, la paziente, uscendo dal paravento, si presenta nuda al cospetto del medico, spesso con gli occhi chiusi (fig.1) per superare il primo momento di imbarazzo. In seguito quasi tutte le donne si sciolgono e si confidano come ad un confessore laico e raccontano aspetti della loro vita intima e sentimentale, dei quali non avevano precedentemente parlato con alcuno. La nudità del corpo favorisce la nudità dell’anima e spesso un fiume diparole travolge il sanitario, in difficoltà nel proseguire la visita. Domandano consigli di tipo estetico, ma spesso anche sentimentale e chiedono di poter ritornare anche solo per discutere.
Alcune volte tutta la visita si svolge ad occhi chiusi (fig.2), un modo efficace per estraniarsi e far passare il tempo del consulto.
Ed a volte capita addirittura che, se il medico ritarda la visita perché impegnato a telefono, la paziente si addormenta placidamente sul lettino (fig.3). Altre volte come nel caso di questa splendida fanciulla, si adoperano i lunghi e fluenti capelli per coprirsi il volto ed il seno (fig. 4) e si prova a guardare in un’altra direzione distrattamente, fino a quando non viene a crearsi quel clima di complicità maliziosa ed allora la paziente, se giovane e bella, come in questo caso, raccoglie i capelli e si espone docile alla vista.
Ed eccoci di nuovo con la signora che si era placidamente addormentata, anche se per pochi minuti. Lentamente si riprende e chiede per quanto è rimasta assopita, meravigliandosi per la brevità della sua assenza dalla scena e confessando di aver raggiunto un profondo rilassamento ed uno stato di leggera euforia (fig.5).
  
fig. 2 - In attesa ad occhi chiusi
fig. 3 - Placidamente addormentata
fig. 4 - Nascosta dietro ai capelli

 

Molte signore di mezza età, ancora piacenti, ma con poche occasioni per mostrarsi nude ad un estraneo, approfittano dell’occasione per esporre con garbo e naturalezza ciò che rimane, spesso molto, a volte abbastanza, di un’antica bellezza non ancora sfiorita. Cercano di apparire gioiose e prima di sistemarsi per la visita incrociano a lungo lo sguardo, cercando di esporre senza parole i loro problemi e le ansie represse. (fig.6).
Altre sorridono con gusto e come questa simpatica nonnina si bloccano sull’attenti sulla pedana, esitando a lungo prima di accomodarsi, quasi con un gesto di orgogliosa sfida lanciata senza imbarazzo per la nudità presentata come una bandiera di spensierata libertà (fig.7).
Ed ecco pronta per la visita questa vispa capoverdiana, donne che, come abbiamo ribadito, sono molto più emancipate delle italiane e conoscono il sesso talmente giovani che poche di loro rammentano quando e con chi hanno perso la verginità, un tabù sconosciuto nella loro cultura (fig.8). 
 
 
fig. 6 - Senza paura
fig. 7 - Sorridendo
fig. 8 - Pronta per la visita

Siamo finalmente ad una visione ravvicinata dall’origine del mondo, tale da percepire in tutta la sua fragranza l’afrore dei ferormoni, che si sprigiona vigoroso dal frondoso cespuglio, in grado di confermarci il colore dei capelli della proprietaria, rosso fuoco, a differenza di tanti biondo cenere o biondo tiziano che cadono miseramente smascherati alla prova della verità (fig.9).
Una vera sorpresa scoprire all’ispezione preliminare un imene intatto (fig.10), soprattutto tenendo conto dell’età della donna non giovanissima, accoppiata ad un corpo veramente sodo e piacente. Scopriremo poi dal racconto della paziente che, nonostante ripetuti tentativi da parte di numerosi partner, la deflorazione non è avvenuta per via di un tenace vaginismo, che scatta costantemente nel momento culminante dell’amplesso e non permette in alcun modo la penetrazione.
Concludiamo con una paziente frigida, la quale dopo una valutazione del tono del muscolo pubo coccigeo con il vaginometro (fig.11), comincia di buona lena una serie di esercizi con il femtone (fig.12) e dopo alcune settimane di contrazioni ritmiche dei muscoli vaginali, raggiungere con grande soddisfazione l’orgasmo, segnalato con uno squillo vittorioso dal severo apparecchio (fig.13).

Achille della Ragione
fig. 9 - Visione ravvicinata
fig. 10 Sorpresa è vergine
fig. 11 - Alle prese col vaginometro
fig. 12 - Esercizi con il femtone
fig. 13 - Il vaginometro segnala l'orgasmo

domenica 23 dicembre 2018

Rubens, Van Dick e Ribera in mostra a Palazzo Zevallos

 01- Folla all'inaugurazione

La più importante mostra del momento in Italia: “Rubens, Van Dick e Ribera la collezione di un principe”: è quella che si tiene a Napoli a Palazzo Zevallos e si potrà ammirare fino al 7 aprile (fig.1). Essa racconta la storia di un prezioso patrimonio di famiglia, appartenuto alla famiglia Vandeneynden che a partire dagli ultimi decenni del Seicento abitò nella sontuosa dimora di via Toledo, disperso, ritrovato dopo secoli e ricongiunto per la prima volta nelle stesse sale dove in passato fu a lungo ammirato. Tommaso Puccini che visitò la raccolta nel 1783 ne offrì una dettagliata descrizione nei suoi appunti di viaggio. Mentre il canonico Carlo Celano, precedentemente, aveva parlato invece di “bellissime dipinture, et in quantità, de’ famosi maestri così antichi come moderni”.      
 L’inventario del 1688, stilato da Luca Giordano, registra in effetti oltre trecento dipinti, tra cui esemplari di Paul Bril, Caravaggio, Jan Brueghel, Aniello Falcone, Luca Giordano, Jan Miel, Mattia Preti, Nicolas Poussin, Francesco Albani, Jusepe de’ Ribera, Salvator Rosa, Pieter Paul Rubens, Anton Van Dyck, numerose nature morte, paesaggi e battaglie di altri maestri, per lo più fiamminghi, alcuni dei quali erano legati alla famiglia Vandeneynden da stretti rapporti di parentela. Questa fitta rete di relazioni aveva favorito la formazione delle due maggiori raccolte napoletane del XVII secolo che esercitarono grande influenza sui gusti collezionistici e sugli sviluppi della pittura napoletana coeva.  
In mostra a Palazzo Zevallos si potranno ammirare in tutto 36 opere, in prestito da collezioni private e musei nazionali e stranieri: dalla Galleria Sabauda di Torino al Museo e Real Bosco di Capodimonte, dal Museo Nazionale del Prado al Los Angeles County Museum of Art. Fra questi figurano alcuni dipinti mai esposti in Italia come La merenda di Jan Miel che proviene dal Prado, i due Jan Fyt di collezione spagnola, e gli inediti Scena di porto di Cornelis de Wael, Erode con la testa del Battista attribuita a Orbetto, la Tentazione di Adamo ed Eva di Vincenzo Gesualdo.      
Capolavori in mostra che celebrano il respiro europeo dell’arte e del collezionismo nel Seicento a Napoli, a partire dal quarto decennio del Seicento, che fu il periodo di più intenso rinnovamento e di più vivace emancipazione culturale per gli artisti napoletani. Per anni le esperienze pittoriche più svariate si affrontarono e si confrontarono come in un grande crogiolo per dar luogo agli orientamenti dei decenni successivi. Tutti i pittori aggiornarono e modificarono il loro linguaggio al confronto di nuove forme espressive facendo tesoro degli apporti esterni, dall’esaltante colorismo barocco di Rubens e van Dyck.
La corrente pittoricistica che prende quota a Napoli nella seconda metà degli anni Trenta, oltre ai modelli del Van Dyck e del neo venetismo, trae spunto dal lavoro incessante di Pieter Paul Rubens, l’artista più spettacolare e rappresentativo del gusto barocco, il cui messaggio gioioso ed irrefrenabile si irradia su tutta la pittura europea.       
Nel 1640 giunge a Napoli nella collezione di Gaspare Romer il suo Banchetto di Erode (fig.2), oggi ad Edimburgo, gemma della National Gallery of Scotland, in un tripudio di colori, una musica soffusa nella fermentante vitalità degli accordi cromatici. Il De Dominici ci parla dell’influsso che questo dipinto ebbe sul Cavallino che «accorso con altri pittori per vedere cosa di cui erasi sparsa così gran fama, e tanto bella gli parve, che quasi incantato dalla magia di que’ vivi e sanguigni colori con meravigliosa maestria adoperati, si propose imitarla».  
È da questa pittura, luminosa e dilagante, che nascerà quella barocca, che troverà negli anni a venire in Luca Giordano il protagonista assoluto.    
E diamo di nuovo la parola al De Dominici il quale ci rammenta che nelle case dei più grandi collezionisti napoletani, abitualmente frequentate dal Giordano, era possibile ammirare capolavori del Rubens: «opera non mai abbastanza lodata, essendo dipinta col più vivo colore che mai adoperasse quell’ammirabile pittore».     Il messaggio del Rubens, che da Venezia a Genova, città dove visse più a lungo, si irradiò per tutta la penisola, fu pregno di novità: intensità, calore e ricchezza cromatica, briosità di esecuzione, abbandono del chiaroscuro a vantaggio di colori vivi e vibranti di luce che cangiando muta i colori, caldi e ricchi di materia, massima libertà di esecuzione, con una pennellata grassa e fluida.    
 Tutti questi caratteri furono lentamente assimilati da generazioni di pittori, che ne fecero parte integrante della propria cifra stilistica.     
L’adesione a questi nuovi messaggi linguistici da parte dell’ambiente artistico napoletano non significò un rifiuto della precedente esperienza naturalista bensì un arricchimento culturale ed un’occasione per sperimentare nuovi mezzi espressivi più ricchi e variegati, in grado di esprimere i sentimenti e le emozioni più profonde, in un clima di cordiale comunicatività e di naturalezza espressiva.   
I soggiorni a Roma, anche brevi, erano frequenti e tutti gli artisti tornavano dalla città eterna con negli occhi un mondo tumultante di immagini in volo vorticoso negli spazi illusori di cieli infiniti, tra il dilagare di luci solari e di materie preziose.  
Nell’aria si respiravano le creazioni dai colori squillanti che Rubens, tra una missione diplomatica e l’altra, ci donava, immagini di gioia, archetipo di mondi di felicità travolgente o si potevano ammirare le solenni composizioni di Poussin immerse in una calma serafica di un mondo regolato da leggi al di fuori del tempo e dello spazio; ma questa è la meraviglia dell’arte che ci offre il conforto di grandi certezze, di punti di riferimento sereni e sicuri e, nello stesso tempo, lascia libero spazio alla fantasia ed alla sensibilità di ciascuno di noi nel percepire il messaggio che l’artista ci invia e ci invita a raccogliere.
Diamo ora la parola alle immagini e proponiamo al lettore alcuni dei dipinti in mostra partendo da uno spettacolare capolavoro di Luca Giordano: una Nascita di Venere (fig.3) dalla sensualità prorompente, che espone dei seni, talmente affascinanti che l’osservatore rimane letteralmente stregato. Esso è conservato in un museo dimenticato della provincia francese, mentre meriterebbe un posto di rilievo nel museo di Capodimonte, dove viceversa dimorano numerosi quadri già nella celebre collezione, come il Sileno ebbro (fig.4-5), eseguito nel 1626 dal Ribera, che ci mostra un individuo dall’addome batraciano, che deborda senza ritegno oltre ogni limite.      
 Sempre da Capodimonte proviene il quadro di Stanzione che si intravede in fondo alla sala (fig.6), mentre a sinistra è esposto un celebre Martirio di Mattia Preti ed a destra un Ritratto di due incisori di Van Dyck (fig.7), autore anche dei ritratti di principe e principessa (fig.8), posti lungo il corridoio.    
Proseguiamo la nostra carrellata con un tenebroso Banchetto di Erode (fig.9) di Mattia Preti a cui fa compagnia un Guercino (fig.10) da favola, giunto a piedi al secondo piano (fig.11), perché non aveva la monetina per adoperare l’elegante ascensore.  
In un angolo, solenne, spicca un raro quadro di soggetto sacro di Aniello Falcone (fig.12), da alcuni anni esposto nel museo diocesano, dopo aver soggiornato a lungo nella sacrestia del Duomo.  
Passiamo ora a Paesaggi e Marine (fig.13), soffermandoci in particolare su un dipinto di Salvator Rosa (fig.14), per concludere con un Giordano fasullo in compagnia di un modesto Ribera (fig.15).
Ed approfittiamo di questo dipinto, con la sigla di un famoso pittore fiammingo, per confermare l’affermazione di un Luca, non tanto falsario, quando in grado, se richiesto dal committente, di imitare lo stile di qualsiasi artista. Una capacità di cui egli era orgoglioso, a tal punto che quando nel 1688, come abbiamo riferito, fu incaricato di stilare l’inventario della collezione Vandeneynden, trovandosi al cospetto di un celebre quadro, pomposamente firmato:” Jusepe De Ribera espanol fecit”, non ebbe remore nel dichiarare nella scheda: “Firma dello Spagnoletto, mano di Giordano”, dichiarando chiaramente di essere lui l’autore del quadro.

Achille della Ragione


02 - Rubens - Banchetto di Erode
03 -Giordano - Nascita di Venere
 04 - Ribera - Sileno ebbro
05 - Ribera - Sileno ebbro (particolare)
 06 - Preti, Stanzione e Van Dyck
  
07 - Van Dyck - Ritratto di due incisori

08 - Ritratti di Van Dyck
09 - Preti - Banchetto di Erode
010 - Mattia Preti e Guercino
011 - Guercinos ale le scale
012 - Falcone - Fuga in Egitto
013 - Paesaggi e marine
 014 - Un  Paesaggio di Salvator Rosa
 015 - Giordano fasullo e Ribera



venerdì 21 dicembre 2018

Scritti sulla pittura del Seicento e Settecento napoletano (IV tomo)

In 1^ di copertina
Giacomo Nani, Naturamorta di fiori e frutta
Galleria antiquaria International Antiques
www.internationalantiques.net


“Scritti sulla pittura del Seicento e Settecento napoletano” IV tomo, raccoglie una serie di articoli pubblicati dall’autore nel 2018 su riviste cartacee e telematiche. Si tratta in prevalenza di contributi alla storia della pittura napoletana del Seicento e del Settecento, ma non è trascurato il mercato e soprattutto l’invito a scoprire, in egual misura, capolavori inediti ed autori poco noti.
Sono inoltre recensiti alcuni dei più importanti libri d’arte usciti negli ultimi mesi.
Vi sono anche alcuni contributi cronologicamente fuori tema, come la descrizione di una importante pala d’altare cinquecentesca e due brevi saggi su pittori attivi nel Novecento, che meritano di essere ricordati.
Per abbattere i costi di stampa e di conseguenza di vendita del libro, esso esce con le numerose foto in bianco e nero, però ogni capitolo indica il link di collegamento per poter ammirare sul computer le immagini a colori. Inoltre l’autore si impegna a fornire gratuitamente a chi lo desidera la facoltà di pubblicare, citando la fonte, le riproduzioni ad alta definizione delle foto; basta richiederle a a.dellaragione@tin.it.
Non mi resta, nel ringraziare l’amico Dante Caporali, autore di gran parte delle splendide foto, che augurarvi buona lettura. 

Achille della Ragione 

Napoli dicembre 2018




Il libro si può ordinare presso


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in 4^ di copertina
Agostino Beltrano,
Martirio di San Sebastiano
Napoli collezione della Ragione


Indice
  • Uno splendido martirio di San Sebastiano di Agostino Beltramo
  • Il best seller di Natale
  • Alcuni inediti di natura morta napoletana del Settecento
  • Le memorabili visite guidate ed il leggendario salotto culturale
  • Napoli e Caravaggio ringraziano il Pelide
  • Capolavori del Seicento napoletano in asta a Vienna
  • Diana De Rosa, detta Anella Di Massimo. Opere certe e nuove ipotesi attributive
  • Un'Annunciazione di Pietro Negroni a Cassano allo Ionio
  • 41^ visita guidata su Il Mattino
  • Giacinto Diano. pittore nativo di Pozzuoli
  • Botta e risposta
  • Una mostra da non perdere: Artemisia e i pittori del conte
  • Un nuovo dipinto di Abraham Brueghel
  • Un importante libro di Egidio Valaccia
  • Un soggetto neo testamentario di Andrea Vaccaro
  • Una inedita Maddalena di Andrea Vaccaro dalla sensualità prorompente
  • Le chiese di Posillipo
  • Un inedito ed alcune aggiunte a Pacecco De Rosa
  • Alessandro (?) San Giovanni, un grande quanto sconosciuto pittore
  • Francesco Solimena superstar
  • Un pittore da rivalutare: Vito Brunetti
  • Maurizio Valenzi, sindaco rosso ed eccellentissimo pittore
  • Un nuovo libro di Achille della Ragione. (Di Elvira Brunetti)
  • Edicola sacra con immagine virile...

















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giovedì 20 dicembre 2018

Il lato B della paziente ginecologica

fig.1 - Posizione Sims


Nella visita ginecologica l’attenzione è concentrata prevalentemente verso la zona inguinale ben esposta con le gambe divaricate sulla sedia, ma non è stato sempre così: nell’epoca vittoriana, quando il pudore non era un optional e le convenzioni morali molto rigide le pazienti venivano visitate a posteriori (fig.1) un tipo di esplorazione, detta di Sims, dal nome dello specialista inglese che la ideò nell’Ottocento.
Tale tipo di approccio alle pudenda non permette una serena valutazione dell’utero e delle ovaie, inducendo a volte in errori anche grossolani, soprattutto se ad eseguire l’esplorazione è un medico abituato ad una via d’accesso diversa.
Nella mia trentennale pratica professionale mi è capitato non più di tre o quattro volte di avere una richiesta specifica da parte di pazienti islamiche come nel caso della foto precedente.
Altre volte per determinare con precisione la presenza di emorroidi interne bisogna far assumere alla donna delle posizioni particolari, di moderata flessione (fig.2) o di massima trazione delle gambe sull’addome (fig.3).
Se esiste una irregolarità della colonna vertebrale è necessaria un’ispezione soprattutto della zona sacrale; in questi casi a volte si associa una flaccidità dei glutei come nella paziente in esame (fig.4), mentre può capitare nelle donne di colore la concomitanza di un’ipertrofia che persiste anche dopo la menopausa (fig.5).
L’esito di una iniezione intramuscolo suppurata può essere una perdita di tessuto, come avvenuto nella natica sinistra di questa paziente (fig.6).
Al di fuori di ogni patologia capita frequentemente di imbattersi in qualche paziente esibizionista che cerca di mettere in mostra le sue grazie eloquenti, a stento coperte da un raffinata lingerie (fig.7).
Più rara la fortuna di una paziente che dopo un piccolo intervento, per quanto infreddolita decida di riposarsi un poco in una deserta sala d’attesa (fig.8).
Eccezionale la fortuna di trovarne una che attende il suo turno nella posa voluttuosa di un’odalisca (fig.9).

Achille della Ragione



fig.2 - Flessione
fig.3 - Massima trazione
fig.4 - Flacciditá
fig.5 - Ipertrofia
 
fig.6 - Perdita sostanza
 
fig.7 - Sedere
 
fig.8 - Riposo
  
fig.9 - Attesa
 
 

 
 
 
 
 
 

domenica 16 dicembre 2018

Quel Banco di Napoli perso per l’indifferenza della città

articolo di Gino Giammarino
foto 1 Achille della Ragione

Mi hanno scritto in tanti ed in privato per avere notizie sul convegno “Onoriamo il Banco di Napoli”, tenutosi lo scorso giovedì 6 dicembre  al Vomero su iniziativa dell’amico Achille della Ragione (nella foto 1).
Innanzitutto, si può affermare senza timore di smentita che la serata è stata un vero successo: l’aula magna della chiesa di S. Maria della Libera aveva tutti i posti occupati e molti intervenuti sono rimasti in piedi per seguire gli interventi, tutti di alto profilo e riportati da testimoni credibili e ben a conoscenza dei fatti. Senza altrettanti dubbi si può dichiarare che si è trattato di uno degli “incontri meridionalisti” più autenticamente e costruttivamente partecipato ai quali mi sia capitato di essere presente negli ultimi anni. E voglio per questo ringraziare per la sua passione civile Achille della Ragione, ancora una volta capace di entrare in maniera puntuale ed efficace nel tessuto vivo degli argomenti “veri” della città e della sua storia, passata e presente.

Foto 2 Aldo pace

Ad aprire le testimonianze, Aldo Pace l’ex direttore dell’Archivio storico (foto 2), che ha tenuto una brillantissima relazione sulla “Storia dell’emigrazione” e -tanto per gradire- ha iniziato il suo intervento dichiarando che fino al 1861 al Sud nessuno emigrava, completata dall’affermazione che riporto letteralmente: “Lo Stato unitario non vedeva di buon occhio i meridionali!”, subito seguita dalla precisazione: “…anche i veneti, in verità…”.
Cominciamo bene! – ho pensato subito, ma senza esserne particolarmente sorpreso. Ricordo con piacere una giornata passata con lui nell’archivio per scattare una foto di copertina de Il Brigane Magazine: gli mettemmo a soqquadro gli uffici, ma lui, gentilissimo, offrì caffè e cornetto a tutti, mostrandoci con orgoglio vessilli borbonici e testimonianze del nostro passato presenti in ogni angolo di quelle mura: una giornata indimenticabile!
Ma torniamo alla serata…
“Sono entrato nel 1958 per uscirne solo nel maggio 2005 – ha raccontato con passione il dott. Pace – regalando dettagli interessantissimi, sia sulle testimonianze dei nostri emigrati all’estero, sia sulle gestioni ed i servizi che il Banco Napoli ha svolto per la sua gente, soprattutto a Buenos Aires dove, creando il “vaglia per l’emigrazione”, pose fine – di fatto – alle vere e proprie truffe che improvvisate banche private, senza nessuna affidabilità finanziaria, perpetravano ai danni dei nostri avi che furono costretti a lasciare la loro terra a causa delle condizioni imposte loro dal nuovo Stato unitario.

Foto 3 Edoardo  Nappi e Rossella Paliotto

A fornire studi basati sul confronto dei prezzi nel Sud tra prima e dopo l’unità d’Italia grazie ai preziosi documenti presenti nell’archivio economico è stato Eduardo Nappi (nella foto a sinistra con la pres. Paliotto), anch’egli già direttore dell’Archivio storico. Ha fatto riflettere il suo autoritratto da “…uomo di fatica in archivio…” che, nonostante l’alta carica ricoperta, non ha mai disdegnato di fare anche lavori più umili assieme agli addetti per amore del proprio lavoro ed orgoglio di far parte di un istituto che ha rappresentato la storia della propria terra.

foto 4: Achille della Ragione, Mario Coppeto, Carlo della Ragione

A seguire è intervenuto Mario Coppeto in rappresentanza del Sindaco De Magistris, ponendo il problema politico ed economico della massa creditizia del Banco, usata per salvare i tristemente noti istituti di credito veneti ed il Monte Paschi Siena.
Fratello dell’organizzatore e presidente nazionale dell’Unione Pensionati Banco Napoli, Carlo della Ragione ha ripercorso le tappe di un cammino fatto di orgoglio identitario, appartenenza e possibilità di intraprendere facilitate per gli imprenditori meridionali.
Ma ha anche lanciato duri atti di accusa, tanto alla gestione dei capitali, quanto alla perdita di Antonveneta, senza dimenticare di denunciare il ruolo passivo della classe politica meridionale che non ha mosso un dito in difesa di un fiore all’occhiello e di un centro dirigenziale nodale come quello del Banco di Napoli. Una banca “sana”.
“Ho rappresentato le posizioni dell’Istituto – ha testimoniato il presidente della Ragione – dinnanzi all’apposita commissione: mi hanno ascoltato Mancino, Mastella, Rastrelli…
ma poi hanno alzato le spalle e non ne hanno fatto più nulla, obbedendo silenti ai diktat di Ciampi e del Nord!”.
  
foto 5 Gherardo Mengoni

“Abbiamo fatto banca con la stessa qualità a New York e a Caianello – ha aperto con grande dignità e fierezza l’ing. Gherardo Mengoni (foto 5), responsabile informatico del “Banco” e scrittore – vivendo i momenti più gloriosi tra gli anni ’60 ed i ’90, nei quali ci siamo imposti per qualità e rispetto, passando dalle 200 filiali degli anni ’40 alle ben 800 degli anni ’90!”
– Per la serie: fatti, non parole!
“In certi piccolissimi centri, assieme ai Carabinieri ed al farmacista, rappresentavamo lo Stato, eravamo l’istituzione più che l’istituto!”
– ha raccontato con sentita passione l’ingegnere, a metà strada tra il colletto bianco e ed il Luciano De Crescenzo del Banco di Napoli.
Ho lasciato per ultima la testimonianza attesissima di Rossella Paliotto, neo-presidente della Fondazione Banco Napoli, che non ha deluso le aspettative. Anzi…
“21 novembre 2018: per la prima volta in 500 anni viene eletta una donna!”
– ha aperto la presidente.
“In questa vicenda troppe cose non quadrano, come ad esempio gli altri offerenti esclusi senza ragione dall’asta: qualcosa non funziona. Per me si è trattato di un vero e proprio furto ai danni del Meridione. Poi, venti anni di silenzio a causa di una classe dirigente indegna, un popolo senza voce: anche “Il Mattino” è passato a Caltagirone.
Sono meridionalissima e orgogliosamente radicata a questa terra, non lascerò niente di intentato per combattere questa vergogna e, anzi, lo stiamo già facendo. Ci stiamo organizzando!”.
Ecco: se qualcuno aveva dei dubbi sulle reali intenzioni delle presidente Paliotto, o magari pensava che si fosse seduta semplicemente su una poltrona, beh si stava sbagliando di grosso. Battagliera e concreta sui veri obiettivi, per passione e competenze la presidente è apparsa come una vera e propria leader, pur non avendo scritto libri meridionalisti, o lanciato proclami esaltati dietro una tastiera del computer. 


Foto 6 Rossella Paliotto, Mario Coppeto e Carlo della Ragione


Rossella Paliotto si è dimostrata una risorsa, una vera brigantessa, di quelle che – come canta Eugenio Bennato – Nun se ne fotte ‘ddo Rre Burbone, ‘a terra è ‘a nosta e nun s’adda tucca’…”.
E infatti ne ha anche per la città e per i suoi abitanti:
“Tutto questo è potuto accadere solamente grazie all’indifferenza di Napoli e dei napoletani. Ed è questo il vero problema della città: non si combattono battaglie comuni, si aspetta sempre che debba essere qualcun altro a risolvere un problema o prendersi un’incombenza. Senza parlare di quelli che, sono i peggiori, con la scusa del tengo famiglia, tradiscono la propria terra e la propria gente per una manciata di fave”.
Lapidaria. Ho condiviso il suo intervento duro e appassionato, parola per parola, e non credo di dover aggiungere altro, se non richiamare l’attenzione di coloro i quali, quando gli ho parlato delle iniziative che volevo mettere in campo per cercare di fare qualcosa per quest’ultimo attacco del Nord ai nostri centri decisionali, mi hanno risposto che ormai era troppo tardi, bisognava muoversi prima, ormai è tutto deciso, e così via…
Non era vero, non è vero. E non lasceremo nulla di intentato per dimostrarlo, ma bisogna che ci solleviamo tutti: l’indignazione, i computer, convegni e crociere sui primati ed i libri non bastano più! Bisogna mettersi in gioco, senza scuse e senza tentennamenti.
Non rassegnamoci. E siccome ho detto che non avevo parole da aggiungere a quelle concrete e fattive di Rossella Paliotto, vi lascio – a buon intenditore – quelle di Henry David Thoreau.
“Molti uomini hanno vita di quieta disperazione:
non vi rassegnate a questo, ribellatevi,
non affogatevi nella pigrizia mentale, guardatevi intorno.
Osate cambiare, cercate nuove strade.”


mercoledì 12 dicembre 2018

Chi è Elena Ferrante?



Mentre la televisione sta trasmettendo le puntate dell’Amica geniale torna di attualità il dilemma sull’identità di Elena Ferrante, ma tutti coloro che hanno letto il mio libro: Errori e bugie sulla storia di Napoli” (pag. 67–68), consultabile gratuitamente in rete digitandone il titolo, sanno la risposta, oramai acclarata a seguito di minuziose indagini fiscali. La misteriosa autrice è costituita dalla coppia Domenico Starnone ed Anita Raja.

Edicola sacra con immagine virile…


fig.1 - Edicola sacra con immagine virile

Abbiamo scelto un itinerario “out”, completamente inedito e fuori dai normali circuiti ad uso dei turisti ed anche dai percorsi delle persone colte che credono di aver già visto tutto.
Cominciamo con un vicoletto che solo a Napoli può esistere, infatti esso ha non uno, non due, ma ben tre nomi e non si tratta di denominazioni ad uso del volgo, bensì di tre targhe apposte in bella mostra dal Comune, le quali coabitano con patetica indifferenza.
Tale via mette in collegamento via Giordano Bruno con via Piedigrotta, all’angolo della quale svetta la prima lastra marmorea intitolata a Jan Palach, il giovane eroe cecoslovacco che nel 1968 s’immolò dandosi fuoco per la libertà del suo popolo. All’opposta estremità altre due targhe con diversi toponimi, tra i quali gli abitanti del luogo preferiscono il più antico di “Traversa Mergellina”.
Ma non è per questa esemplare singolarità che abbiamo citato questa stradina, bensì perché essa presenta un’edicola sacra dedicata alla Madonna di Piedigrotta, il cui volto è ben più che originale (fig.1).
Le edicole sacre affollano tutte le strade della vecchia Napoli e rappresentano una forma caratteristica di devozione da parte del popolo, il quale si sente rassicurato dal rapporto fisico di familiarità che può instaurare con le immagini contenute nei tabernacoli, alle quali si può rivolgere per impetrare le grazie più disparate. Fu padre Rocco, il leggendario frate domenicano benvoluto da Carlo III e Ferdinando IV, a favorirne la diffusione, ottemperando in tal modo non solo ad un fine devozionale, ma soprattutto a rendere meno oscure e pericolose le nostre strade, illuminate così da una vasta ragnatela di tenui quanto efficaci fiammelle.
E ritorniamo all’edicola incriminata…, la quale mette in mostra una effigie della Madonna quanto mai sospetta, che ad un esame più accurato rivela le sue malcelate sembianze maschili. Raffigurata su panno e non su tela, un antico stendardo settecentesco che sarà andato in processione chissà quante volte, è con grande probabilità il frutto di un traslato omaggio di un artista dal sesso non ben determinato verso il proprio amante. Un ingenuo ignoto pittore che candidamente ha coniugato sacro e profano, certo di non aver trasgredito alla sacralità nel rendere un imperituro omaggio al volto dell’amato bello. (Senza tante parafrasi un ricchione ante litteram ).
 


domenica 9 dicembre 2018

Alcuni inediti di natura morta napoletana del Settecento

 fig. 1 -  Tommaso Realfonso - Pane, limoni, fiori ed uva
  siglato R - Italia collezione privata


La natura morta napoletana è più apprezzata dal mercato antiquariale che dalla critica, più conosciuta dai collezionisti che dal grande pubblico. Essa non raggiunge i fasti del secolo precedente, ma mantiene un livello dignitoso almeno per i primi cinquanta anni, per spegnersi poi senza svilupparsi in esiti di un qualche interesse.
Alcuni artisti come Tommaso Realfonso, Nicola Casissa, Gaspare Lopez, Giacomo Nani e Baldassarre De Caro (fig. da 1 a 5) continuano la tradizione locale specializzandosi nel dipingere fiori, frutta, pesci, cacciagione, soddisfacendo così le richieste di una vasta committenza, il cui gusto era semplicemente cambiato in linea coi tempi.
E questo senza considerare le infinite figure minori, che lentamente stanno riemergendo da un oblio secolare o alcuni artisti più noti, che lavorano a cavallo dei due secoli e che i libri di storia dell’arte considerano operanti unicamente nel Seicento, quali Francesco Della Questa, Aniello Ascione, Nicola Malinconico, Gaetano Cusati, Onofrio Loth, Elena e Nicola Maria Recco, fino a Giuseppe Ruoppolo e forse lo stesso Andrea Belvedere, che muore nel 1732 e probabilmente, almeno nei primi anni, dopo il ritorno dalla Spagna, prima di dedicarsi unicamente al teatro, come afferma il De Dominici, avrà continuato la sua attività come testimoniano alcuni suoi dipinti dal sapore già settecentesco.
Purtroppo sul destino del genere nel secolo dei lumi ha pesato il giudizio negativo di Raffaello Causa, il quale, riteneva il trapasso tra Seicento e Settecento alla stregua di un vero e proprio passaggio dal sonoro al muto e sentenziava, nella sua impareggiabile esegesi sull’argomento, pubblicata nel 1972 sulle pagine della Storia di Napoli, che con la rinuncia del Belvedere ai piaceri della pittura si chiude il secolo d’oro e dietro di lui una folla di fioranti facili e svelti di mano ed una torma di imitatori fanno ressa su un mercato molto florido, dove alcun richieste, scaduto il gusto dei committenti, si esaudiscono a metraggio; i protagonisti sono tutti scomparsi, la parlata si è fatta fioca, incolore, dialettale e financo rozza e sgarbata, non vi è più nulla o ben poco da salvare, nonostante i fasti vecchi e nuovi del mercato dell’arte.
Il suo anatema fece si che quando nel 1979 fu organizzata la grande mostra Civiltà del Settecento mancasse una sezione dedicata alla natura morta e fu un deplorevole errore, che ha concorso a ritardare l’interesse e gli studi sul settore.
Già nella precedente mostra sulla natura morta, svoltasi nel 1964, i generisti napoletani del Settecento erano mal rappresentati, con pochi dipinti ed alcuni nemmeno autografi.
Al parere del grande studioso si attenne a lungo la critica e lo stesso Ferrari, sempre sulla Storia di Napoli, trattando degli svolgimenti artistici tra Sei e Settecento, assegnò agli specialisti napoletani poche brevi annotazioni, giudicando immotivato il richiamo di Realfonso a  “moduli d’apparenza naturalistica”, preferendo il “barocchetto fresco e guizzante” del Cusati,  “l’illusionismo variopinto e porcellanoso” del Lopez o il “verismo perfino involontariamente umoristico” del Nani.
Ben più pacato era stato il giudizio della Lorenzetti nel catalogo della memorabile mostra su tre secoli di pittura napoletana, tenutasi nel 1938: “Mentre dilaga il decorativismo settecentesco nelle sue forme geniali ed artificiose il sentimento realistico nella sua più solida concretezza è custodito dai pittori di natura morta che nello stretto legame con la tradizione seicentesca dipingono animali, fiori, erbaggi, frutti di mare sul fondamento di uno stile di remota ascendenza caravaggesca in cui si avverte qualche transito più esteriore di fiamminghismo. Se lungo il secolo il chiaroscuro, per gusto di diffuse chiarità si attenua, il naturalismo di questi pittori non si spegne. La pittura di genere a Napoli nei primi decenni del Settecento poco concede a ragioni di vaga decorazione, ma più insiste sulla penetrazione del carattere delle immagini naturali”.
Il Settecento napoletano nel campo della natura morta è affollato anche di figure minori o di ignoti in attesa di essere riconosciuti ed eventualmente apprezzati, gli studi devono perciò riprendere con maggior lena, per colmare un deficit di conoscenza e per venire incontro alle esigenze di un mercato antiquariale nel quale, con frequenza sempre maggiore, compaiono dipinti, anche di eccellente qualità, spesso firmati ed a volte datati, i quali permettono alla critica di progredire e di fornire, giorno dopo giorno, un quadro sempre più puntuale di quella che fu una stagione, se non grandiosa, ben più che dignitosa, nel quadro della nobile tradizione figurativa napoletana.


fig. 2 - Nicola Casissa - Trionfo di fiori e frutta -
Londra collezione privata

fig. 3 -  Gaspare Lopez - Tulipani, peonie, rose ed altri fiori presso una fontana
Napoli collezione Capuano

 fig. 4 -  Giacomo Nani - Cestini con frutta
Roma collezione privata

fig. 5 - Baldassarre De Caro - Uccelli morti con fucile
Italia mercato antiquariale

Passiamo ora presentare ai lettori degli inediti di grande qualità partendo da una Natura morta di fiori e frutta (fig.6) dell’antiquario Chiti eseguita da Giacomo Nani, nella quale la ripresa naturalistica di maniera, la studiata grafica ed il cromatismo luminoso, caratteristici di una fedeltà ad una pittura indisponibile ad ogni addolcimento rocaille, pongono la datazione cronologica della composizione entro la metà del secolo.
Giacomo Nani (Porto Ercole 1698 - Napoli 1755), pittore di nature morte, fu allievo secondo il De Dominici di Andrea Belvedere e di Gaspare Lopez e riprese in pieno Settecento
una pittura di ispirazione naturalista in linea con quanto anticipato da Tommaso Realfonso. Si sposò nel 1726, dichiarando nel processetto il suo mestiere di pittore ed ebbe come testimone il principe di Bisignano, Luigi Sanseverino, a dimostrazione di un’introduzione come artista negli ambienti della nobiltà napoletana. Ebbe vari figli ed il primogenito Mariano seguì le orme paterne trasferendosi poi in Spagna dove proseguì la sua attività.
Le prime opere del Nani vengono descritte in un inventario del 1723 della duchessa di Terranova ed in seguito nel 1725 troviamo quattro suoi quadri di fiori nel testamento del duca di Limatola. Interessante è la notizia di una collaborazione con Paolo De Matteis, il quale realizzale figure in alcune sue composizioni.
Seguendo il racconto del De Dominici apprendiamo poi che il pittore esegue dipinti anche per il re in persona “dipingendo per lui varie cacciagione ed altre galanterie”. Ed a conferma di queste committenze vi è la presenza di numerosi suoi quadri sia nel Palazzo Reale di Napoli che di Caserta.
Ritornando al dipinto in esame vogliamo sottolineare alcuni particolari, come la frutta (fig.7) eseguita in maniera talmente naturale da attirare le voglie fameliche di un vispo uccellino (fig.8). Passiamo quindi ad un Trionfo di fiori (fig.9) di Gaspare Lopez, appartenente alla collezione napoletana di Brando Heibig, nel quale, sullo sfondo di un paesaggio denso di nuvole minacciose fanno bella mostra di sé varie specie di fiori dai colori smaglianti, alcuni posti in un vaso su una colonna, altri distrattamente sparpagliati sul terreno, resi con abile maestria, a tal punto che l’osservatore, avvicinandosi al dipinto ne possa percepire il profumo.  
Le uniche notizie biografiche su Gaspare Lopez (? - Firenze o Venezia 1740?) ci vengono fornite dal De Dominici, ma vanno integrate con nuove acquisizioni documentarie relative al suo lungo soggiorno fiorentino. Nato probabilmente a Napoli, fu allievo del Belvedere, ma conobbe anche le opere di JeanBaptiste Dubuisson, abile diffusore a Napoli dei modi aulici di Jean Baptiste Monnoyer, che lo indussero ad una pittura di gusto ornamentale, a volte superficiale, ma segnata costantemente da un vivace cromatismo. Non fu molto apprezzato dal Causa, che lo definì un “divulgatore mediocre di un barocchetto illusionistico e cavillosamente decorativo, deviando verso un vistoso ornamentalismo il nobile timbro stilistico del Belvedere”. Ebbe come allievo Giacomo Nani. Egli amò ambientare le sue composizioni en plein air, entro parchi verdeggianti di alberi e siepi, percorsi da viali e sentieri ed arricchiti da elementi decorativi: vasi, urne, busti, obelischi, posizionati con apparente casualità insieme a resti archeologici ed uccelli multicolori come il pappagallo ed il pavone.
Prima di passare ad illustrare due dipinti di una collezione romana (fig.10-11) diamo alcune notizie sull’autore: Baldassarre De Caro.
Le fonti ci hanno tramandato poche notizie sull’artista (1689-Napoli 1750), ma l’abitudine di siglare o firmare le sue opere ha permesso alla critica di formulare un catalogo abbastanza corposo della sua produzione, soprattutto negli ultimi anni grazie alla frequente comparsa di tele nelle aste internazionali e sul mercato. Purtroppo è difficile stabilire una precisa cronologia, per la rarità di date (tra le poche eccezioni la tavola del Banco di Napoli eseguita nel 1715 ed una Natura morta con animali e fiori, firmata e datata 1740, in collezione privata a Barcellona, segnalata da Urrea Fernandez) e per uno stile sempre eguale, nel quale non si riesce ad evidenziare una coerente evoluzione.
Abbiamo anche un documento di pagamento reperito da Rizzo, una rarità per quanto riguarda i generisti napoletani; la polizza si riferisce alla cifra di 38 ducati incassata dal pittore per due quadri il 16 settembre 1720.
Secondo il De Dominici: “dal quale apprese primieramente a dipingere fiori, de’quali molti quadri naturalissimi con freschezza e maestria ha dipinto” ed il Giannone, egli nasce nel 1689 e fu tra i più bravi allievi di Andrea Belvedere, per cui, almeno inizialmente pittore di fiori, una veste nella quale non abbiamo molti esempi ad eccezione della celebre serie di quattro vasi divisa tra il museo del Banco di Napoli e la pinacoteca di Bari ed un dipinto comparso nel 2000 presso l’antiquario Lampronti a Romai. Si dedicò in seguito alla rappresentazione di animali e selvaggina morta con uno stile, per quanto venato da ambizioni innovative, piuttosto anodino e monocorde.
Con i suoi dipinti incontrò il favore dell’aristocrazia locale e della nascente corte borbonica, come ci racconta il De Dominici: “Baldassar di Caro anch’egli ha l’onore di servire sua Maestà nei suoi bei quadri di cacce, di uccelli e di fiere, come altresì di altri animali, nei quali si è reso singolare, come si vede dalle sue belle opere in casa di molti signori, e massimamente in quella del duca di Mataloni, ove molti quadri di caccia egli ha dipinto… divenendo uno de’ virtuosi professori che fanno onore alla Patria”.
I due dipinti, di collezione Righi, di cui parlavamo, sono antitetici, il primo è un inno alla vita con un gruppo di anatre che svolazzano felici, mentre l’altro mette in mostra l’esito della caccia, con una serie di volatili trapassati da un fucile, fiero del lavoro svolto.

 fig. 6 - Giacomo Nani - Natura morta di fiori e frutta
Antiquario Stefano Chiti
 fig. 7 - Giacomo Nani - Natura morta di fiori e frutta -(particolare)
Antiquario Stefano Chiti
 fig. 8 - Giacomo Nani - Natura morta di fiori e frutta - (particolare)
Antiquario Stefano Chiti
fig. 9 - Gaspare Lopez - Trionfo di fiori
Napoli collezione Brando Helbig
fig. 10 -Baldassarre  De  Caro - Caccia all'anitra -  98 x72
Roma collezione  Lallo Righi
fig. 11 - Baldassarre De Caro - Esito della caccia con fucile
Roma collezione Lallo Righi


Concludiamo la nostra carrellata con due pregevoli dipinti della collezione Carignani di Novoli, una nobile famiglia napoletana, da alcuni anni trasferitasi a Bruxelles.
Il primo, un vero capolavoro, una Natura morta di fiori e frutti (fig.12)  è attribuibile  al virtuoso pennello di Aniello Ascione, che in molti dipinti  raggiunge un livello molto alto, caratterizzato da un’intonazione cromatica calda e da una schietta vena decorativa. Sono tutte composizioni influenzate in parte anche dagli eleganti modi pittorici di Abraham Brueghel.
Di Aniello Ascione tutti i testi di storia dell’arte ripetono pedissequamente: notizie dal 1680 al 1708, copiando a vicenda questo dato, che non ha riscontro in alcun documento e per conoscere l’artista dobbiamo come sempre rifarci al racconto del De Dominici, che afferma: “Aniello Ascione fu anche egli scolaro del Ruoppoli ed anche fu valentuomo dipingendo con amenità di colore assai vago, e che però tira assai al rossetto d’alacchetta; ha fatto molte opere di frutti e fiori, ma per lo più frutte, e l’uva erano la sua applicazione e con decoro ha l’arte esercitata, facendoli ben riconoscere
delle sue fatiche e mantenendo il decoro della professione, ha con esse rese adorne varie gallerie de’ signori ed altre stanze di particolari e da tutti son tenute in pregio l’opere sue”.
Il Dalbono ci riferisce inoltre che eseguiva quadri di grandi dimensioni seguendo l’esempio del maestro e del Giordano.
Di più non sappiamo dalle fonti.
Il dipinto in esame è improntato ad un vivace piglio decorativo già pienamente barocco, pervaso da quei rutilanti trionfi di frutta perfettamente in sintonia con la sprizzante vitalità ed il temperamento dei napoletani, gaio ed esuberante.
La seconda tela in esame (fig.13) rappresenta vari tipi di frutta, descritti con una tale precisione da far venire l’acquolina in bocca all’osservatore. Dopo aver sentito il parere di numerosi specialisti sono addivenuto alla decisione di assegnare il quadro a Giorgio Garri per la elegante pennellata, dal tocco rapido ed incisivo. Il sottile realismo con cui l’artista dipinge i frutti accuratamente definiti, il modo di lumeggiare i contorni, toccati da lievi curve, le preziosità materiche ravvisabile nella cromia vibrante e soprattutto l’ambientazione della scena, immersa in una luce densa e fonda, ci permettono di apprezzare un pittore le cui opere andranno ricercate con più attenzione nel mare magnum delle tante nature morte di autore ignoto o sotto le più diverse attribuzioni.
Una importante aggiunta al catalogo dell'artista, che merita di essere conosciuto ed apprezzato non solo da pochi specialisti, ma da tutti gli appassionati dell'arte.
Nella schiera degli specialisti minori impegnati a Napoli nel settore della natura morta va collocato Giorgio Garri (Napoli? – 1731), del quale la più antica testimonianza ci è fornita dal De Dominici, che lo segnala nella bottega di Nicola Casissa, per quanto fosse suo coetaneo.  Il biografo tiene a sottolineare l’abilità dell’artista nel dipingere fiori e frutta, imitando lo stile non solo del suo maestro, ma anche del sommo Belvedere e ci racconta che egli lavorava con studio e con amore, morendo nel 1731 dopo aver perso la vista.
Anche Giorgio appartiene ad una famiglia di generisti, infatti suo fratello Giovanni fu “buon pittore di marine e paesi” e la figliola Colomba brava nel realizzare “fiori e pescagione ed anche cose dolci, seccamenti, cose da cucina e sul finir dell’attività anche vedute di città in prospettiva”. A sua volta Colomba aveva sposato il pittore ornamentista Tommaso Castellano ed anche le sue figlie Ruffina, Apollonia e Bibiana furono avviate al disegno ed ai pennelli con un mediocre successo.
Causa nella sua esegesi sulla natura morta napoletana del 1972 mostra di non conoscerlo, anche se una mezza figura di donna era comparsa  sul giornale Les Arts del febbraio 1907 ed un suo quadro era registrato nel 1747 nell’inventario del principe di Scilla Guglielmo Ruffo.   La ricostruzione della sua personalità è merito del Salerno, che nel 1984 ha pubblicato un suo dipinto di grosse dimensioni transitato sul mercato e firmato per esteso, raffigurante una Donna ed altre figure in un giardino da collocare nell’ambito del decorativismo di ascendenza giordanesca.

fig. 12 - Aniello Ascione - Natura morta di fiori e frutta
Bruxelles collezione Carignani di Novoli
fig. 13 - Giorgio Garri - Natura morta di frutta
Bruxelles collezione Carignani di Novoli
Achille della Ragione